Tyler Perry Studios | La Nuova Frontiera Di Hollywood?

Anche quest’anno, come ogni anno, la stagione delle premiazioni a Hollywood è accompagnata da una fitta coltre di critiche. La filastrocca ormai è sempre la stessa: niente donne e POC nelle categorie più importanti come miglior film o regista, nonostante il successo dei film. In quello che sembra uno smacco alla pura logica, come ci fa notare anche Trevor Noah, alcuni film “sembrano essersi diretti da soli,” e Cynthia Erivo è stata l’unica donna nera a ricevere una nomination agli Oscar 2020 per la sua superba performance in Harriet, un film che, tuttavia, parla di schiavitù.
Il tema dell’inclusività nel mondo dell’intrattenimento è diventato un tema ormai obsoleto, un circo mediatico tramutato in strategia di marketing che si ripete anno dopo anno dopo anno, soprattutto per gli artisti e i produttori culturali afroamericani che lavorano e portano il loro contributo nell’industria da ormai un secolo, e che hanno anche sempre avuto un posto speciale nel cuore del pubblico di tutto il mondo. Infatti, mesi fa la (fake) notizia dell’inaugurazione dei primi studios cinematografici posseduti da un afroamericano ha fatto il giro del mondo sollevando un grande clamore. Ma se è vero che i nuovi Tyler Perry Studios (TPS) hanno ufficialmente aperto i battenti, non è vero che il fondatore, l’attore, commediografo e filmmaker Tyler Perry è il primo produttore nero a possedere degli studi cinematografici in America—anche se questi sono sicuramente i primi di questa grandezza e calibro. Infatti, il complesso di ben 330 acri situato a Atlanta, Georgia, di recente ha ospitato il Democratic Presidential Debate in vista delle prossime elezioni, e tra i vari set include 12 studios dedicati a personaggi leggendari del jetset afroamericano: Cicely Tyson, Sidney Poitier, Harry Belafonte, Oprah Winfrey, Whoopi Goldberg, Will Smith, Halle Berry, Denzel Washington, Spike Lee, Ruby Dee, Ossie Davis, e Diahann Carroll.
Le dinamiche economiche che affliggono e spesso impediscono la mobilità sociale negli Stati Uniti stanno gradualmente cambiando grazie al lavoro e—soprattutto—agli investimenti della nuova classe dirigente afroamericana per la maggior parte proveniente dalla comunità artistica e dallo sport. Infatti, dopo gli infiniti—e chiaramente non superati—scandali in termini di inclusione e rappresentazione che negli anni hanno interessato l’Academy Awards—il mancato annuncio di Moonlight come miglior film agli Oscar del 2017 è una ferita ancora aperta— sono tantissimi i produttori culturali che hanno lanciato appelli incoraggiando la comunità nera a creare le proprie istituzioni culturali e per l’intrattenimento, case di produzioni, studios e così via. Lo stesso Perry in un intervista per CBS News ha affermato: “Credo che a Hollywood mi ignorino completamente, davvero. E va bene così, lo capisco. Il mio pubblico e le storie che racconto sono storie afroamericane specifiche per un certo pubblico, specifiche per un certo gruppo di persone che io conosco, con cui sono cresciuto e con cui parliamo una certa lingua. Hollywood non parla quella lingua, come anche molti critici. Quindi per loro è normale dire: che roba è questa?”

Anche se con molte difficoltà, si può dire che Tyler Perry sia balzato direttamente in cima alla scala sociale, passando da dormire in macchina (come ha raccontato a Panorama qualche anno fa) a creare un impero che lo ha reso un vero e proprio esempio nel mondo dell’intrattenimento afroamericano, basti pensare al successo di film e serie che sono state girate nei suoi studios, come The Walking Dead, Black Panther (vi siete mai chiesti dove fosse realmente Wakanda?) o Precious, che nel 2010 ha ricevuto 6 nomination all’Oscar vincendone 2.
La notizia dell’inaugurazione dei TPS—spesso accompagnata da dettagli non sempre accurati—ha raccolto molti click, ma non ha reso giustizia ai pionieri storici dell’entertainment afroamericano in termini di empowerment e riconoscimento. Un’altra importante occasione persa, poiché durante il secolo scorso, si sono succedute numerose importanti compagnie di produzione, a partire da quella creata da William Forster, il (vero?) primo afro-americano ad aver fondato degli studi cinematografici a Chicago nel 1910, la Foster Photoplay Company, anche conosciuta come William Foster Studios. Foster desiderava che gli afroamericani fossero in controllo della loro rappresentazione per rompere gli stereotipi perpetrati dalle case di produzione bianche, e nel 1917 fu seguito dalla Peter P. Jones Photoplay Company di Peter P. Jones, un’altra compagnia gestita da neri che attraverso i film del suo fondatore, aspirava a mostrare il progresso afroamericano negli Stati Uniti.

La Lincoln Motion Picture Company (1916), completamente posseduta e controllata da un team nero, fu la prima a realizzare i cosiddetti “race movies,” ovvero i film con un cast nero e diretti ad un pubblico nero, mentre la Micheaux Film Corporation è considerata la casa di produzione che ha avuto più successo grazie alla prolifica carriera del suo fondatore, il regista, autore e produttore indipendente, Oscar Micheaux. Non sorprende che Micheaux, che ha girato e prodotto più di 44 film (molti dei quali furono diffusi durante il periodo ricordato come Harlem Renaissance) diventando una vera leggenda della storia del cinema afroamericano (come si legge nella biografia di Patrick McGilligan Oscar Micheaux: The Great and Only: The Life of America’s First Black Filmmaker,) venga paragonato a Perry, poiché invece di continuare a chiedere “di aggiungere un posto a tavola,” ovvero di domandare di essere accettato nel mainstream hollywoodiano, Micheaux si costruì il suo di tavolo. Come annunciato sul sito di Perry e da altri media, sarà proprio lui ad interpretare il personaggio dello storico filmmaker nella biopic di HBO prodotta da Meron, Zadan e lo stesso Tyler Perry.


Infine, anche se citata tra le prime case di produzione cinematografica a proporre film con cast neri, la Ebony Films ha una storia molto controversa. Stando a quanto afferma Mitch Hemann dei Norman Studios Silent Film Museum di Jacksonville (un’organizzazione no profit con l’obiettivo di conservare i film muti e celebrare l’esperienza cinematografica afroamericana), sembra che la compagnia fondata nel 1915 con base a Chicago originariamente si chiamasse Historical Feature Film Company e che la sua reputazione fu completamente distrutta dall’uscita del film di propaganda razzista Birth of a Nation di D.W. Griffith. A seguito delle forti reazioni del popolo afroamericano alla visione del film, la compagnia decise di affrontare le critiche cambiando il nome in Ebony Films e assumendo molti membri afroamericani nel proprio staff—una mossa che, anche se è passato un secolo da allora, purtroppo suona più attuale che mai.

La mancanza di inclusione nel mondo del cinema è un dato di fatto e sembra che Hollywood faccia ancora molta fatica ad adattarsi, facendo di diversità e inclusione sociale—e non economica—solo dei trend. Tuttavia, per chi lavora nell’industria e la conosce, è facile vedere le insidie dietro a questa doppia morale e seguire l’approccio indipendentista di Tyler Perry.
Oggigiorno negli Stati Uniti sono moltissime le compagnie di produzione cinematografica black all’avanguardia del settore che stanno cambiando il paradigma hollywoodiano, aprendo nuove opportunità con l’obiettivo di raggiungere una rappresentazione più ampia e inclusiva. Basti pensare alla SpringHill Entertainment di LeBron James, ad esempio, che oltre a lavorare al sequel di Space Jam, ha realizzato (insieme a HBO) The Shop, lo show che vede i più grandi nomi nel mondo dello sport e dell’intrattenimento discutere temi di attualità in negozi di barbieri in giro per l’America; alla Array di Ava Duvernay, la casa di produzione indipendente dietro al pluripremiato film The Burial of Kojo di Samuel “Blitz” Bazawul, che è gestita da un team di sole donne e promuove filmmaker donne e di colore; alla Monkeypaw Productions, fondata nel 2012 da Jordan Peele per portare alla luce problematiche sociali attraverso voci sottorappresentate nell’industria; alla Harpo Production di Oprah Winfrey, che ha anche lanciato il suo network, OWN TV (Oprah Winfrey Network).
A questi nomi si aggiungono anche Halle Barry, che nel 2014 ha aperto la sua compagnia di produzione 606 Films, e Viola Davis, che ha fondato JuVee Productions insieme al marito: “Abbiamo fondato JuVee perché vogliamo vedere narrazioni che riflettano la nostra cultura multietnica e multisfaccettata. Volevamo entrare a far parte delle storie classiche, popolari, e non volevamo aspettare.”
E poi ci sono la 40 Acres and a Mule di Spike Lee, la Simpson Street di Kerry Washington, la Cube Vision di Ice Cube, l’ex-rapper della N.W.A. che tra i vari film ha prodotto Straight Outta Compton, la Cinema Gypsy Productions di Laurence Fishburne, la Flavour Unit Entertainment di Queen Latifah che opera dal 1995, la No Brainer Films di Jamie Foxx, e molte altre ancora.
Sono tanti produttori culturali che hanno risposto all’appello per una nuova industria dell’intrattenimento, e sono tante le narrazioni, le storie, le memorie e i punti di vista che possono, devono ancora emergere. Che finalmente si sia aperta una nuova frontiera del cinema fatto da e per un pubblico black? Speriamo proprio di sì, sicuramente i segnali sono chiari e forti sin dal secolo scorso.
Sono una persona molto eclettica con un’ossessione per la musica e la sociologia. Nata e cresciuta in Italia, Londra è diventata la mia casa. Qui creo beat, ballo, canto, suono, scrivo, cucino e insegno in una scuola internazionale.