“Tutti I Bianchi Sono Razzisti” | L’Oréal Licenzia Munroe Bergdorf Per Aver Denunciato Il Razzismo

Ti prendo se sei “diverso” o una “minoranza” ma non azzardarti ad aprire bocca altrimenti ti siluro. È lo scenario che si è praticamente materializzato ieri, primo settembre, a neanche una settimana dall’annuncio della presenza di Munroe Bergdorf nella campagna di L’Oréal – YoursTruly True Match – che perora e difende la diversità.
Il primo settembre L’Oréal Paris UK ha deciso di cacciare l’attivista, modella e dj trasgender ventinovenne di East London Munroe Bergdorf per aver postato delle riflessioni considerate dalla compagnia di bellezza troppo poco tolleranti nei confronti delle diversità. Sopratutto dei bianchi.
Ma facciamo un passo indietro. Un paio di settimane fa, il 13 agosto, la Bergdorf in risposta agli episodi di Charlottesville, che come ricorderete hanno mostrato la faccia nazi e suprematista bianca americana in tutto il suo splendore (tra botte, violenze verbali e l’uccisione di una manifestante antifascista,) ha scritto un post su facebook (poi cancellato dallo stesso social network, non prima però che una pioggia di commenti razzisti e transofobi confermassero l’intenzionalità e le radici dell’esteranzione dell’attivista) in cui denunciava che la società occidentale nel suo insieme è un sistema radicato nella supremazia bianca e che i bianchi in maniera inconsapevole hanno acquisito e interiorizzato sin dalla nascita pratiche e opinioni razziste.
Il 27 agosto dell’anno scorso l’Oréal lanciava la sua campagna a favore della diversità nel mondo del make-up, con uno slogan forte ed efficace: “Perchè tutte valiamo” (Because we all worth it.) Ed esattamente un anno dopo, sei giorni fa, la stessa azienda ha pubblicato su instagram un teaser in cui annunciava che le tonalità del fondotinta passavano da 25 a 28, presentando quindi i nuovi volti delle nuove sfumature di colore e le loro storie. Tra questi c’era la Bergdorf. Una rivoluzione da parte di un brand, se si pensa che ha iniziato a coprire le necessità di più varietà tonali solo nel 2016.
Purtroppo, o forse sarebbe corretto dire meno male perchè così il Re – L’Oréal – si è mostrato in tutta la sua nudità, il 31 agosto il quotidiano di destra Daily Mail ha pubblicato un articolo contro la Bergdorf che includeva il post incriminato, decontestualizzato dal suo contesto (lo trovate qui sotto.)
“Honestly I don’t have energy to talk about the racial violence of white people any more. Yes ALL white people.
Because most of ya’ll don’t even realise or refuse to acknowledge that your existence, privilege and success as a race is built on the backs, blood and death of people of colour. Your entire existence is drenched in racism. From micro-aggressions to terrorism, you guys built the blueprint for this s***.
Come see me when you realise that racism isn’t learned, it’s inherited and consciously or unconsciously passed down through privilege.
Once white people begin to admit that their race is the most violent and oppressive force of nature on Earth… then we can talk.
Until then stay acting shocked about how the world continues to stay f***** at the hands of your ancestors and your heads that remain buried in the sand with hands over your ears.”
E cosa ha fatto l’Oréal? È corsa subito ai ripari – i suoi ovviamente – e, nel misero e goffo tentativo di farsi portavoce di valori in cui probabilmente non crede, è inciampata in quella che potremmo definire blackwashing o diversitywashing di campagna. Esattamente come il greenwashing. “Sosteniamo la diversità e la tolleranza nei confronti di tutte le persone, indipendentemente dalla razza, dal background, dal genere e dalla religione,” inizia a giustificarsi l’azienda. “La campagna True Match rappresenta questi valori e siamo fieri della diversità delle ambasciatrici che la rappresentano. Riteniamo che i recenti commenti di Munroe Bergdorf entrino in conflitto con questi valori e per questo motivo abbiamo deciso di interrompere il nostro rapporto con lei.”
Peccato che l’eccesso di zelo manifestato dall’azienda non abbia sortito la stessa presa di posizione con Cheryl Cole, una delle ambasciatrici contradditoriamente coinvolte in questa campagna, che nel 2003, ubriaca, assalì una signora nera che lavorava nella toilet di una discoteca tirandole un pugno in un occhio e urlandole “pu**ana nera del ca**o”, solo perchè quest’ultima si era permessa di chiederle i soldi per i servizi usati.
Licenziando la Bergford, L’Oréal ha mostrato tutta la sua fragilità e ipocrisia, e la Begfrod, parlando del post cancellato e dell’articolo del Daily Mail, ha specificato: “Quando ho affermato che ‘TUTTI I BIANCHI SONO RAZZISTI’ mi riferivo al fatto che la società occidentale nella sua interezza è un sistema fondato sulla supremazia bianca, un sistema costruito per avvantaggiare, dare priorità e proteggere i bianchi prima di qualsiasi altra razza. Di conseguenza i bianchi sono socializzati al razzismo sin dalla nascita. Non si tratta di genetica. Nessuno nasce razzista.”
Il fatto che sempre più aziende negli ultimi anni si stiano lanciando in campagne che mostrano e celebrano l’etereogenità della nostra società è una cosa super positiva. Il punto è che se queste aziende mettono a tacere quelle voci che attivitamente e quotidianamente denunciano le discriminazioni in cui si imbattono ogni giorno, l’Oréal è parte attiva del problema.
Come ha scritto il giornalista e attivista British Otamere Guobadia nel suo articolo per The Indipendent, “[L’Oréal] voleva la nerezza, la componente trans, la femminilità e tutta la gloria e il ricco capitale di diversità di Munroe senza però l’attivismo e la resistenza che caratterizzano la sua identità.”
Speriamo che questo episodio serva da lezione a L’Oréal e da monito a tutti quei marchi che sposano e promuovono la diversità.
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.