Penne In Fiamme | Di Rabbia & Desiderio
Come continuazione di Whose Wor(l)d is This? Diverse Voices in Urban Literature in The UK and Italy, progetto realizzato in collaborazione con Inua Ellams e Orbita Spellbound, e parte della programmazione artistica RIFRAZIONI, due delle poete pubblicate, Val Wandja e Cora Dessalines tornano con SPAZIO GRIOT da EXP al Palazzo delle Esposizioni in un format inedito, un artist on artist talk in cui riivelano il loro rapporto con la spoken word e i sentimenti non raccontati.

“Ho iniziato a scrivere poesie da bambina. Mio padre mi pagava un euro a poesia. Era un poeta. Alla fine della settimana avevo guadagnato 20 euro,” dice teneramente Val a Cora, ridacchiando. Lɜ due artistɜ iniziano ad esplorare il loro rapporto con la poesia e con le parole.
Poetǝ e scrittorǝ afrofuturista queer e non binariǝ, il lavoro di Cora Dessalines è incentrato principalmente sui temi dell’amore, della perdita e della rabbia. Attingendo all’immaginario e al linguaggio del mondo naturale e del cosmo, sia la loro poesia che la loro scrittura sono un canale per rinvigorire la loro comunità, per galvanizzarla nel creare materialmente i mondi liberatori che l’afrofuturismo ci permette di immaginare. Val Wandja è nata a Roma, in una famiglia italo-camerunese. Il teatro è stato il luogo in cui ha scoperto il suo amore per le parole. Durante il Covid 19, quando i teatri non erano temporaneamente più praticabili, alla ricerca di una nuova arena dove incanalare le forti emozioni che provava in quel momento, scopre la poesia.
“Fare poesia è come vomitare. Rigurgito cose sulla carta. Esorcizzo un demone e lo lascio uscire” dice Cora. La poesia è un atto istintivo, che in un certo senso può essere visto come egoista, distaccato e indipendente da ciò che viene prima e da ciò che viene dopo. “A volte non penso nemmeno alla performance in sé. Laddove la mia prosa è calcolata per essere chiara, comprensibile e per un pubblico largo, la mia poesia è molto colloquiale e personale.”
Il processo poetico non è tuttavia né lineare né facile. “A quali strutture ti ispiri?” “Quale linguaggio usare?”. Queste sono alcune delle domande che lǝ artistǝ si pongono. “La pervasività dell’inglese è un tema piuttosto interessante”, afferma Cora. Venendo da un background italo-britannico-caraibico e avendo studiato nel Regno Unito, l’inglese è sempre stata la lingua più familiare per Cora. Ciò lǝ porta però a chiedersi come decolonizzare una simile lingua coloniale, ossia il sistema che conosce meglio. La poesia, tuttavia, richiede anche gentilezza verso se stessi e verso il processo di scoperta delle proprie strutture. Le lingue, anche se imposte, mutano dall’interno e possono essere ri-appropriate. Molte forme di dialetti e lingue creole sono il risultato di tale processo. A dire il vero, la riconnessione con un linguaggio è anche un processo lento che necessita il suo tempo. Come figure diasporiche è importante anche rivendicare ed abbracciare la porosità della nostra area di Broca, quella parte del cervello che si occupa della parola.
E questo ci porta al pensiero successivo sul linguaggio e sulla poesia. Nonostante le loro pratiche siano molto intime e personali, lǝ due artistǝ giungono entrambi alla conclusione che la poesia contribuisca anche a costruire comunità.

L’atto di leggere poesie a un pubblico, con il pubblico, condividendo parti intime di sé, attiva intrinsecamente un processo di cura che è essenziale alle dinamiche collettive. “Scrivo nella mia testa, per me stessǝ, ma lo faccio perché voglio dire qualcosa a qualcuno” dice Val. “Spesso non lo modifico nemmeno, perché so che mentre leggo il testo cambierà davanti ai miei occhi. Si trasforma mentre recito.”
Val e Cora iniziano quindi a concentrarsi sul delicato filo rosso nascosto sotto la sabbia che collega le loro tempestose poesie: rabbia e desiderio, amore e ira. Per Cora, questi sentimenti sono due facce della stessa medaglia. Sono cresciutǝ con una rabbia forzatamente quietata. Ribollivo con un’energia che non sapevo incanalare. La poesia lǝ ha aiutatǝ a trasformarla in qualcosa di rigenerativo. Anche Val confessa di essere “sempre statǝ unǝ ragazzinǝ fastidiosamente educatǝ… “Mi manipolavo psicologicamente nel credermi tranquilla riguardo a determinate cose”.
In quanto persone razzializzate, in quanto comunità marginalizzate, ci viene spesso chiesto di contenere e reprimere i nostri sentimenti più forti. Comportarsi bene, temperare forti emozioni. Per sopravvivere, ci viene chiesto di essere meno noi. Queste regole sociali della rabbia sono un modo potente per rafforzare le disuguaglianze e rafforzare le gerarchie dello status quo. La poesia va contro tali richieste sistemiche, e ti costringe a guardarti ed esprimere ciò che senti, che sia più o meno chiaro a parole, purché risuoni con i sentimenti di chi parla. La poesia diventa così un luogo di potere che dissolve l’oppressione sistemica. Tale Rabbia ci avverte, in quanto esseri umani, che qualcosa non va e deve cambiare, e in tal senso diventa rigenerativa. Come disse Audre Lorde la rabbia trasformata in azione rigenerativa “è un atto di chiarimento liberatorio e rinforzante“.
Mentre il flusso di coscienza sulla poesia e la consapevolezza nascosta in essa continuano, lǝ due artistǝ si realizzano del passare del tempo e si fermano per un secondo. Decidono di leggere ad alta voce le proprie poesie. La poesia di Val è concreta e fisica. Germoglia da frammenti di immagini scorrono davanti alle finestre di un treno regionale in corsa. Centra il corpo ed esplora le sue reazioni. Val viene dalla recitazione e dal teatro, dopo tutto. Diametralmente opposta ma al contempo allineata con la poesia di Val, è quella di Cora. È una poesia che si slancia verso lo spazio. Una poesia dove il corpo fisico si smaterializza per assumere sembianze celesti, alla ricerca dell’amore e della rabbia.
Val e Cora guardano il pubblico e recitano le loro parole.

~ pianete rosso (per marte) ~
di Cora Dessalines
pianeta rosso (per marte)
nel tempo impiegato per raggiungerti
la terra ha iniziato a respirare
nuova vita.
le foglie distese hanno accolto
il pianto dei bambini e io,
ancora alla deriva nel buio,
ho lasciato che sparisse dietro di me
il mio corpo galleggiante
in uno spazio
troppo freddo e vuoto
per accorgersi che era su di te
che sarebbe precipitato
se l’avessi saputo, avrei
reciso il suono
dal suo stelo & per radio
te l’avrei inviato
in uno spazio & tempo
anticipato.
ma tu sorridevi
vedendomi atterrare,
avendo pre-avvistato
che non era una coincidenza
se il giorno in cui ti ho incontrato
dal mio pianeta prendeva vita
un nuovo punto di partenza.
la tua voce, ovattata nella
nebbia arrugginita, sussurava
il mio benvenuto in te
marte
mio pianeta rosso
al solo suono mi sono spaventata
troppo abituata
a rinchiudere il mio cuore
in una conchiglia sul fondo del mare
troppo accecata
da un cielo da pallottole bucato
e io che pensavo fosse un cielo
stellato
semino il mio amore con misura ora.
vedremo la gloria io e te
voglio che ci credi
ma questo cosmo malvagio
mi ha quasi punita
oltre ogni possibilità di rigenerazione
la mia pelle ancora sfregiata
da costellazioni
accerchiate intorno ai miei polsi
come fossero spine ogni volta che
la testa al cielo ho alzata
senza un elmo rivestito d’oro
quando al bagliore del sole mi ero
troppo avvicinata
voglio abbassare la guardia per te.
abbasserò la guardia per te
perché abbiamo quell’amore
che fa rinascere le stelle
dalla morte
quell’amore che
rimodella sistemi solari
blocca pianeti tramanti
ricuce all’uncinetto cuori strappati.
tu rendi facile ammettere
che competo con le lune
per gravitare intorno a te.
sono miliardi gli anni
che cingono la tua vita
amore mio
e ogni curva
è troppo irresistibile
per non volerla orbitare,
per non tracciare poligoni
con le mie dita
e spingere
fino a toccare le onde
sotto la tua superficie.
voglio che le maree di primavera
si alzino nella nostra gloria
e come me
si increspino sotto di te.
addolcita da un sorriso
così luminoso
che raggi di luce brillano
attraverso i tuoi denti.
lentamente
mi hai tirata
a te
ancora e ancora
finché ad angolo retto
a te non mi sono allineata
finché con acqua calda
ogni mezza fase di me,
da te, non è stata colmata.
voglio riportarti sulla terra con me.
dimostrare all’umanità
che il nostro incontro
era un destino naturale
noi, l’inevitabilità
sacra abbastanza
da essere scolpita
nel disco di una margherita
in foglie su uno stelo
in una conchiglia dell’oceano
interconnessᴈ in tutto l’universo
in una sequenza infinita
senza paura
perché noi ricominciamo.
così nella mia prendo la tua mano,
il pollice accarezza
della tua pelle il blu reale
mentre ci imbarchiamo sulla nave,
e nel tempo che ci vuole
per raggiungere la terra
i petali verdi ricominciano
ad arricciarsi su se stessi
gocce di rugiada cristallizzata
e amicᴈ, ancor prima di me,
sanno che di unə venutə da marte
mi sono innamorata.

~ Fischi ~
di Val Wandja
È buffo come
seduta su questo treno regionale
sento di dover cercare le parole
per dirti che sto male
Sto male.
Il finestrino è un rodovetro
fotogrammi di colline
istantanee scolpite in luce
e fuori scorre il verde
mi chino per vomitare.
Ritmo regolare
il treno inspira
ed espira
Vapore
negli occhi gelidi
gocce
mi picchiettano le spalle
una tortura cinese
Quella sera
avevamo mangiato ravioli
cotti al vapore
Quando ti ho detto
Che mi spaventa
che ti spaventa vedermi piangere
Mi ricorda quanto spesso
sento il bisogno
di dovermi giustificare
Mi ricorda che
i momenti più filmici della vita
non hanno traccia musicale
Mi spaventa che del vuoto
nessuno vuole mai parlare
veramente parlare
Parliamone
Ma come te lo spiego
a parole
che quei formicolii sottopelle
E verità non dette
E calore nella pancia
E lacuna nei ventricoli
E respiri trattenuti
E singhiozzi sigillati
Sono ciò di cui siamo fatti
Essenzialmente
è tutto ciò che ti comprende
e ti comprendo
se ti comprime
ma a me
tutta questa protezione
opprime
Fotogrammi di colline
istantanee scolpite in luce
e fuori scorre il verde
Il finestrino
E S P L O D E
in mille pezzi
di cellulosa
che rimetterò insieme
in ordine sparso
in questo ordine mondiale
nella dimensione liminale
Tra soffitti senza sonno
“Sto un po’ meglio”
Chaos interpersonale
Clamore sopra le casse
Ballando,
intercettando
movimenti interni
Ci guardiamo
in imbarazzo
uno davanti all’altro
al tavolo
con le bacchette di legno
in mano io
spero in una magia
ma il silenzio non è uno dei tuoi
argomenti
di conversazione
E allora scappo
sul primo treno in viaggio
E scusami se ti lascio solo ma
sono in ritardo
Di troppe generazioni
RIFRAZIONI
Promosso da | Assesorato alla Cultura di Roma Capitale and Azienda Speciale Palaexpo
A cura di | SPAZIO GRIOT
Co-prodotto e co-organizzato da | SPAZIO GRIOT e Azienda Speciale Palaexpo
Main Sponsor | Gucci
Con il sostegno di | British Council
In collaborazione con | American Academy in Rome, Fondazione Polo del ‘900, EXP
Scopri di più sulla partecipazione di Cora Dessalines e Val Wandja a RIFRAZIONI e su Whose Wor(l)d is This? Diverse Voices in Utban Literrarure In The UK and Italy.
Visita Cora Dessalines e Val Wandja.
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Opero nel cinema, tra casting, sviluppo, ricerca archiviale e programmazione nell’ambiente festival. Il mio background è però legale, e mi ha permesso di sviluppare un metodo di analisi decoloniale che mi porto appresso nell'audiovisivo e nelle arti. Curo diverse piattaforme diasporiche, e per GRIOT sono una contributor.