A Pranzo Da Stella Jean | Un Po’ Di Moda E Tanto Amore Per Haiti

Suono. Entro e la governante mi accompagna da Stella che mi accoglie nella sua bellissima casa insieme ai suoi due splendidi bambini. È un sabato caldo e afoso.
Ci mettiamo in terrazza. C’è un bel barbecue. Uno di quelli grandi e super moderni che va a gas. Uno di quelli che quando inviti 20, 30 persone ti fa sentire un vero serial griller ma soprattutto apprezzare il fatto di non mandare a casa i tuoi ospiti coperti dalla testa ai piedi dai (pro) fumi del carbone.
Da buona padrona di casa mi invita a restare per il pranzo che ha organizzato. Ci accomodiamo sui divani in vimini e inizio la mia “intervista”, mettendo le mani avanti “Stella, questa non è una vera e propria intervista di moda ma semplicemente una chiacchierata informale, tra amiche”.
“Certo. Anche perché se dovessi chiedermi a quali colori ho pensato per la prossima stagione o altre cose del genere, in questo momento non saprei cosa risponderti”, mi rasserena.
Ma facciamo qualche passo indietro per approfondire il talento di Stella Jean, giovane stilista italo haitiana, adorata e indossata da star e artisti italiani e internazionali, scelta da re Giorgio Armani in persona per presentare la collezione SS 2014 nel suo spazio, il Teatro Armani, e scoprire perchè ogni sua collezione, pur mantenendo un segno distintivo, non è mai ripetitiva e scontata.




GRIOT: Da chi hai ereditato questo tuo lato artistico?
A casa mia si è sempre respirata aria di creatività. Madre haitiana dai gusti estremamente raffinati, studentessa all’Accademia di Arte Drammatica, ha lasciato un forte imprinting su di me. Padre italiano, torinese, designer di gioielli, amante degli abiti confezionati a mano tanto che lo accompagnavo sempre dal suo sarto quando doveva farsi fare dei vestiti.
Stella Jean: Quando ti sei avvicinata al mondo della moda?
Ho trascorso un’adolescenza circondata da amici di famiglia legati al mondo della moda, tra cui Fusternberg. È grazie a loro che ho iniziato a sfilare come indossatrice. Solo che non mi dava soddisfazione mostrarmi e basta. Trovavo molto più interessanti i momenti passati in atelier, quando ti montano i vestiti addosso. Sei letteralmente circondata da un esercito di sarte che sembrano dei Templari impegnati in chissà quale cerimonia scandita da termini e movenze che portano alla creazione di un abito. Decisi allora di abbandonare le passerelle e da lì è inziato il processo creativo. All’inizio puntavo solo sul fare cose belle, quindi all’artigianalità italiana, al dipinto su stoffa – tant’è che con me ancora lavora Nadia Valli, una signora di 87 anni che in passato ha esposto anche in prestigiosi muesi a Parigi, e che con una sola mano realizza tutte le pitture che si vedono sui miei abiti.
Con questa filosofia partecipo per due volte al progetto di scouting di Alta Roma e Vogue Who is on Next senza raggiungere il risultato sperato. Nel 2011 però arriva la svolta. Su consiglio di Simonetta Gianfelici, talent scout dell’inizitiva, che mi dice “prova a essere più sincera, porta qualcosa di solo tuo, le tue impronte digitali”, cancello tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento e inzio a raccontare visivamente e culturalmente ciò che più di unico ho: la mia doppia identità italo haitiana attraverso la collezione Wax and Stripes. E così vinco il concorso.

A proposito di wax. Lo scorso anno alcuni blogger africani hanno scritto che le donne occidentali e le afroamericane non dovrebbero indossare vestiti africani, sostenendo che la cultura africana non può essere ridotta a dei semplici abiti-costumi e che le grandi catene che lo utilizzano non fanno altro che alimentare l’appropriazione dell’identità africana. Che ne pensi?
Devo fare una premessa. Non ho ambizioni estetiche, nel senso che il mio obiettivo non è fare semplicemente cose belle. Abbiamo grandissime catene che propongono collezioni ogni giorno, ogni settimana. C’è questo rapporto ormai bulimico con la moda per cui non è che ci sia bisogno di un nuovo stilista che realizzi cose nuove e belle.
Quando ho iniziato è stato uno scatto, un bisogno personale. La moda per me è principalmente un mezzo di comunicazione. Io comunico. L’ho usato più come terapia, come metodo di relazione con gli altri. I miei primi altri sono gli italiani.
Nonostante sia nata qui in Italia, mamma haitiana, papà torinese, cresciuta in un contesto comodo, frequentato scuole italiane e francesi, etc. – oggi, a 36 anni, mi ritrovo a sentirmi ancora chiedere “Di dove sei”? “Italiana”. “No va bene, dai, di dove sei però?” “Italiana”.
Quindi ho cominciato ad accostare le camicie a righe di mio padre – per esporre la mia parte italiana – ai wax stampati – il tessuto bandiera di un intero continente e simbolo delle radici di Haiti – che in quel momento pensavo fosse una stoffa di origine africana.
Ho iniziato a studiarla, ad analizzare i suoi codici, il lato culturale e alla fine, con mia grande sorpresa, ho scoperto che è vero che il wax è un tessuto riconducibile all’Africa ma è una produzione meramente olandese. La stoffa nasce a Java, i soldati olandesi la portarono in Europa dove però non funzionava e la indirizzano unicamente al mercato africano.
Quanto sei legata ad Haiti?
Molto. Quando capita alle volte di dire alle persone che sono di Haiti e mi sento dire “uh poverina, mi dispiace” dico “Ma guarda, non ti preoccupare. Haiti ha molto da insegnare”. Non nasconderò le sacche di povertà e miseria che attraversano il paese, ma dal punto di vista culturale, artistico e letterario Haiti ha uno spessore nei Caraibi che nessun altro paese ha – tranne Cuba.
L’unica corrente artistica dei caraibi, riconosciuta e ripresa a livello internazionale, è l’arte naif, che appunto è nata ad Haiti.

Pensa che uno dei più importanti ministri della cultura francesi, André Malraux, aveva studiato molto quest’arte arrivando a dichiarare che l’isola, dal punto di vista artistico, fosse il posto più magico in cui fosse mai stato. È un enorme riconoscimento ma sono tutte cose che non escono fuori se non ci mettiamo a raccontarle. Io faccio una testa così a tutti, tanto che il mio compagno si è dimenticato dell’Italia.
E poi una cosa che contraddistingue gli haitiani, a prescindere dalla loro estrazione sociale, è la classe, il modo di vestire. Ci tengono molto. Per loro è una questione di rispetto. E tutto questo lo ammiro molto.
Ora bisogna lavorare affinché si smetta di credere che Haiti sia l’estensione di una bidonville. Il 10 luglio è la giornata di Haiti all’Expo di Milano. La collezione SS 2015 è praticamente dedicata ad Haiti dove sono ritornata recentemente insieme all’Ethical Fashion Initiative per incontrare alcuni artigiani locali con i quali voglio realizzare degli accessori speciali.


Se non fossi stata designer cosa avresti fatto?
Sarei stata una diplomatica. Avrei fatto lo stesso lavoro che sto facendo nel mondo della moda solo a un livello diverso.
AFRO ITALIANS IN THE ARTS TODAY
Stella Jean è stata una delle panelist di Afro Italians in the Arts Today, tavola rotonda organizzata da GRIOT per l’American Academy in Rome, che si è tenuta a Roma nei giardini dell’Academy, giovedì 9 luglio.
La conversazione, insertita nel calendario degli eventi Nero su Bianco promossi dall’American Academy in Rome, si è concentrata sulla realizzazione, sul successo di quattro giovani italiani – Stella Jean, Wintana Rezene, Fred Kuwornu, Antonio Dikele Distefano – nei vari campi della creatività, valutando contemporaneamente lo stato dell’arte, in un’Italia visibilmente trasformata dal fenomeno dell’immigrazione.
Guarda il video | 3 minuti | Afro Italians in The Arts Today.
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.