Sono Una Walé | Una Vera Madre | Portatemi Rispetto

Patrick Willoq è un fotografo francese giramondo. Ha vissuto in Congo dai 6 ai 13 anni. Dopo 27 anni di vita trascorsi a lavorare all’estero, ha deciso di dedicarsi a tempo pieno alle sue passioni: viaggiare, scoprire, conoscere nuove culture e documentare le esperienze vissute attraverso la fotografia.
Torna quindi nella Repubblica Democratica del Congo e inizia il suo lavoro di documentazione fotografica, con l’obiettivo di mostrare un altro Congo, un paese dove esistono ancora riti e tradizioni secolari.
Nel 2013, mentre si trovava a Nord, insieme alla tribù dei Pigmei Ekonda, Willocq si imbatte nelle donne coperte da polvere rossa. Si informa e scopre che queste vengono chiamate Walé (madre primipara che allatta). Incuriosito, decide di passare del tempo con alcune di loro e documenta un rituale a cui aveva assistito diverse volte: donne che ballano e cantano in un linguaggio a lui incomprensibile e affascinante.
Ma facciamo un passo indietro. Per gli Ekonda il momento più importante nella vita di una donna è la nascita del suo primo figlio. La giovane madre Walé (solitamente ragazze tra i 15 e i 18 anni) subito dopo il parto si allontana temporaneamente dal marito per tornare a casa dei suoi genitori e rimanerci 2 anni (il periodo può estendersi a 5 anni se il marito decide di non tornare o se impiega molto tempo per comprare i beni necessari per la dotazione della moglie).
Durante questo periodo di isolamento, la madre inizia la figlia al suo nuovo ruolo sociale. Il primo anno infatti la Walé deve rispettare diversi tabù: non cucinare, non andare a lavorare in campagna e, soprattutto, non avere rapporti sessuali per tutto il periodo in cui resta isolata poichè i Pigmei ritengono che il seme maschile avveleni il latte materno. Sono gli altri che pensano alle sue necessità. Lei deve dedicarsi solo ed esclusivamente al bambino. L’unica attività permessa è l’intreccio dei cesti di vimini.
Grazie a questa dedizione e al rispetto del divieto sessuale, la Walé raggiunge uno status simile a quello di un patriarca e la colorazione rossastra ne è il segno distintivo. Ma una conseguenza diretta del rituale Walé è l’incoraggiamento della poligamia, socialmente accettata dalla comunità.


Il secondo anno, che idealmente rappresenta la fine del periodo di isolamento, la Walé lo impiega lavorando a un rituale in cui presenta uno spettacolo di danza e canto. Sia la coreografia che il canto hanno una struttura molto codificata. Sono delle creazioni uniche, appartenenti a ciascuna Walé che canta la storia della propria solitudine, loda se stessa e discredita le Walé rivali.

Canzone: Papas see us, I come land boat, with assistants, feathers, this assistant enters hut prepare food, mum enters hut prepare palm

Canzone: Walé stand! I stand, be seated! I sit, Walé I walk with chair of white people and chiefs, I Walé of school, I walk with book in hand

Song: Part animal, part bird, I face upside down, bat the great
Oggi come oggi numerosi riti iniziatici stanno sparendo in Congo. Quello delle Walé resiste ancora alle esigenze della vita contemporanea. “Ma per quanto ancora?”, si domanda Willocq.
I Pigmei sono infatti abituati a tramandare le loro tradizioni oralmente. Così Willocq decide, con l’aiuto di Martin Boilo, etnomusicologo congolese, di analizzare e comprendere quei canti e tradurre l’intero rituale in un progetto fotografico artistico e documentaristico.
“Un omaggio alla maternità, alla fecondità e femminilità. È per questo che ho proposto a diverse Walé di metterlo in scena in un vero e proprio tableau vivant, per documentare una parte di questo loro viaggio, in cui ogni immagine è la rappresentazione visiva di un pensiero intimo che canteranno, legato al giorno in cui usciranno dall’isolamento”, aggiunge.

Canzone: Rival Walé, do not kill each other, Mpia married white man, Mpia found husband, I married Patrick

Canzone: Papas tipoy put me in, me I go into eloba forest, me I come, all assistants with rifles on shoulders
Tutti i canti sono interessanti e importanti ma alcuni di questi catturano l’attenzione di Willoq. È lil caso di Walé Asongwaka: “Ogni notte, alle 22, sento passare un aereo sopra la giungla. È lontano e non si riesce a vederlo. Ma il rombo si sente per cui sai che c’è”. Così Asongwaka canta che un giorno avrà tanti soldi e salirà su un aereo. “Voi non li avrete. Io sì”, conclude. Per questo la si vede ritratta su un finto aereoplano. E quando è realmente riuscita a prenderlo, per andare in Francia a partecipare alle esposizioni del progetto fotografico, ha vissuto la più grande esperienza della sua vita, fuori dalla portata della maggior parte delle Walé.

Canzone: Plane you’re white, Walé goes on hanging, from the fence
Alla fine dello spettacolo comunque le Walé escono più forti e mature e acquisiscono lo status di vere madri. Il loro viaggio è stato faticoso e non privo di insidie e tentazioni, ma loro sostengono ne valga la pena.
In realtà si lamentano molto spesso perchè in quei 2 anni perdono completamente la loro indipendenza e libertà, oppure perchè la famiglia e il marito non si sono presi cura di lei adeguatamente. Inoltre, quando finisce il periodo di isolamento, le Walé devono possedere molti beni materiali, borse, vestiti, scarpe. Una dotazione rappresentata da una valigia che il marito deve riempire andando a guadagnare soldi in città vicine per acquistare questi beni, con il rischio di far passare alla giovane moglie più tempo in isolamento (3-5 anni) o di abbandonarla perchè stanchi di provare. Subito dopo la festa della fine dell’isolamento, la moglie ritorna dal marito e il giorno dopo lei e il bambino mostrano i migliori vestiti all’intera comunità.


Song: Drums hit Itipo of Bobenga, mamas go with hoe on shoulders

Song: Father is great hunter, killed wild boar and antelope, Walé these are songs of invitation

Canzone: I leave this room, this room I look for belongings

Canzone: I do not answer calls, mamas take me, jail to main town

Canzone: Papas, review share give your sisters
Tutte le immagini | Patrick Willoq
Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.