Pier Paolo Pasolini | Poesia Cinematica Tra I Margini Di Ieri E Di Oggi 

Un'immersione profonda nel cult dell'eclettico regista, Mamma Roma, che esplora i temi del film e il lascito di Pasolini al giorno d'oggi, a cent'anni dalla sua nascita.

di S. Himasha Weerappulige - Pubblicato il 06/10/2022

Passeggiando per Roma est, partendo dalla matassa di ferro che è Porta Maggiore e seguendo la scia della Casilina, è impossibile non notare la ricorrenza di una faccia magra ed austera. È lo sguardo di Pier Paolo Pasolini che fissa dalle mura di ristoranti e locali: lo vediamo in felpa in un poster di noto locale del Pigneto. A Sant’Elena, su un murale in scala di grigi tanto plastico da essere rinominato la “Cappella Sistina di Pasolini’’. Scene sacre e profane tratte dal film La Ricotta che scompaiono dietro alle porte della Metro C. L’altra faccia della medaglia è, che quando Pasolini compare sulle mura di un quartiere, è questione di tempo prima che i prezzi degli affitti salgano.

Al centenario dalla sua nascita, la figura di Pasolini è diventata un emblema della zona est di Roma, e non solo. L’autore e regista percorreva ossessivamente Ostiense, la Garbatella, San Basilio e Tor Marancia, arrivando fino al comune di Guidonia, cercando di saziare quel suo vizio di raccontare il vero, declinando la sua politica in poesia visiva. Ma fu nella cara Roma est che girò i suoi primi film, come l’Accattone e Mamma Roma.

Le opere di Pasolini sono spesso descritte come progetti che ambivano a catturare l’essenza della dolce-amara vita del povero, in quanto lui dipinto come eternamente devoto ai dannati della terra. Uno sguardo più approfondito al suo operato però, rivela un’immagine più complessa. Gettare luce su alcuni dei temi principali di Mamma Roma può aiutare a comprendere lo slancio lirico, impetuoso ed antiegemonico dell’artista.  Il film racconta la storia di una vulcanica ma vulnerabile Anna Magnani, nel ruolo di una prostituta che cerca di redimersi da una povertà e violenza sistemica, ambendo alla scalata sociale. Mamma Rò è determinata a entrar a far parte della piccola borghesia, che Pasolini critica apertamente nelle sue opere.

Pier Paolo Pasolini. Immagine via Wikipedia

Trame

Il film si apre con il matrimonio del magnaccia di Mamma Roma. Lei coglie l’occasione per cominciare una nuova vita’, con il figlio adolescente estraniato Ettore. Si sposta quindi di quartiere in quartiere, tentando di avvicinarsi alla città, seguendo la scia del ‘miracolo economico’ del dopoguerra. Riferendosi ad un moto circolare ricorrente, emblematico di un vicolo cieco e di una traiettoria senza rotta, la prima scena del film si conclude con Mamma Roma che piroetta su sé stessa con un bambino in mano. È ebbra e forzatamente speranzosa. In seguito, si transiziona alla scena in cui incontriamo Ettore per la prima volta. Lo vediamo su una giostra perso tra i suoi pensieri. Nel film, spesso si intravvedono strade piene di curve ma non se ne capisce mai la direzione. Ugualmente curvilinee sono le passeggiate febbricitanti che fa Mamma Roma la sera, mentre opera come prostituta. Passeggiate vigorose con un ritmo da fabbrica, in cui cerca di pianificare la propria fuga dalla borgata, dove la borgata è metonimia di una condizione. Passeggiate riprese in notti buie e vellutate, giustapposte alle riprese campagnole attuate sotto ad un sole rovente, accanto ai resti di acquedotti dalle forme antropomorfe. Pasolini fa percepire tale contrasto con il movimento esasperato della macchina da ripresa, una tecnica che identificherà in Empirismo Critico (1991) con il suo cinema di poesia, un codice tecnico “nato quasi per insofferenza alle regole, per un bisogno di libertà irregolare e provocatoria, per un diversamente autentico o delizioso gusto dell’anarchia”.

Pier Paolo Pasolini, Mamma Roma, 1962

Architettura e capitalismo

Nelle riprese architettoniche si cela una forte critica al capitalismo, incarnato dalla costruzione di quartieri popolari, venduti come risultati del progresso promosso dal boom economico. Per Pasolini, queste costruzioni promuovevano il riconoscimento delle “lingue dell’infrastruttura’’, ossia i codici delle élite, come dei codici a cui ambire in una narrativa capitalista. In Mamma Roma, Anna Magnani è una proletaria impantanata in un circolo vizioso definito da una costante ricerca di nuovi assetti economici, a differenza della Magnani resistente di Roma Città Aperta. Si demistifica quindi il racconto della città eterna nel dopoguerra, raccontando di come Roma viene lentamente ingoiata dal proprio fracasso e dall’inquinamento causato dal suo sistema economico intrinsecamente corrotto. Sintomo forse, come racconta S. Di Giaimo, di una città che alla fine non si era mai completamente liberata.

I nuovi palazzi a Cecafumo, costruiti nella foga del miracolo economico, sono rappresentati in maniera asettica. Composti da archi quadrati che conducono a spazi vuoti ed anonimi. Dinnanzi, le rovine di un tempo che fu. Acquedotti e spazi aperti, dove Ettore ed i suoi amici vivono la vita dal quale Mamma Roma vuole distanziare suo figlio. In parte, si potrebbe anche presumere che Pasolini desiderasse anche sottolineare come le borgate potessero offrire l’illusione di un avanzamento nella scala sociale. Un fenomeno iniziato con i primi sventramenti mussoliniani, con il quale si cominciò a spostare la classe lavoratrice e migrante verso le periferie. Un episodio che tra l’altro Mamma Roma racconta in una delle sue notti dal sapore allucinogeno. Racconta del suo primo marito che sposò all’età di quattordici anni. Era uomo anziano che aveva fatto i soldi assicurandosi gli appalti delle case popolari, e poi lasciandole incompiute. Quei palazzi erano “una lunga distesa di catafalchi’’, asserisce Mamma Ro’.

Giustapposti ai palazzi popolari, che fanno da sfondo ai momenti più tragici del film, vi sono i ruderi di Roma est, spesso ripresi in primo piano. Danno “l’apparenza di un ricordo, o di un sogno’’ (Augé 2004). Ne fuoriesce la lettura di un Pasolini che voleva preservare la tradizione, lui che difatti si definiva “una forza del passato’’ in Poesie in Forma di Rosa (Garzanti 1964). I film di Pasolini diventarono così anche materiale archiviale preziosissimo di una Roma borgatara che ora si fa fatica a vedere o sentire negli stessi luoghi da lui raccontati. Il dialetto usato è strettamente quello locale, gli attori scelti sono quasi sempre scelti dalle strade di Roma, senza previa esperienza. Nelle sue pellicole non può non essere notata la sua inclinazione da poeta: la tendenza a prelevare immagini reali e concrete ed elevarle ad una dimensione di sogno.

Arte e privilegio

È necessario però anche rimettere in discussione la ‘posizionalità’ di Pasolini dinanzi alle tematiche e topografie urbane prescelte. Retaggio del suo posizionamento di classe è in parte anche il registro poetico che adotta, di colui che guarda il proletariato, dall’esterno. La composizione del pranzo di nozze ricorda L’ultima cena di Leonardo da Vinci. La morte di Ettore è preceduta da una scena in cui dei pazienti/prigionieri recitano un poema dantesco cacofonicamente giustapposto al canto popolare ‘’Violino Tzigano”. L’inquadratura di Ettore morente rimanda alla Deposizione del Cristo morto di Mantegna, esibendo modelli figurativi culturalmente “borghesi’’. Quindi, nonostante la mobilità verso il cosiddetto ‘alto’ e verso la mentalità borghese fosse per Pasolini una discesa verso gli inferi, il regista utilizza un registro visivo privilegiato dalla sensibilità borghese. Ma questo era Pasolini: apparentemente contraddittorio, ed inerentemente allegorico, teoretico, ibrido e provocatore.

L’inserimento della Magnani è difatti dimostrazione del capovolgimento che Pasolini attua rispetto alla poetica neorealista, attuata tramite un doppio registro che utilizzava naturalismo e sublime. Questo non nel tentativo di vedere il mondo in entità poetiche sovrapposte ed essenzializzate, ma piuttosto perché Pasolini criticava la borghesia di cui faceva parte, rivolgendosi direttamente ed apertamente ad essa, tessendo nevroticamente le sue analisi sulle strutture di potere dell’Italia del dopoguerra, con elementi di cattolicesimo, teoria gramsciana e psicologia Freudiana. Come un poeta, utilizzava “il linguaggio delle cose’’ per evocare pensieri, creando dinamiche di scambio tra cinema, poesia, pittura e musica. Il suo cinema fu un’analisi sociale e materialista formulata in prosa, si erge sull’invenzione di un linguaggio visivo personale.

Pier Paolo Pasolini, Mamma Roma, 1962

Ricontestualizzare i margini 

Difatti, con un film come Mamma Roma, Pasolini entra in diretta contrapposizione alla folgorante vita del mondo del cinema che frequentava Via Veneto, e si dirama anche dal neorealismo di De Sica e Rossellini. Il film fu censurato a causa del suo contenuto “offensivo ed immorale’’, di seguito alla prima proiezione al Festival di Venezia del 1962. Alcune battute dovettero essere cancellate. Fu in seguito protestato da un gruppo di giovani neofascisti dopo la sua prima proiezione a Roma. Anche la prima proiezione americana dovrà attendere il 1988 per vedere luce. A tal punto, è importante notare che oltre alla tematica della prostituzione e di elementi psicologici freudiani espliciti, a destare scandalo fu la scena finale del film. Questa rappresentava il martirio di Ettore, che muore in carcere a causa di un piccolo furto, malato ed incatenato ad un tavolo. La storia fu tratta da una storia vera, ossia dall’omicidio del diciottenne Marcello Elisei, il quale stava scontando una pena di 4 anni e 7 mesi per aver rubato le ruote di un’auto. Il ragazzo aveva mostrato segni di instabilità psichica, era malato, ed era stato lasciato morire legato ad una piattaforma.

Il problema, quindi, non è la posizionalità di Pasolini nei confronti delle tematiche affrontate. A suo modo, a suo tempo, nel suo campo, il suo approccio fu dirompente. E per comprendere ciò è necessario anche capire il suo vissuto politico e legale. Come sottolineato da Stefano Rodotà “Pasolini rimane ininterrottamente nelle mani dei giudici dal 1960 al 1975”. E anche oltre, va precisato. Con numerosi processi post-mortem non dovuti solamente al suo orientamento sessuale ma soprattutto al suo posizionamento politico. Scrivendo su Noi Donne nel 1959 Pasolini dichiarò che se avesse scritto un’inchiesta sul caso sarebbe stato “assolutamente spietato con i responsabili: dai secondini al direttore del carcere. E non mancherei di implicare le responsabilità dei governanti”. Il boato iniziale con cui debuttò questo film, ne minò il successo commerciale per i primi anni dalla sua uscita. Mamma Roma diventa quindi anche inchiesta poetica, per parlare dell’innominabile tramite l’uso di figure retoriche su celluloide, con la consapevolezza di una possibile citazione in giudizio.

Se ne evince che, se decontestualizzato da queste sfumature, Pasolini rimane solo un inguaribile romantico, nostalgico del passato, critico ma anche arreso alla globalizzazione, quasi vittima della stessa cultura dominante che lo aveva perseguitato. L’analisi del periodo in cui visse, uno studio minuzioso dei suoi scritti, e dei suoi processi, è quindi essenziale per capire quello che, a posteriori, potremmo essere tentat3 di definire come pratica artistica. Ma che per lui era un’esigenza. Resta interessante chiedersi cosa ne penserebbe oggi Pasolini della sua rielaborazione del suo operato. Per non decontestualizzarlo ulteriormente, è qualcosa che possiamo solo immaginare.

Esercizio per i/le lettorз: parlando del suo ‘Cinema di Poesia’, Pasolini asseriva che le sue tecniche anarchiche diventavano automaticamente “canone, patrimonio linguistico e prosodico’’, dal momento in cui le utilizzava. Incitava così ulteriori sperimentazioni. Come usare questo invito e tale eredità artistica per comprendere le periferie contemporanee?

‘Mamma Roma’ verrà proeittato il 13 ottobre, alle ore 19, da Toklas, Londra. In occasione del Poetry + Film/Hack di Inua Ellams—una conversazione senza fronzoli tra performance di poesia dal vivo e film che approfondisce, esalta ed espande l’esperienza cinematografica, cinque altr3 poet3, Saleh Addonia, Fatima Bouhtouch, Chloe Filani, Mylène Gomera, Judith Opara, opstitatз da Inua Ellams e SPAZIO GRIOT, saliranno sul palco per condividere testi appositamente commissionati che rispondono ai temi del film: classe, luogo, casa e tensioni intergenerazionali. Il film si inserisce all’interno della cornice ‘Whose Wor(l)d is this? Diverse voices in urban literature in the UK and Italy”, un progetto frutto della collaborazione tra SPAZIO GRIOT e Inua Ellams, supportato dai British Council International Collaboration Grants.

Riserva il tuo posto per il ‘Poetry + Film /Hack’ qui. Ingresso: 5£, incluso un drink

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Opero nel cinema, tra casting, sviluppo, ricerca archiviale e programmazione nell’ambiente festival. Il mio background è però legale, e mi ha permesso di sviluppare un metodo di analisi decoloniale che mi porto appresso nell'audiovisivo e nelle arti. Curo diverse piattaforme diasporiche, e per GRIOT sono una contributor.