Timbuktu | Trionfo Ai César, Aspettando Gli Oscar

di Johanne Affricot - Pubblicato il 21/02/2015

Mina Alessane ancora ricorda il mattino in cui i ribelli del MNLA arrivarono a Timbuktu. Stava davanti il cancello di casa quando le passò davanti una colonna di pick up carichi di uomini armati. Era il 1 aprile 2012 e la città del Sahara quel giorno risuonò del rumore dei colpi di pistola. Il mattino seguente arrivarono i jihadisti alleati di al-Qaida e annunciarono che avrebbero governato Timbuktu nel nome dell’Islam e sotto la legge della Sharia. Molto persone non rimasero lì a cercare di capire cosa significassero esattamente quelle dichiarazioni e presero il lungo tracciato del deserto, verso sud.

Alessane, 52 anni, della tribù dei Bela, racconta il suo esodo. Lei e 13 membri della sua famiglia che condividevano casa, restarono aggrappati alle sorti di Timbuktu per un mese terrificante, ma alla fine la situazione economica li costrinse ad andarsene. Suo marito era andato in pensione due mesi prima che l’occupazione cominciasse e lei guadagnava pochi soldi realizzando le tradizionali stoffe indigo indossate dai Touareg.
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Ma quando arrivarono i ribelli, il mercato smise di funzionare e lei vendette quante più stoffe possibili, le capre, impacchettò poche borse e si unì al milione e mezzo di persone che dal nord – inclusi almeno 2/3 della popolazione di Timbuktu – scappò verso sud o nei paesi confinanti.

Seguì l’evolversi degli eventi dalla vicina città di Sévaré – successivamente si spostò a Ségou – guidata dalle forze governative e fu estremamente contenta quando finalmente arrivò il giorno della liberazione. Ogni giorno passato lontano da casa era un tonfo al cuore, perché la sua casa era Timbuktu.

Nel febbraio del 2013, 15 giorni dopo che la città fu liberata, era di nuovo a casa, insieme alla sua famiglia e alle circa 370.000 persone che vi avevano fatto ritorno. Secondo Alassane, nessuna delle persone incontrate e provenienti dal nord intendeva restare al sud.

Il talentuoso Abderrahmane Sissako, regista mauritano cinquantatreenne, ha raccontato parte di questi fatti di sofferenza e sopraffazione nel suo ultimo film – Timbuktu – fresco di premiazione ai Cèsar, gli oscar francesi – e molto acclamato a Cannes – dove ha conquistato ben 7 statutette: miglior film, regia, musiche, montaggio, suono, fotografia e soggetto.

In un’intervista a Reuters, Sissako sostiene che il ruolo dell’artista è quello di testimoniare i fatti della vita.

Nelle scene iniziali, i ribelli fondamentalisti si rimbalzano un ostaggio occidentale e discutono su quale regime terapeutico riservargli. “L’obiettivo era di non mostrarli nelle uniche dimensioni di vittime o cattivi”, dichiara il regista. Questo è solo uno dei modi in cui Sissako ha voluto mostrare il lato umano dei jihadisti, persone che allo stesso tempo sottomettono un intero popolo.

“Se vuoi parlare di tragedie e umanità è molto importante raccontarle nel modo più bello. Non per spettacolizzare il tutto”, dice. “Ho provato a spiegare che un gruppo di persone con una visione molto ridotta del mondo si è indebitamente appropriata dell’Islam”, aggiunge.“Nessuno nasce con un Kalashnikov o la barba”.
Una delle ragioni per cui Sissako si focalizza sui particolari della vita quotidiana della Timbuktu occupata è mostrare ciò che i media occidentali spesso trascurano.

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Anche se è considerato un long shot per un Oscar, Timbuktu sarebbe il 4 film africano a vincere a Hollywood.

Sissako crede che la sola nomination possa mostrare al mondo un’Africa sotto una luce diversa. “Sono qui perché sono africano…e l’Africa ha bisogno di più considerazione perché non è solo guerre e fame”.

In lizza come miglior film straniero ci sono il russo “Leviathan”, il polacco “Ida” –tra i favoriti per la statuetta – l’argentino “Relatos salvajes” e l’estone “Tangerines”.

Se volete andarlo a vedere, il film è in programmazione al Quattro Fontane, al Nuovo Sacher (Roma) e all’Apollo Spazio Cinema (Milano). Su Trovacinema trovate la lista completa delle sale.

Fonti – The Guardian | Reuteurs

Immagine in evidenza | Abderrahmane Sissako (centro) sul red carpet con i membri del cast: Abel Jafri (4° da sinistra); Ibrahim Ahmed aka Pino (5° a destra); Toulou Kiki (4° a destra); Hichem Yacoubi (2° da sinistra) e altri ospiti. Cannes, maggio 2014

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