‘Surfing Iran’ | Giulia Frigieri Ci Racconta La Rivoluzione Delle Surfiste In Hijab

La rivoluzione è qualcosa di straordinario e inaspettato: rovescia l’ordine delle cose, rimescola la carte in tavola, scuote i pesi e le leve alla base di un sistema culturale mandando completamente in tilt l’ago della bilancia. Ma nonostante quello che la scuola ci insegna, sono proprio le rivoluzioni più intime, quelle che avvengono a livello individuale, e non di massa, che innescano le trasformazioni più incisive e durature.
Con un reportage fotografico mozzafiato, Surfing Iran, la fotografa documentarista Giulia Frigieri ci racconta un movimento rivoluzionario che appartiene proprio a questa seconda sfera, ha come baluardo l’inusuale binomio tavola da surf-hijab e trova luogo nel Baluchistan, Iran.
Laureata in Antropologia e Media e specializzata in visual storytelling, Frigieri si è innamorata dell’Iran quando lo ha visitato per la prima volta nel 2014. In quella occasione, un’amica le parlò della scena surfista e così nacque il suo desiderio di far parte di questo movimento, di poterlo vedere con i suoi occhi e—soprattutto— di poter dimostrare attraverso le immagini quanto sia sbagliato e riduttivo l’immaginario dell’Iran che viene rappresentato dai media. Tre anni dopo, Surfing Iran ha come protagonista la prima donna iraniana ad aver surfato in Iran, la surfer leader del movimento surfista del villaggio di Ramin, Shahla Yasini.
GRIOT: Come hai conosciuto Shahla Yasini?
Giulia Frigieri: È successo tutto molto in fretta. Nell’estate del 2017 sono riuscita ad entrare in contatto con Easkey Britton, la surfista irlandese che ha dato vita al movimento ed è stato grazie a lei che ho parlato con Shahla Yasini e alcuni dei personaggi più attivi a Ramin. Sono bastate un paio di email con Shahla in cui le chiedevo se voleva partecipare al mio progetto ed è subito nato un forte legame. Qualche settimana dopo eccomi in Iran per sfruttare le ultime onde dell’estate e fare un reportage con lei come protagonista.
Raccontaci la sua storia.
Shahla ha un forte rapporto con il mare da tutta la vita. Da parecchi anni segue corsi come guida subacquea a Chabahar e lavora come insegnante di nuoto e bagnina a Tehran. Nel 2013 ha partecipato al film di Marion Poizeau, INTO THE SEA, insieme alla snowboardista Mona Seraji e la stessa Easkey. Il film documentario racconta dell’arrivo del surf a Ramin, grazie allo spirito intraprendente di Easkey, la quale insegna alle due atlete iraniane i fondamenti dello sport acquatico e finisce per catturare l’interesse dei giovani locali fino a far esplodere un vero e proprio trend. Shahla pratica ormai da qualche anno e progetta di andare a vivere in Nuova Zelanda, dove potrà surfare tutti i giorni.
Perché è giusto parlare di “rivoluzione”, se si vuole definire il lavoro di Yasini a Ramin?
Io credo che sia un principio di rivoluzione per molti aspetti: è prima di tutto una rivoluzione dell’immaginario geografico e sociale dell’Iran. L’Iran è un paese montagnoso, semi desertico, se devo essere sincera, molte delle persone a cui parlavo di questo progetto non sapevano neanche che l’Iran fosse bagnato dal mare. Quindi credo che vedere un movimento surfista nel golfo dell’Oman, quasi al confine con il Pakistan, sia innanzitutto una rivoluzione nel modo di pensare questo paese e le sue giovani generazioni. In secondo luogo è una rivoluzione di genere, dal momento che è uno sport che è stato introdotto da tre donne! Nonostante ancora non ci siano tantissime donne—soprattutto locali—che praticano surf, a Ramin sono tre donne atlete ad esserne state le pioniere, e sono un esempio per tutti i ragazzi che praticano surf in Iran oggigiorno.
Che opinione ti sei fatta di come Ramin ha accolto questo sport e movimento culturale? Pensi sia lo stesso in altre aree del Baluchistan?
Purtroppo questa è l’unica area del Baluchistan bagnata dal mare e dopo la baia di Ramin—che è ben protetta—il resto di costa sembra abbastanza pericoloso per via degli scogli e delle correnti molto forti, ma di recente su Instagram ho visto che quest’estate alcuni ragazzi hanno provato a fare surf nel mar Caspio, nel nord dell’Iran.
I ragazzi di Ramin sono stati elettrizzati dall’arrivo di questo sport, hanno voluto subito imparare e sono tutti molto impegnati nel rendere Ramin un luogo d’incontro tra altri surfisti e un posto dove tutti possano imparare. Infatti, negli ultimi due anni molti giovani di Tehran hanno preso parte organizzando workshops e chiamando surfers dall’estero.
Hai passato settimane a Ramin, al fianco di Yasini, le sue compagne e compagni di surf e il resto del villaggio. Cosa hai imparato da questa esperienza?
Ramin e in generale questo secondo viaggio in Iran hanno confermato l’idea che mi ero fatta la prima volta, ovvero che l’Iran è un posto fantastico e—seppur complesso e socialmente e politicamente (a volte anche frustrante)—immensamente gentile ed ospitale, popolato da persone che amano la vita e fanno di tutto per manifestarlo. Shahla è stata la prima a coinvolgermi nel gruppo, a farmi sentire ben accetta nonostante le barriere linguistiche molto forti. I ragazzi di Ramin erano contenti di partecipare al progetto e di raccontarmi e mostrarmi come il surf gli avesse cambiato la vita.
Sei stata in Iran nel 2014 e ci sei tornata nel 2017. Che differenze hai trovato? In modo si sono differenziate queste due esperienze?
In entrambi i viaggi sono stata in posti diversi. Questa volta ho scoperto una parte di Iran nuova, che non conoscevo e sconosciuta anche a molti Iraniani che ne parlano come di un posto pericoloso a causa dei traffici proveniente dal Pakistan e dall’Afghanistan.
La popolazione del Baluchistan—i Baluchi—appartiene ad una minoranza etnica con una propria lingua, cultura, modo di vestire e stile di vita, è una minoranza che si estende tra Afghanistan, Pakistan ed Iran, e culturalmente si avvicina di più a paesi come India e Pakistan, piuttosto che alla stessa capitale Tehran. L’impatto è stato molto più forte, rispetto ad arrivare a Tehran, dove ci sono ragazzi e ragazze per strada , all’università nei parchi, nei caffè.
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Sono una persona molto eclettica con un’ossessione per la musica e la sociologia. Nata e cresciuta in Italia, Londra è diventata la mia casa. Qui creo beat, ballo, canto, suono, scrivo, cucino e insegno in una scuola internazionale.