L’ultimo Progetto Di Flee Rivisita Il Tarantismo Come Estetica Globale

Se avessimo solo avuto la parola scritta, l’effimero misticismo dei rituali sarebbe andato completamente perso. Finiremmo gli aggettivi più velocemente dell’affanno che viene a coloro che—nel temporaneo stato di trans—praticano rituali. Alla fine, si riprendono, lasciando i testimoni—noi—senza parole, facendo fatica a descrivere un evento di cui la più intima essenza non è mai stata pensata per essere qualcosa contro cui lottare, ma come qualcosa da vivere, da sentire, vedere, ascoltare, toccare. È questa carenza di linguaggio con cui si confrontano tutti coloro che tentano di descrivere i rituali, anche—ma non solo—il rituale italiano meridionale del Tarantismo.

Fonte di fascinazione per studiosi e turisti per decadi, il Tarantismo è generalmente definito come un “comportamento isterico” o una “danza maniacale”. Consapevoli dei limiti che le parole avrebbero trovato di fronte allo spazio liminale tra un mondo razionale e tangibile, e un universo astratto e fuggevole, è un sollievo che molti abbiamo tentato di catturare l’essenza del Tarantismo con le parole, ma è quasi certo che abbiano fallito in diversi modi, poiché tipicamente i rituali si sottraggono a questi tentativi con facilità. Ciò nonostante, un recente progetto sul Tarantismo a cura della piattaforma di ingegneria culturale Flee, è un vero piacere da consultare, e non perché abbia avuto successo nel descrivere il Tarantismo, ma perché ha inquadrato e ridefinito una tradizione “contadina” liminale come un’estetica globale.

Se non altro, questo ultimo tentativo potrebbe essere considerato come la vera missione di Flee. Infatti, Tarantismo: Odissea di un rituale italiano è il loro secondo lavoro e arriva subito dopo un’altro progetto che esplorava il genere di musica keniana chiamato Benga. Ogni progetto di Flee è principalmente un esplorazione artistica ed estetica attraverso suono e immagini, il risultato di solito è di nicchia e di basso profilo ma eccezionalmente accurato e profondo: si pensi ai vinili e al raro impegno nel creare format stampati e mostre, si aggiungano all’equazione i nebbiosi vibes svizzeri et volià! Flee non è un lavoro, ma una passione e si vede in ogni singolo progetto. In questo caso, è la passione di tre persone, i fondatori di Flee, Alan Marzo, Olivier Duport e Carl Åhnebrink.
Questo progetto di Flee sul Tarantismo è audace, visto che il rituale si trova dalla parte opposta rispetto ai commentatori e produttori culturali che rivendicano un “rinascimento”, che in molti casi riguarda la loro capacità discorsiva. Tuttavia, sembrano essere consapevoli del fatto che stanno camminando sulla linea finissima tra cultura contadina quasi completamente cancellata dalla memoria delle regioni transalpine e una danza e fenomeno musicale che promettono un vero interesse economico e identitario in Salento, la culla pugliese del Tarantismo la cui economia è completamente dipendente dal turismo. Come giustamente fa notare Flee, il Tarantismo è il riflesso della vita quotidiana di milioni di individui, ma anche una relazione di potere estremamente complessa attraverso la quale il dominio culturale e le differenze sono mediate.


Affidando a rispettati studiosi italiani di rituali il compito di raccontare di nuovo la storia del Tarantismo, il progetto assume un rischio calcolato e posa la vista sulla reinterpretazione artistica ed estetica degli elementi del Tarantismo. Il lavoro include un doppio LP con cinque registrazioni originali dalle prime scoperte sulla Pizzica—la componente sonora del Tarantismo—e sei rielaborazioni a cura di sette artisti da tre continenti: Bjorn Torske & Trym Søvdsnes, LNS, Uffe, Don’t DJ, Bottin e KMRU, che ha anche preso parte al loro primo progetto in Kenya. In piano c’è anche un ciclo di mostre che seguirà il lancio del progetto ed includerà materiale audio e video pubblicato all’interno del progetto, ma anche materiale aggiuntivo.
Nel frattempo, l’impatto del Tarantismo rimane indifferente alle interpretazioni della società, sia in patria che all’estero. Per quasi un millennio, il Tarantismo ha sempre sfidato le visioni egemoniche su come funziona il mondo, facendosi un formidabile rivale sia della religione che della scienza. Mentre le esperienze relative al sacro diventano sempre più rare, diventano anche più attraenti per un mondo che in molti modi è disconnesso dalla sua origine—qualunque essa sia.
Sotto molti aspetti, il Tarantismo rimane una proposta per trascendere e sovvertire la realtà attraverso un complesso sistema ritualistico che secondo Luigi Chiriatti, uno dei più rispettati studiosi pugliesi di Tarantismo, “è strutturato secondo le proprie regole e metodi operativi precisi”. Secondo la mia lettura, la definizione di Chiriatti è meno limitata dalla summenzionata inadeguatezza del linguaggio di fronte al rituale: è “una proiezione dell’individuo, attraverso un agente esterno—principalmente il ragno—in una dimensione distinta dalla realtà quotidiana.”
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Sono uno ricercatore e studioso di decolonialismo. Lavoro sull'intersezione tra giustizia sociale, politica, economia, arte e cultura. Amo leggere, ballare, andare in bicicletta e il capuccino senza zucchero.