Woza Taxi | Crudo Volta Radio Ci Racconta Del GQOM, Suono Esplosivo Made In Sudafrica

Se pensate che GQOM si pronunci esattamente come è scritto (GiCuOm), vi sbagliate alla grande. Quella G e quella Q vanno articolate facendo schioccare la lingua sul palato e allo stesso tempo dovete emettere il suono della O e della M. Se il suono che esce è quello della saliva che scivola tra i denti e la lingua, state sbagliando di nuovo. Riprovate.
Una cosa più semplice non avrebbe avuto senso perché dietro queste quattro lettere si nasconde un genere musicale che nelle sue sonorità dure e rabbiose, ci svela un mondo misterioso, pieno di luce e orgoglio, capace di risvegliare istinti primordiali. Un mondo che racconta storie di tribalismo e di comunità, di identità sociale legata a un presente incerto ma allo stesso tempo definito, e a un trascorso, l’apartheid, ancora vivo e pulsante. Pura energia, puro flusso creativo, pura poesia che da un anno a questa parte stanno mandando in estasi i più entusiasti sostenitori della club culture underground urbana sudafricana, londinese e internazionale. Grazie a due romani e ovviamente al talento di alcuni giovani dj delle periferie di Durban.
Le identità dei protagonisti di questa storia come avrete capito si muovono lungo coordinate che a prima vista potrebbero lasciare perplessi anche i più assidui frequentatori dell’inconsueto. Ma la storia è molto semplice. Francesco Cucchi, in arte Nan Kolé, dj romano amante della tecno e immerso nelle culture africane da tempo, un anno fa decide di abbandonare Roma per rifugiarsi a Londra, città sempre pronta ad accogliere nuovi geni – in tutti i sensi. Geni speciali, c’è da dirlo, perché tempo prima, perso nel suo consueto e dolce navigare sulla rete, si imbatte in dei beat, che da asseuefazione trasforma in un’etichetta il cui nome si ispira a questi suoni prodotti dai ragazzi delle township di Durban: GQOM OH!
Capita, non per caso, che Francesco abbia un caro amico, Michè Calandra Achode, anche lui romano residente a Londra, con alle spalle un’infanzia vissuta tra Porto-Novo e Cotonou. Patito di cultura urbana come pochi. Poco tempo fa Miché mette in piedi un collettivo di curatela musicale, Crudo Volta Radio e insieme all’etichetta di Nan Kolè tirano fuori questo documentario chicca, Woza Taxi, che ha il merito di dare a Cesare quel che è di Cesare, di spiegare a chi inconsapevolmente si trova a ballare o maneggiare certi suoni, quali meccanismi e dinamismi si nascondono dietro quei suoni.
Mi sono fatta raccontare da Michele come nasce il suo progetto e cosa lo ha spinto ad andare in Sudafrica.
GRIOT: Crudo Volta Radio. Nome interessante. Come nasce e che cos’è?
Michele: Ho scelto questo nome perché il progetto cerca di promuovere e documentare un’energia grezza. Molta della musica che viene passata su Crudo è prodotta attraverso l’elettricità e l’unità di misura dell’elettricità in Italia è il Volta. Quindi ho usato Volta come simbolo dell’energia e Crudo come sinonimo di rozzo. Poi cercavo anche un termine che a livello internazionale fosse riconoscibile e riconducibile all’Italia, e all’estero se senti la parola crudo pensi subito al prosciutto italiano.
Detto questo, si tratta di una piattaforma di curatela musicale che si focalizza molto sulla dj culture, sulla musica prodotta in contesti urbani da popolazioni di origini africane, afro-caraibiche e afroamericane. Nel primo caso puoi trovare generi come il rock steady, ska, reggae, rub-a-dub, ragga, bashment, e nel secondo blues, jazz, soul, per farti alcuni esempi.
Oltre alla curatela abbiamo anche l’obiettivo di creare nel giro di tre anni una radio che trasmetta h24. Al momento stiamo costruendo un palinsesto con dei dj fissi. Entro l’anno, vorremmo arricchirlo di contenuti per poi farlo diventare un punto di riferimento, una realtà che rappresenti la cultura urbana romana.
Romana? Non UK, paese dove vivi?
No perché certe situazioni e realtà devi averle assimilate, ne devi aver fatto parte. Per poter parlare di musica urbana inglese avrei dovuto vivere quella realtà. Io sono interessato alle dinamiche della cultura urbana italiana. Ho fatto rap per tredici, quattordici anni. Poi ho smesso di farlo perché c’era qualcosa che non andava. Cioè notavo che più facevo, più copiavo qualcosa che non esisteva attorno a me. E questa è un po’ una cosa che vedo in giro. Ci sono moltissimi rapper bravi in Italia che però culturalmente non sai a cosa appartengano. Prendi Neffa. Ha iniziato col rap ma è più autentico ora che non fa più rap. Non saprei come avrebbe potuto evolvere la sua musica in un contesto come questo, tanto che tutti i rapper della sua generazione, passato il trend degli anni ’90 non si sono saputi più riproporre perché hanno importato una cultura che non gli apparteneva e una volta che quella cosa si è andata a consumare sono iniziati i problemi.
Perchè?
Perché tu hai bisogno di te stesso. Ovvio che puoi anche continuare ma non è che arrivi chissà dove. Guarda quelli che seguono le nuove tendenze, quelli che fanno il Trap. Come fai a farlo se non sei di Atlanta [la culla del Trap?] Oppure ci sono quelli che vorrebbero fare il Grime, portarlo qui. Va bene, ok, ma stai decontestualizzando una cultura che assume un altro significato nel suo non luogo di origine. Ci sono dei contesti che non ti permettono di avere una fluidità d’azione perché certi codici se vanno bene da una parte in un’altra non funzionano come dovrebbero funzionare.
In Italia esiste molta musica alternativa ma cerca sempre di proiettarsi nelle dinamiche del mainstream. E non è molto credibile. Skepta mica ce lo vedi su BBC, ed è normale perchè non mi immaginerei mai di vedere, che so, una Maria de Filippi che mi parla di fisica quantistica il pomeriggio alle 17. Per questo ci sono realtà come Crudo Volta Radio che cercano di offrire uno spazio dove si parla e si contestualizzano le varie dinamiche.
Secondo quello che dici neanche Nan Kolé allora dovrebbe maneggiare questa cultura delle periferie di Durban.
Francesco [Nan Kolé] è un producer e non un artista. Non è lui che crea la GQOM. Lui investe in dei ragazzi delle township di Durban e gli offre una piattaforma internazionale che altrimenti non avrebbero. Socialismo digitale lo definirei. Il problema è riuscire a mantenere l’autenticità di quella musica e non portare un artista ‘x’ a diventare di genere ‘y’.
Devi considerare anche che se la rivoluzione industriale ci ha permesso di fare molti salti in avanti, con costi di produzione e distribuzione gestibili da realtà medio grandi, Internet ha portato ad un cambiamento, a un processo di democratizzazione in cui da una parte hai il ragazzo di Durban che produce musica e la trasferisce in Europa e dall’altra il producer che la finanzia e promuove. Il problema però è che oggi proprio lo stesso Internet porta a un appiattimento della conoscenza. Cioè è facile conoscere un genere musicale ma difficile sapere qualcosa della scena in cui si inserisce quel genere. Il documentario nasce in questi termini. Cerca di limitare questo gap.
E infatti è quello che ho percepito guardando Woza Taxi.
Esatto. Tu vedi l’artista dove vive. Lui ti spiega il processo creativo, il processo storico, quando è nato il GQOM. Ti faccio un esempio. Su internet leggi che il GQOM è nato tra il 2012 e il 2014, e invece sul posto scopri che è nato nel 2005. Su Internet leggi che è stato inventato da dj Lag e invece esce fuori che è stato creato da un certo dj Kaibee. Con Francesco siamo andati lì e abbiamo aiutato i ragazzi a farsi conoscere soprattutto come volevano loro, senza seguire il classico plot.
È stato un viaggio che mi ha molto colpito moltissimo, sia perché vengo dall’Africa subsahariana, sia perché sono una persona molto razionale e pragmatica. Sapevo che Francesco sarebbe voluto andare in Sudafrica per incontrare i suoi ragazzi e a suo tempo gli dissi che mi avrebbe fatto piacere girare un documentario. Quando sono arrivato giù però mi sono ritrovato di fronte a dei ragazzini di 12-13 anni che lavorano, creano musica con dei computer del ’97, la postano sui social e invitano la gente a scaricarsela. Quindi zero distribuzione e pochi diritti.
E infatti gli artisti pop o i dj famosi che vivono lì, gli copiano o rubano le cose che producono perché loro non conoscono i meccanismi del copyright. La distribuzione più efficace, che va oltre il nostro modo di conoscerla, è promuovere le proprie creazioni attraverso dei taxi che portano fino a 10 persone. Sono molto più economici dei normali autobus e sparano a palla la musica di questi ragazzi. Roba folle. Non hai idea. Veri e propri sound system in movimento.
Nella prima parte del documentario si vede proprio come nasce questo incontro, questa collaborazione tra i ragazzi che producono la musica GQOM e i Taxi, e come mai sia uno strumento di marketing e diffusione così popolare. Nella seconda ci focalizziamo sugli artisti, sulle loro storie, sulla loro vita e sul loro processo creativo. Poi siccome il GQOM non è passato [e passa raramente] per le radio, abbiamo intervistato anche alcune persone per sapere il motivo di questa mancata diffusione [commerciale.] Mi dirai che questo succede un po’ ovunque ma il punto è che il GQOM non è una musica di nicchia. È la musica dei giovani di Durban. È di Durban. Questa musica è la musica delle township. Il riflesso della loro vita, del loro contesto. C’è un fortissimo senso di comunità che li rende unici e quando ascolti i loro pezzi te ne rendi conto. C’è una poetica nella lingua zulu e un orgoglio a essere zulu molto forte. E considera che il trascorso dell’apartheid è vivo, molto. Si sentono ancora la rabbia, l’energia, il dolore. Ma cercano di andare avanti.
E poi c’è questa cosa pazzesca che i ragazzi lavorano veramente con poco. C’è questo termine in lingua Zulu, ‘hlanganisa,’ che vuol dire ‘racimolare,’ ed equivale anche a grattare sul fondo della padella per racimolare qualcosa da mangiare. “Noi facciamo questo,” ti dicono loro. Magari la gente pensa che siano in chissà quali studi, invece stanno in dei posti che chiamano loksini o elokshini – in zulu sarebbe ‘posto’ – a fare la loro musica.
Senti, mi racconti del tuo viaggio precedente, in Maghreb?
A novembre sono andato in Marocco [sempre con Tommaso Cassinis,] perchè volevo cercare e scoprire la musica nera del Maghreb. Il Marocco ha tanti generi musicali, tipo la musica andalusa, la sufi. Io mi sono andato a focalizzare sul genere gnawa, musica creata e diffusa dagli schiavi del West Africa – Mali, Senegal – che fonde elementi della musica spirituale marocchina e la musica divinatoria del West Africa per l’appunto. Poi facendo ricerca ho scoperto che in queste zone, ci fu un periodo negli anni ’60 e ’70 in cui la musica nera urbana contemporanea – jazz, soul – si diffuse discretamente. E infatti c’erano queste etichette a Casablanca che avevano prodotto musica jazz marocchina. Ho trovato il fondatore di una di queste, ho comprato alcuni dischi e ho creato questo diario visivo che racconta i vari generi della musica del Maghreb: Petit Taxi.
Giravamo in questi piccoli taxi rossi che ci portavano in giro per i vari luoghi. All’inizio non è stato semplice perché non conoscevo gli artisti personalmente – come nel caso di Woza Taxi a Durban – ma per fortuna, essendo madrelingua francese, è andata molto liscia e il risultato è molto interessante.
Woza Taxi oltre ad essere un documentario è un mixtape in edizione limitata registrato su cassetta, una t-shirt e una zine di 24 pagine. Non perdeteveli.
Tutte le immagini | (c) Tommaso Cassinis, courtesy of Crudo Volta Radio
Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.