Se Ancora Non Siete Andati Alla Biennale Di Okwui Enwezor Siete Ancora In Tempo

di Gaylor Mangumbu - Pubblicato il 09/11/2015

Okwui Enwezor è uno di quei nomi da tenere in mente. Scoprendo poi quello che si nasconde dietro a chi lo porta, scatta automaticamente il desiderio di memorizzarlo, d’inciderlo nella top 5 dei nostri guru, specialmente se vivete di pane e arte, roba del tipo: wow! quest’uomo ha fatto della sua vita un’opera d’arte.

Mr Enwezor nasce a Calabar (where is it? qui). Grazie a una borsa di studio si trasferisce molto giovane negli States. Dopo gli studi in scienze politiche crea la rivista Nka: Journal of Contemporary African Art, giusto per spostare un po’ di cardini sulla percezione dell’arte africana o semplicemente dell’arte contemporanea in generale, perchè in fondo il “beauty”, come dice lui, “non ha confini”.

Proprio l’assenza di confini e la sua visione globale dell’universo dell’arte lo portano fino a Venezia.

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Dopo aver saltato da una cattedra all’altra delle più prestigiose università americane e diretto le più importanti rassegne internazionali di arte contemporanea, tipo dOCUMENTA nel 2002, oggi è in laguna ad orchestrare la 56°edizione della Biennale che si concluderà tra pochi giorni, il 22 novembre. Se non avete ancora mosso le natiche, affrettatevi, il tempo scorre.

All The World’s Futures – Tutti i futuri del mondo (o i futures, gli strumenti finanziari che impegnano ad acquistare, o vendere, in una data futura, una certa quantità di merce o attività finanziarie ad un prezzo fissato) è il titolo-gioco di parole di questa biennale. E infatti Enwezor ha utilizzato il Das Kapital di Marx come metro ideologico per l’interpretazione del presente e di tutti i futuri del mondo.

Noi siamo andati, e questa è una selezione fatta dalla nostra editor, Johanne, che vi racconta alcune delle opere che le sono piaciute di più.

The End of Carrying All, di Wangechi Mutu, è un’animazione video in cui l’artista keniana mostra l’orribile fine che secondo lei farà il mondo. Nel video c’è una donna che cammina su una collina portando sulla testa pochi oggetti, una routine quotidiana di molte africane e caraibiche. Durante il tragitto si ferma per raccoglierne altri, sempre di più, ma alla fine il troppo peso finisce per inghiottirla, lei si trasforma in lava eruttata da un’esplosione.

The Key in the Hand, l’installazione della giapponese Chilaru Shiota, è un’opera site specific, concepita appositamente per la Biennale. Non appena si entra nel padiglione Giappone ci si imbatte in due barche di legno circondate da una serie di fili rossi che corrono in ogni direzione, e in una quantità enorme di chiavi, ciascuna legata a un capo.
Nell’idea dell’artista, le chiavi, raccolte in tutto il mondo per l’opera, connettono gli uni agli altri, mentre le barche trasportano persone e tempo.

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Untitled (Playground, 2015), dell’americano Kerry J. Marshall, sembra un’opera che ti ha dato appuntamento, con i soggetti raffigurati che ti guardano e ti sorridono e ti fanno vedere e vivere la loro quotidianità, vissuta nei quatieri perifierici delle grandi metropoli americane, aree in cui ancora oggi c’è odore di segregazione.

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Acción directa, di Juan Carlos Distéfano (Argentina) rappresenta l’agonia. È una scultura piena di sibolismo. Ancora una volta si vede un uomo comune arrampicarsi su dei lampioni per tagliare i cavi che impediscono a un aquilone di volare. L’uomo è ben consapevole del rischio che sta correndo, morire folgorato, ma nonostante ciò sceglie di sacrificarsi per amore del prossimo.
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American Violence,
 di Bruce Nauman, un’opera, un neon testuale che l’artista americano ha creato tra il 1981 e il 1982, periodo in cui i suoi lavori assumono connotazioni politiche abbastanza palesi. “Stick in your ear”, “Sit on my face”, “Rub it on your chest”.

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Stilleven/Natura in Posa, di Marzia Migliora, è un’installazione semplicemente pazzesca. L’ambiente ricreato è la rievocazione di una foto che la Migliora ha scattato vent’anni fa nella cascina dove viveva il padre. Ci si trova di fronte a una distesa di pannocchie che si riflettono sulla superficie specchiante di un armadio, che custodisce l’Archivio della Memoria. Uno scenario quotidiano e familiare che l’artista riconnette ad un contesto più ampio, quello della storia d’Italia legata alla cultura agricola contadina.

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Insomma, alcuni dicono che sia una delle edizioni più belle degli ultimi anni. Altri l’hanno fortemente criticata. Se vi abbiamo stuzzicato abbastanza, tuffatevi in laguna di persona e provate il brivido di stare in apnea tra le selezioni artistiche di Enwezor, in attesa di Christine Macel, tra due anni.

Immagini e video Biennale | Johanne Affricot

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È impossibile crescere a Roma senza interessarsi all'arte, allora che fai? Studi tutto quello che la mamma crede sia sbagliato per te: Accademia di Belle Arti prima, e Moda e Costume dopo, incastrando nel mezzo la passione per le sneaker, il cinema,la fotografia, la musica e il gelato al gusto di mango.