Tu Balli Afro? | 5 Ragazzi Di Torino Vi Raccontano Un Po’ Di Cose Sulla Danza Africana

di Jennifer Caodaglio - Pubblicato il 23/02/2018

Quando parli di danza africana con un qualsiasi italiano tra i 25 ed i 60 anni, l’associazione mentale è quasi sempre la medesima: piedi scalzi e bongo.

Dagli anni ’80 ad oggi sono infatti fioriti —e spesso puntualmente sfioriti—centinaia di corsi, compagnie, seminari e festival—uno su tutti il Mama Africa Meeting di Villafranca—volti a celebrare e diffondere questa cultura coreutica.

La danza africana si è così quasi sempre qualificata come prodotto di importazione, rimaneggiato e, più o meno fedelmente, riproposto a cura e consumo di una nicchia italica abbastanza caratterizzata. Si tratta, per una grande maggioranza dei casi, di donne over 25 mosse da iniziale curiosità che, spesso, si tramuta in vera e propria passione. Le riconosciamo varcare l’uscio delle sale di danza per il look straordinariamente sobrio: top minimali in cotone monocromatico, pantaloni alla ‘aladino’ a cavallo basso o a tre quarti, capelli raccolti sulla nuca in distratte crocchie scomposte, o, ancora, dreadlock fieramente esibiti nel loro volteggiare in aria ad ogni movimento della testa. Trucco assente e piedi rigorosamente scalzi.

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via

All’alba del 2018, tuttavia, in una nazione ampiamente popolata da giovani italo-africani sotto i 25 anni, mi sembra necessario interrogarsi su cosa rappresenti la danza africana oggi per loro, e, di conseguenza, per i loro compagni di banco o follower su Instagram di famiglia italiana, est-europea o orientale.

Cominciamo con una precisazione che parrebbe scontata: se risulta straordinariamente riduttivo parlare di Africa tout court, altrettanto limitato e generalista sarebbe riferirsi all’afrodance come ad un unico calderone stilistico, valido ugualmente dalla Nigeria all’Angola, dal Senegal all’Eritrea, e così via.

Decine e decine sono, invece, gli stili, le attitudini e le sequenze ritmiche che compongono questo universo coreutico e musicale, tanto complesso quanto straordinariamente spontaneo.

In Sudafrica, ad esempio, si ballano il pantsula (ne abbiamo parlato qui) ed il gwara gwara; in Congo spopola il ndombolo; il kuduro e la kizomba sono danze angolane, mentre, in Ghana spopola l’azonto, solo per citarne alcuni.

Cosa succede quando tutto questo si innesta all’interno del tessuto metropolitano delle grandi città italiane senza alcuna mediazione, non importato a fini divulgativi —e, conseguentemente spesso speculativi— da italiani reduci da viaggi esotici, ma bensì come retaggio culturale, bagaglio istintivo ed imprescindibile dei giovani afroitaliani?

Può il ballo oggi in Italia, tra i ragazzi, con il suo alto tasso di fascinazione collettiva, rappresentare un superamento delle barriere interetniche e farsi metafora di unione, mutua conoscenza, progresso e crescita?

Abbiamo provato ad affrontare questi ed altri interrogativi insieme a cinque talentuosissimi ragazzi che a Torino, una delle città italiane in cui il dialogo multiculturale è oggi più intenso e, spesso, controverso, stanno costruendo una scena afrodance giovane, fertile e vivace.

MICHELLE

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Michelle ha 22 anni, è nata a Torino, è originaria del Ghana, studia Scienze Internazionali dello Sviluppo e della Cooperazione all’Università di Torino

Ballo le danze tradizionali del mio paese come l’adowa e il borborbor, e, ovviamente, l’azonto. Conosco anche gli stili ivoriani, nigeriani, congolesi e sudafricani, grazie alla frequentazione di amici che me ne insegnano i passi, o alle ore passate a guardare i video su YouTube. A dire il vero ballo di continuo perché da alcuni anni mi dedico anche all’hip hop dance e alla dancehall, quindi, tra lezioni, allenamenti, contest e serate, non sto praticamente mai ferma.

In passato le uniche occasioni per ballare qui a Torino erano le feste organizzate dalla mia comunità, a Natale, Capodanno, o per l’anniversario dell’Indipendenza del Ghana. Oggi i contesti sono, seppur pochi, in crescita: se fino a due anni fa la musica afrobeat era pressoché sconosciuta ed era impossibile imbattersi in una serata in cui la suonassero, ormai capita spesso che qualche brano venga inserito nella selezione dei Dj delle serate commerciali. Una sola eccezione è stata rappresentata da un locale che frequentavo al liceo e che ormai ha chiuso in cui mettevano esclusivamente musica africana; è lì che ho conosciuto gran parte dei miei amici con i quali a volte mi ritrovo nelle sale degli oratori per allenarci ed insegnarci nuovi passi a vicenda.

Tra cinque anni mi immagino un’espansione grandissima della scena afro, un moltiplicarsi di corsi nelle scuole di danza, un inserimento della categoria all’interno degli eventi di danza e via dicendo. Questo, mi auguro, porterà allo svilupparsi di una visione più ampia da parte di tutti, ad un aumento della conoscenza e ad un abbattimento dei pregiudizi.

Oggi vedo molta più curiosità anche da parte degli italiani rispetto a questa scena: spesso mi ritrovo ad insegnare dei passi ai miei amici perché li possano sfoggiare in serata, cosa che fino a qualche anno fa non succedeva, quindi sono molto ottimista rispetto ad una crescita esponenziale del fenomeno.

Poi non tutti gli africani hanno il ritmo nel sangue. Non è assolutamente vero! Ne conosco alcuni che non sanno ballare, che non sono affatto portati. Certo, statisticamente sono davvero pochi, ma non è una questione di sangue ma di cultura: per noi è un fatto culturale, si balla sempre, fin da piccoli, con i genitori, i nonni, i cugini, in casa ed alle feste…tutti crescono ballando.

BERNY

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Berny ha 23 anni, è nato a Kumasi (Ghana), fa l’insegnante

Per anni ho trascurato l’afro perchè non ne avevo ancora capito il vero potenziale e mi limitavo a seguire la massa, ciò che andava di moda: l’hip hop dance e il breaking. Mio fratello maggiore allora ballava, io ero un adolescente e mi ispiravo a lui. Ho scoperto l’afrodance solo qualche anno fa. Sarebbe meglio dire che sono emerso, perché l’afro è un attitudine che qualsiasi africano ha dentro di sé: il punto sta nel tirarla fuori, a suon di passi di danza o in altri modi.

Fino a qualche tempo fa era una mia priorità, ora come ora purtroppo ci dedico meno tempo. Noto che nelle persone c’è sempre meno voglia, poche occasioni in cui allenarsi, sempre meno contest. Praticamente nessuno, direi. Molto spesso ci si ritrova soli nella propria saletta a fare ‘due salti’…è un po’ triste.

Le ambizioni ci sono sempre…quando arrivi a vivere di questo, a pensare quotidianamente di voler fare qualcosa per farti conoscere, per ispirare, per imparare, ti rendi conto che non stai giocando, che questo non è solo un passatempo ma qualcosa che realmente vuoi diventare, vuoi essere. L’obiettivo è sempre lo stesso dal giorno zero: non c’è nulla di più glorioso di ispirare chi, come te, ci credo.

ALIMA

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Alima ha 21 anni, è nata a Messina, vive a Torino, ed è originaria della Costa d’Avorio. Studia Scienze della Comunicazione all’Università di Torino

Da che ho memoria posso dire di aver sempre ballato: in famiglia, alle feste, ai battesimi, ai matrimoni…da noi è tradizione ballare, è una cosa naturale. Ricordo che a sei anni, complici i moltissimi film sulla danza che andavano di moda a quei tempi ( ‘Save the last dance’, su tutti ), supplicai mio padre perché mi iscrivesse ad un corso di danza classica e moderna che frequentai per qualche anno. In seguito ho ripreso a concentrarmi sull’afrodance, anche grazie all’incontro con una ragazza del Ghana che mi ha fatto conoscere altri stili oltre al coupé-decalé tipico del mio paese [Costa d’Avorio]; ci siamo esibite insieme ad una festa e da lì non abbiamo più smesso di ballare.

Oggi posso dire di ballare 24 ore su 24, anche se mi ci dedico ‘seriamente’ tre volte a settimana. Frequenterei dei corsi molto volentieri, se ce ne fossero… Ho un progetto con un amico: insieme formiamo un duo afrodance e tre volte a settimana ci alleniamo, ci confrontiamo, montiamo coreografie e, a volte, giriamo qualche video. Per ora è un passatempo, una passione, anche se, ovviamente, non mi dispiacerebbe affatto l’idea di lavorare come ballerina.

Non credo che attualmente qui in Italia ci sia molto spazio per noi. Forse in un primo momento potrebbe incuriosire perché rappresenta ancora qualcosa di diverso, di poco visto, ma non credo che le occasioni di lavoro siano molte, per ora. Sporadicamente mi capita di partecipare a progetti di videoclip musicali (ne ho fatti due e forse ce ne sarà un terzo) e di competere in qualche contest.

FRANK

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Frank ha 19 anni, è nato a Port Bouet (Costa d’Avorio), studia Agronomia all’Università di Torino

I miei amici non africani stanno iniziando a conoscere l’afrodance grazie alle hit che spopolano sul web e alle serate, ma trovano la danza estremamente complicata, per quanto molto divertente; solo uno su dieci non la pratica, ma chi inizia non smette più, è una garanzia!

Credo per loro sia abbastanza chiara la differenza tra danza afro tradizionale e l’afrodance che si balla oggi. Io ballo essenzialmente su afrobeat di nuova generazione e la differenza con i ritmi, le modalità ed i movimenti delle danze tradizionali è evidentissima.

Mi piacerebbe molto che l’afro crescesse nella mia città, dando vita a momenti di condivisione, magari creando eventi in cui, oltre allo svago, approfondire anche la componente culturale. Se devo essere sincero non ho mai pensato di fare della mia danza una professione, diventando un performer o un insegnante, ma, riflettendoci, in effetti perché no? Se non lo faccio io, chi lo fa? [ride]

ARISTIDE

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Aristide ha 24 anni, fa il gommista, è nato ad Abidjan, Costa d’Avorio. È arrivato in Italia nel 2011

“Appena arrivato in Italia mi sono accorto dell’esistenza di una timida realtà afrodance, costruita anche e soprattutto grazie all’azione degli immigrati di prima generazione che hanno importato e diffuso le nostre danze tradizionali, accompagnati dallo djembe. Si tratta di un contributo senza dubbio importante, perché ha permesso, e tutt’ora permette, di far conoscere i costumi, la cultura ed il folclore dei nostri paesi d’origine.

La seconda generazione, che è quella che rappresento io, vuole fare la stessa cosa ma adattandola ai giorni nostri, diffondendo i nuovi stili, utilizzando i brani new style, le hit che spopolano su Youtube, le canzoni afrobeat che ascoltiamo tutti i giorni in cuffia, esattamente come si fa oggi in Costa d’Avorio, in Congo o in Senegal.

Personalmente mi sto dando da fare per sviluppare un movimento chiamato Afrodance Torino che contribuisca a promuovere la conoscenza dei diversi stili come il coupé decalé, il kuduro, l’azonto il ndombolo, ma anche l’afro-house, coinvolgendo ballerini di diversa provenienza. Ho inoltre organizzato la prima edizione di un contest dedicato esclusivamente all’afrodance che alla gente è piaciuto molto. Il mio sogno sarebbe quello di dare vita ad un centro aperto a tutti, in cui ognuno possa imparare ed allenarsi gratuitamente, così da creare una vera e propria comunità non solo di africani, ma rivolta a chiunque sia incuriosito o appassionato a questa cultura.

Ho iniziato questo progetto pubblicando qualche mio video sui social, non appena sono arrivato in Italia, per capire quali potessero essere le reazioni della gente; ad Abidjan facevo parte di un gruppo di ballerini che si esibiva durante le cerimonie religiose e nelle chiese cattoliche, e la cosa mi mancava. Grazie ad uno di questi video mi hanno chiesto di esibirmi ad una festa di compleanno e così ho iniziato a formare un piccolo gruppo. L’anno successivo il gruppo era raddoppiato, e con i nostri video abbiamo iniziato a raccogliere un certo seguito sul web. Oggi teniamo un corso di Afro Dance Fusion frequentato persone di tutte le età e nazionalità.

Jennifer Coadoglio

Tutte le immagini | Per gentile concessione degli intervisati e/o di Jennifer Caodaglio

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Dove gli stimoli non sono mai troppi ed il tempo mai abbastanza, lì si inserisce la mia vita: sono laureata in Letterature Moderne, organizzatrice di eventi, ballerina ed insegnante di streetdance, caraibica di origini e torinese di nascita.