‘The New Black Vanguard’ è Il Vocabolario Visivo Che Sta Ridefinendo L’industria Della Moda—e La Società

In un caldo e umidissimo pomeriggio estivo di tanti anni fa, mentre mi gustavo seduta al tavolino della gelateria Fior di Latte a Pétion Ville (Haiti) il mio cono gelato alla stracciatella, mio fratello mi guarda e dice con tono gentile ma fermo: “Perché ti vesti così? Perché ti sei messa quei jeans strappati? Le persone penseranno che sei una poverella.” I jeans in questione erano un paio di Diesel ultimo modello, strappati—al ginocchio—perché non riuscivano più a contenere quella taglia in più, ma erano pur sempre dei Diesel. Una t-shirt e un paio di sneaker Nike completavano l’outfit. Quelle domande mi catapultarono subito nelle dinamiche di classe che hanno definito molto la società haitiana, che è al 95% Nera, di origine africana. Ancora oggi, quando entri in una banca di Port-au-Prince, o Jacmel, è difficile—per non dire impossibile—vedere allo sportello donne che portano i loro capelli al naturale. Pochi anni fa una mia cugina, dopo anni di studio e sacrifici, ha preferito rinunciare all’opportunità di un posto in banca piuttosto che accettare la regola—non scritta?—di stirarsi i suoi capelli ricci afro.
Sempre ad Haiti. Estate anni novanta, ricordo il “rito della vestizione e dei capelli”: per me un vestito di cotone rosso con fiorellini bianchi, lunghezza ginocchio, rigorosamente confezionato in casa da mia madre; ballerine bianche con cinturino traforate sulla punta e capelli pettinati e cotonati con l’immancabile pettine a denti lunghi e l’impugnatura verde a forma di pugno. Era il giorno delle foto di famiglia in studio. Cieli al tramonto o colori tenui facevano da sfondo alle nostre pose, con e senza sorriso.
Questi particolari e ricordi negli anni li ho ritrovati negli scatti dei celebrati fotografi maliani Malick Sidibé (Soloba, 1936 – Bamako, 14 aprile 2016), Seydou Keïta (Bamako, 1921 – Parigi, 21 novembre 2001) e in parte oggi li ritrovo—incluso un intero immaginario perso durante l’adolescenza e post-adolescenza—anche negli scatti dei quindici fotografi raccolti nel volume e nella mostra The New Black Vanguard: Photography between Art and Fashion, edito da Aperture.
Curato dall’autore, critico e curatore statunitense Antwaun Sargent, The New Black Vanguard: Photography between Art and Fashion evidenzia la radicale trasformazione in atto nelle industrie dell’arte e della moda, e come l’attuale linguaggio visivo legato alla bellezza e al corpo sia stato arricchito da una nuova vitalità, essenza, grazie al lavoro di una comunità internazionale di fotografi Neri. I loro vibranti ritratti e le immagini concettuali hanno impreziosito i magazine di moda e lifestyle, le campagne pubblicitarie e gli spazi museali, oltre che essere stati ampiamente condivisi sui loro social.
Ho incontrato Sargent la scorsa settimana a Milano, invitato da Gucci che ha voluto celebrarlo ospitando la firma del suo libro all’interno del negozio bandiera di via Montenapoleone. Un evento esclusivo a cui hanno partecipato più di trecento persone.
Sargent è un animo multiforme, cultore e amante dello stile. Dell’arte. Se ci si immerge pochi minuti nel suo Instagram si comprende immediatamente il livello di coinvolgimento emotivo ed estetico che ha con questi due mondi, con l’immagine, anche se le sue prime pubblicazioni vertevano sulla politica: “Sono cresciuto a Chicago, ho studiato Politica alla Georgetown University, ma sono sempre stato interessato all’arte e andavo sempre per musei. Dopo il college, quando mi sono trasferito a New York ho cominciato a frequentare artisti della scena locale, con alcuni dei quali sono diventato amico, e mi sono detto ‘Oh, voglio scrivere del loro lavoro,’ e così otto anni fa ho cominciato a scrivere di arte.” Tutti artisti che, sottolinea, avevano pochi spazi stampati dove poter esprimere questioni per loro cruciali, e lo stesso mondo dell’arte non prestava loro la dovuta attenzione. “Da allora, oltre a scrivere ho iniziato a curare mostre, in particolare sulla creatività, sulle idee e sulla produzione artistica che nascono all’interno della comunità Nera.” Riflessioni che negli anni ha ampiamente analizzato anche in relazione all’impatto che il Black Lives Matter ha avuto sull’arte emergente Nera e viceversa.

Non stupisce quindi che in The New Black Vanguard sia riuscito a creare e a raccogliere l’alchimia perfetta tra arte, moda, cultura e giustizia sociale. Le opere dei quindici artisti presentati nel volume portano in primissimo piano il dibattito sul corpo nero, sia dietro che davanti alla macchina fotografica, e la relativa costruzione delle immagini nel passato e nel presente, caratterizzata dalla presenza di barriere istituzionali che storicamente hanno escluso i fotografi Neri dal fare pienamente parte delle industrie della moda e dell’arte.
Campbell Addy (Regno Unito, Ghana), Arielle Bobb-Willis (Stati Uniti), Micaiah Carter (Stati Uniti), Awol Erizku (Stati Uniti, Etiopia), Nadine Ijewere (Regno Unito, Nigeria), Quil Lemons (Stati Uniti), Namsa Leuba (Svizzera, Guinea), Renell Medrano (Stati Uniti, Santo Domingo), Tyler Mitchell (Stati Uniti), Jamal Nxedlana (Sud Africa), Daniel Obasi (Nigeria), Ruth Ossai (Regno Unito, Nigeria), Adrienne Raquel (Stati Uniti), Dana Scruggs (Stati Uniti), e Stephen Tayo (Nigeria) attraverso il loro lavoro offrono infatti nuove prospettive, un nuovo sguardo, mettono in discussione e ribaltano il tradizionale immaginario eurocentrico, bianco-centrico di bellezza, così come lo stesso concetto di bellezza; allo stesso tempo, “esplorano questioni di genere, identità e desiderio in forme inedite e produttive, dando vita a una nuova definizione di cosa è un’immagine di moda, ampliando il raggio di rappresentazione e la definizione di fantasia e potere radicati in specifici contesti culturali,” scrive il curatore nel volume.

“Siamo in un momento storico in cui dobbiamo raccontare, definire le nostre storie. Dobbiamo mettere in relazione le nostre storie artistiche. E penso che The New Black Vanguard sia un’opportunità per farlo. Questo libro parla di un gruppo di giovani image maker di tutto il mondo. Sono un giovane scrittore e curatore Nero che è cresciuto con questi fotografi, vedendoli su instagram, andando alle loro mostre, incontrandoli in Sud Africa e altri posti. Ho visto la loro trasformazione, sia da un punto di vista artistico che di contenuti, ed essendo dentro la scena sapevo chi faceva cosa, vedevo come tutti pensavano al corpo nero, alla moda, allo stile, a storie diverse legate alle loro singole e diverse comunità, ma con al centro il corpo nero come soggetto della fotografia, e il significato di quel corpo per questa generazione,” mi confessa.

Una generazione di fotografi ventenni e trentenni—il più giovane ne ha 22, il più adulto 37, e lo stesso Sargent ha da poco compiuto 31 anni. Ma se è vero che ci troviamo di fronte a una nuova avanguardia creativa che sta cambiando le regole del gioco nell’industria della moda, è altrettanto vero che prima di loro è stato fatto un grande, enorme, fondamentale lavoro, su più fronti. Le nostre istanze, i nostri traguardi, includendo ed escludendo colore, identità, genere, sessualità e altre sfumature di cosiddetta diversità, sono sempre il risultato di qualcosa iniziato in un momento precedente. E se nel passato non siamo stati esposti a certi riferimenti, immaginari, questa raccolta mostra la pre-esistenza di un vocabolario estetico, oggi evoluto in un linguaggio più contemporaneo, che esalta il corpo nero, la sessualità, l’identità, la bellezza.


“Il motivo per cui ho intitolato il libro The New Black Vanguard è perché ti dà l’idea di Storia. Se dico the new significa che c’e un passato. Il passato è la Storia a cui questi fotografi stanno attingendo. Sia che si tratti di arte che di moda, osservando il lavoro di ciascun fotografo si nota subito la grande diversità che c’è tra loro. E volevo assicurarmi che stessimo scardinando quelle definizioni monolitiche che ci riguardano. Lo dimostrano le immagini [contenute nel libro], così come l’evoluzione della conversazione su razza, sessualità, identità, sul medium fotografico stesso, tra la vecchia e la nuova guardia. È evidente come le preoccupazioni delle diverse generazioni siano diverse e cambiate. Mano a mano stiamo riuscendo a ridefinire l’essere Neri nello spazio di quell’immagine. Quindi, per prima cosa era importante dar vita a questo tipo di documento comune, che provenisse dall’interno di quella comunità. Non è raro trovarci di fronte a narrative in cui siamo i soggetti, ma non quelli che controllano, curano o scrivono quella narrativa. Questo libro fa questo. Poteva essere facilmente un volume di mille pagine, non è esaustivo. Volevo provare a mostrare qualcosa di rappresentativo.”
Prendendo in prestito le sue parole, siamo un “collettivo sciolto”, composto da diversi protagonisti ed entità sparsi nel mondo che ogni giorno rafforzano la base di questo lavoro di destrutturazione dello status quo: creando i nostri spazi, autorappresentandoci nei nostri spazi, abitando altri spazi, producendo i nostri contenuti, esponendo le nostre questioni. E in questo libro, l’assottigliamento dei confini tra razza e genere è sempre più evidente, come non era mai successo nel passato. “Viviamo in un grande momento di intersezionalità, le nostre identità non vengono più separate. Sono un maschio gay e Nero, e oggi posso mantenere entrambe le mie identità complesse in un unico luogo, perché è ciò che sono.

Non è più ‘questa è l’omosessualità’, o ‘questo è l’essere Neri’. E lo vediamo anche nell’arte. Questa conversazione sugli aspetti sociali e sull’identità nel mondo dell’arte in realtà è iniziata intorno al 1994, con Black Male della Whitney Biennial, e da lì è esplosa. Abbiamo una grande opportunità di mostrare chi siamo, di raccontare la grande diversità e la grande complessità che ci caratterizzano, e spero che questa integrazione di più sfumature vada oltre la razza, perché se pensi alle varie forme di ispirazione, ciò a cui si ispirano gli artisti, ecco, non sono solo influenzati da artisti Neri, da artisti bianchi, da artiste donne, per esempio. Se pensi a questi fotografi, ognuno di loro ha vissuto dei momenti personali che li ha ispirati, come: ‘Oh, ho visto quello show di Gucci e mi ha fatto venire voglia di credere in questa fantasia’, oppure ‘Mi ha fatto venire voglia di creare immagini di questo tipo,” o anche ‘Ho visto quella campagna pubblicitaria’.”



La rivoluzione estetica che questi fotografi stanno realizzando, in alcune sue articolazioni può apparire afrofuturista. Sebbene sia un termine complesso, abusato, non del tutto compreso, per alcuni sconosciuto, Sargent, accogliendo la mia domanda, risponde: “Daniel Obasi [uno dei fotografi presentati nel volume] si ispira molto all’Afrofuturismo. Una delle cose che dice è ‘l’Afrofuturismo è ora’. Ogni giorno, come persona Nera devi immaginarti il futuro in cui vuoi vivere. E sebbene il termine abbia preso altre direzioni rispetto al suo contesto originale, credo che sia un periodo che molti sentano profondamente futuristico. E non solo nella moda e nella fotografia, ma anche nella musica, nel cinema, nella letteratura, e così via. Ogni giorno. Stiamo portando in superficie le nostre questioni, scriviamo come vogliamo scrivere, stiamo costruendo quelle comunità di cui abbiamo bisogno per il nostro lavoro, per le nostre idee, per la nostra identità, per far nascere davvero più spazi. Quindi per me l’Afrofuturismo oggi significa realmente questo,” afferma. “Pensando a Deb Willis Thomas, questo libro può essere legato a quella stirpe, perché fa parte di quel progetto che lei [e altri] hanno iniziato più di vent’anni fa. È importante scrivere queste storie perchè in questo modo le persone potranno usarle.”

L’importanza di creare e archiviare queste storie è cruciale per tutti. E, soprattutto, è fondamentale diffonderle e farle arrivare in quegli spazi abitati da persone che hanno difficile accesso a questo linguaggio estetico, sociale e culturale. “Il libro è diventato un punto di riferimento. Si trova al Metropolitan museum, in altre biblioteche di ricerca e spazi dove puoi andare e consultarlo. Una delle cose più belle che mi è successa è aver saputo che [il libro] è arrivato sul tavolino di un salone di bellezza. Qualcuno ha postato un’immagine su Instagram e me l’ha mandata. Ero letteralmente elettrizzato. Il punto è che la comunità sta rispondendo in maniera organica e mai, nei miei sogni più selvaggi, avrei immaginato che potesse accadere una cosa del genere. È esattamente quello il posto in cui dovrebbe essere. Quando entri in un luogo legato alla bellezza Nera, questo libro dovrebbe essere uno dei riferimenti a cui poter guardare.”
La bellezza è potere, sostiene la modella e autrice Barbara Summer. E le immagini di moda, afferma il curatore, sono aspirazionali: le persone possono sentirsi incluse o escluse rispetto alle immagini che osservano e da cui sono osservate. Chi non rientra nelle limitate definizioni di genere, classe e bellezza trasmesse dalle immagini, può viverlo come un fallimento personale, accompagnato da una sensazione di distacco e invisibilità. Immagini che sottilmente comunicano che i loro corpi, i loro capelli e la loro pelle non erano adatti.


E in questa rivoluzione, il mondo dell’arte e della moda, seppur ancora timidamente, e a seconda dell’area geografica, stanno offrendo le loro risposte, senza troppi filtri. Risposte che hanno il sapore di responsabilità sociale d’impresa che, seguendo il mercato e la sensibilità della società su certe tematiche, c’è—in Italia non è un mistero che siamo lontani anni luce da questo cambiamento radicale, ma qui a GRIOT stiamo sul pezzo.
Gucci dopo gli scivoloni con Dapper Dan e il maglione delle collezione autunno-inverno 2018-2019–ritirato a tempo di record da ovunque—che evocava la ‘black face’, ha avviato con il primo un forte sodalizio che ha riconosciuto e riconosce, ha onorato, onora e porta avanti la sua eredità nell’universo della moda; a maggio 2019 ha lanciato in Nord America un fondo di $ 6.5 milioni per il progetto Changemakers, legato a inclusione e diversità. A luglio scorso ha nominato Renée Tirado Global Head of Diversity, Equity & Inclusion. E poi c’è anche la zine Chime, rivista che promuove l’uguaglianza di genere e l’auto-espressione.

Avere alla guida creativa del marchio Alessandro Michele probabilmente fa la differenza. Alla fine della sfilata di presentazione della collezione uomo autunno-inverno 2020, in cui ha celebrato il suo quinto anno come direttore creativo di Gucci, ha dichiarato, “Questa collezione è un invito a reimparare un modo diverso di essere maschi. Il tema è quello di una mascolinità che non esclude, il raccontare la complessità dell’essere uomo non per forza come ci è stato raccontato crescendo. Ho immaginato di tornare un po’ bambino, quando ci viene permesso di essere liberi e meno etichettati perché poi quando cresci ti dicono ‘questo non lo puoi più fare’, ‘questo non è da maschio o da femmina’ ed è interessante scoprire come reimparare. Tornare indietro è un modo di tornare a imparare, usare il tempo in un modo arbitrario e dire ‘proviamo a fare qualcosa di diverso perché la tossicità dell’essere maschile in un modo stereotipato è pericolosa, sia per gli uomini che per le donne, gli uomini ne sono schiavi e le donne la subiscono.’
Anche Vogue non è da meno. Nel 2017 Elaine Welterot a soli ventinove anni è diventata direttrice editoriale di Teen Vogue (carica che non riveste più); pochi mesi più tardi è seguita la nomina—da tempo nell’aria—di Edward Enninful a editore capo dell’edizione britannica di Vogue. In Italia, tutte e quattro le edizioni del Photo Vogue Festival hanno dato risalto a tematiche estremante attuali, e le ultime due hanno trattato questioni legate alla diversità e alla decostruzione degli stereotipi, attraverso una serie di conversazioni e incontri aperti al pubblico.
Sono dei precedenti, delle fratture con il passato e delle aperture con il presente su cui bisogna lavorare, che non devono essere trattate dalle aziende e dai media come trend da buttare nella spazzatura in qualsiasi momento.

Per Sargent è chiaro quali siano i prossimi passi: “Siamo davvero agli inizi. Questi fotografi hanno tutti meno di 37 anni, sono all’inizio della loro carriera, quindi hanno bisogno di opportunità per crescere, mostre, opportunità nel mondo della moda. Questo libro non deve rappresentare un ‘Oh, ce l’abbiamo fatta’, ma piuttosto indicare come possiamo continuare a far crescere questa generazione di fotografi, per assicurarci in qualche modo che i cambiamenti che stanno avvenendo siano saldi, che è qualcosa di importante per la nostra cultura, per le generazioni future, che avranno l’opportunità di dire ‘Oh sì, Tyler Mitchell, Campbell Addy’ oppure ‘posso farlo anche io perché questo ragazzo ha scritto questo libro’, e via dicendo. Con tutte le mie attività, che spaziano dall’editoria alla curatela, i miei rapporti con marchi come Gucci continueranno a seguire questo flusso di conversazione, non solo legato a come possiamo aprire la porta ad artisti Neri, ma a come possiamo far sì che una grande varietà di artisti che hanno qualcosa di valore da dire riescano ad avere la piattaforma per farlo, sperando anche di restituire a noi stessi cultura come forma di ispirazione.”
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.