Tupac | Ecco Perchè Bisogna Vedere ‘All Eyez On Me’ E Il Documentario Che Svela Chi Ha Ucciso Il Rapper

Nell’estate di qualche luna fa, quando mi regalarono (prestarono) alcune cassette di musica hip hop, imparai che lo slang americano era una cosa molto seria e che le sei ore settimanali di grammatica inglese al liceo, più le chiacchiere con il parentame e amici vari, non servivano a nulla quando si trattava di decifrare la frase “I ain’t mad at cha”e tutto il resto.
Al tempo non c’era Genius e se non eri madrelingua dovevi ascoltare mille volte una canzone, stoppare, trascrivere quello che avevi registrato, rewindare e forwardare in continuazione per sistemare gli errori. Quando però leggevi il risultato finale ti dicevi, “ma cosa cazzo ho scritto?”

I ain’t mad at cha è una delle tracce di All Eyez On Me, l’ultimo album capolavoro (uscito a febbraio del ’96) di Tupac. Nato nel 1971, quest’anno il rapper della west coast avrebbe compiuto 46 anni. Inutile dirvi cosa rappresentasse per me l’uomo che insieme a Notorius BIG (suo grande rivale della costa opposta) mi introdusse al non ancora patinato ma molto violento e sessista mondo del hip hop.
Ieri è stato lanciato l’ultimisso trailer del fim biografico All Eyez On Me, in uscita nelle sale del Nord America il 16 giugno 2017 (qui in Italia chissà quando…) in cui vengogno mostrati alcuni momenti della vita di Shakur quando era giovane, fino alla sua ascesa e rivalità con Biggie Small Wallace. Vengono anche enfatizzati gli ideali che muovevano Tupac, in particolare le parole che suo padre, attivista, gli diceva da bambino, “Ti devi battere per qualcosa, devi vivere per quacosa e morire per qualcosa,” e di come fosse consapevole che quella piattaforma enorme dovesse essere usata per produrre un cambiamento.
https://www.youtube.com/watch?v=GRgua3A3XOE
Come tutti sanno, Tupac è morto il 13 settembre 1996. Aveva solo 25 anni. Sono passati quasi ventun’anni dalla fatidica notte (del 7 settembre) in cui alcuni membri di una gang esplosero da una macchina in corsa diversi colpi di pistola contro la bmw su cui viaggiava il rapper-poeta. L’auto si era fermata a un semaforo e Tupac si era sporto dal tettino superiore per parlare con un gruppo di ragazze. Il resto è bang, bang, bang, bang, bang.
Fino a qualche settimana fa la sua morte era considerata uno dei più grandi misteri nella storia della musica (e credo che ancora lo sarà.) RJ Bond, uno dei registi del documentario Tupac Assassination III: Battle For Compton (basato sul libro scritto sempre da lui, Tupac: 187 The Red Knight) sostiene che alcuni detective della omicidi non fossero realmente intenzionati a trovare il vero colpevole (forse perchè penavano che alla fine della fiera si trattava di un piantagrane nero in meno e oltretutto figlio della Black Panther Afeni Shakur, morta il 3 maggio dell’anno scorso).
Per avvalorare la sua tesi, Bond ha infatti portato alla luce una lettera confessione – non verificata – scritta da uno degli uomini che aprì il fuoco. In pratica l’uomo confessa che l’amico di Tupac che quella sera era con lui, Suge Knight, boss dell’industria del rap oggi nel braccio della morte, non era coinvolto nell’assassinio del rapper, e che, anzi, fosse lui il vero obiettivo di quei colpi (secondo quanto lui dichiara il tutto fu organizzato dalla ex moglie e Reggie Wright Jr.,) mentre Tupac fosse un danno collaterale.
Alcuni anni fa ho visto un documentario di Tupac su MTV. Non ricordo il titolo. Oggi c’è un film in uscita che narra la vita di uno dei più grandi rapper e poeti dello scorso secolo e un documentario che racconta un’altra verità sulla sua morte e sui suoi presunti colpevoli. Vederli entrambi è importante, sia perchè si parla della vita di un uomo che ha creato uno stile (non solo musicale) sia perchè i suoi potentissimi testi hanno influenzato e tuttora influenzano diverse generazioni (compresi rapper e cantanti pop.) Inoltre il 7 aprile la sua eredità musicale è stata onorata con una stella nella Rock and Roll Hall of Fame.
Ah, I ain’t mad at cha sarebbe, in inglese, I am not mad at you.
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.