Chi Ha Paura Dell’uomo Nero? | Documenta 14 A Kassel | Le Nostre Impressioni Sull’esposizione

Adam Szymczyk, il direttore artistico della quinquennale documenta 14, si sentirà sollevato ora che è tutto finito. Come da tradizione, quella che è conosciuta come una delle più grandi esposizioni d’arte contemporanea al mondo, è stata ospitata nella città di Kassel. Tuttavia, l’edizione 2017 si è aperta ad Atene a Aprile, chiudendosi domenica 17 nella città tedesca, inghiottita da una bufera di polemiche su un presunto deficit di bilancio da 7 milioni di euro. Portando la mostra ad Atene, il sig. Szymczyk aveva già fatto agitare le acque poiché la capitale greca era in disaccordo con la sua controparte tedesca per una crisi del debito protratto. Come osa Szymczyk?
Curatore appassionato a cui piace rischiare molto, Adam Szymczyk ha fatto quello che sa fare meglio e nonostante le controversie è stato visto più volte passeggiare in incognito per le strade di Kassel.
All’annuncio dell’insolito concept curatoriale per questa edizione, i critici avevano gridato al dominio di una inarrestabile forza tedesca, accusando documenta 14 di avanzare una sorta di colonialismo culturale. Invece non era voyeurista avere intenditori d’arte marciare su Atene per sfruttare la crisi a favore del proprio capitale culturale? E criticare il capitalismo con un budget a sei zeri in Kassel? Se lo sono chiesti in molti.

Il concetto di ‘colonialismo culturale’ sembra aver infastidito Adam Szymczyk più di qualunque altra cosa. A giugno, durante una festa afrobeats ospitata da una galleria affiliata a documenta 14 a Berlino, un pensieroso Adam ha fatto fermare dal dj la musica, ha preso il microfono in mano e ha chiesto alla folla divertita se pensavano che documenta 14 fosse un’impresa coloniale.
Benché quasi nessuna delle decisioni curatoriali sia stata modificata per soddisfare le critiche, sia l’edizione di Atene che quella di Kassel sono sembrate più spinte dal desiderio di decanonizzare l’arte contemporanea tramite la scelta dei pezzi in mostra e degli artisti. Ad esempio, il “Parlamento degli Organi” è stato un forum pubblico che si è tentuto in entrambe le città, che ha abbracciato iniziative locali anticapitalistiche, queer/trans/femministe e anticoloniali. Inoltre, durante questa quinquennale, gli artisti africani e della diaspora hanno raggiunto una visibilità senza precedenti da quando è iniziata documenta, nel 1955.
Alcuni di questi sforzi sono indubbiamente imputabili al duro lavoro di gallerie e curatori indipendenti che negli ultimi anni si sono impegnati a promuovere l’arte da prospettive africane e afrodiasporiche. In Germania, un archetipo di questo sforzo è senza dubbio l’esperto, co-curatore di documenta 14 e fondatore di SAVVY, Bonaventure Soh Bejeng Ndikung. In ogni caso, documenta 14 è stato un passo importante verso la rinuncia dell’ambiguità della categoria “arte africana”.
Dato che il deficit che ha scatenato le critiche è presumibilmente causato dal concetto di due città, molti artisti che vi hanno preso parte hanno pubblicamente difeso documenta 14 ed è molto importante sfruttare e analizzare l’ispirazione che questa posizione ha portato alla luce (almeno fino alla prossima edizione.)
Ho fatto una passeggiata per Kassel partendo da Torwache, attraversando la Neue Galerie, la Documenta Halle, l’Ottoneum, Friedrichsplatz e terminando a Königsplatz. Questa è la selezione di alcune delle opere che ho incontrato lungo la strada.
Ad esempio, per circa tre mesi, l’installazione Checkpoint Sekondi Loco 1901-2030 (2016-2017) di Ibrahim Mahama (Ghana) realizzata in sacchi di iuta precedentemente cuciti durante una performance artistica dello stesso, copriva completamente il Torwache, una porta medievale e contemporanea nel centro storico di Kassel.
Alla Neue Galerie, la performance e installazione Carved to Flow (2017) di Otobong Nkanga (Nigeria,) ha accolto e coinvolto i visitatori sui concetti di terra, di casa e di movimenti migratori.
Sempre alla Neue Galerie, l’installazione di Sammy Baloji (Repubblica Democrtatica del Congo) Fragments of Interlaced Dialogues (2017) – Frammenti di dialoghi interlacciati – esplorava temi simili, coinvolgendo lo spettatore con lussuose fibre di stracci e stuoie conservati del XVII-XVIII secolo e provenienti dal Congo o dall’Angola e ‘residenti’ in musei europei.
The Missing Link. Decolonisation Education by Mrs. Smiling Stone (2017) – “Il Link Mancante. Scuola di Decolonizzazione della signora Smiling Stone” (2017) l’opera di Pélagie Gbaguidi alla Neue Galerie occupava un corridoio lungo 100 metri e illuminato da luce naturale.
Entrando nella Documenta Halle, un’installazione di Igo Diarra (Mali) e La Medina fatta dei premi e di altri effetti personali della leggenda musicale maliana Ali Farka Touré, invitava i visitatori a entrare. Lo scorso 22 luglio i rimanenti membri della band hanno anche tentuo uno spettacolo elettrizzante alla Henschel Halle, una gigantesca “cattedrale” industriale a Kassel.
Nella galleria principale della Documenta Halle, l’installazione di Aboubakar Fofana (Mali) Fundi (Uprising, 2017) pendeva dal soffitto di vetro (sì, dal soffitto di vetro.) Sotto i pezzi di panno tinti c’era un giardino vero, fatto di piante di indaco dalle quali poi è stato estratto il colore.
Sul lato opposto della galleria principale, sempre nella Documenta Halle, si trovava Disco Concertation (2016) di El Hadji Sy (Senegal,) un’opera fatta di quadri e di suoni, completata da una sfera di specchi che ruotava al centro dell’ installazione.
Entrando nell’Ottoneum, che era situato tra il Fridericianum e la Documenta Halle, altrimenti conosciuto come un museo della storia naturale, catturavano l’attenzione le foto in mostra in bianco e nero di Akinbode Akinbiyi (Nigeria) Passageways, Involuntary Narratives, and the Sound of Crowded Spaces (2015-2017) – “Passaggi, narrazioni involontarie e il suono degli spazi affollati”.
Davanti alla Documenta Halle si estende la ampia Friedrichsplatz. Qui si trovavano alcune delle istituzioni coinvolte. Impossibile non notare l’annuncio che recitava “Wer hat angst vor Schwarz” un’appropriazione indebita di “Wer hat Angst vom Schwarzen Man” (Chi ha paura dell’uomo nero?) un controverso gioco tedesco per bambini. È la pubblicità del pezzo d’arte – letteralmente ‘da bere’ – di Emeka Ogboh (Nigeria) per documenta 14. La “birra nera”, ribattezzata Sufferhead Original Stout, allude all’inno politico di Fela Kuti e si basa su una ricetta realizzata da interviste fatte a persone di origine africana che vivono in Germania.
Camminando per circa 300 metri nel centro della città si arrivava alla Königsplatz, la piazza centrale di Kassel. Quasi al suo centro si innalza l’obelisco di 16,3 metri di altezza intitolato “Das Fremdlinge und Flüchtlinge Monument” (Monumento per gli stranieri e i rifugiati, 2017) di Olu Ogibe (Nigeria). È un monumento in onore del Movimento per i Rifugiati del 2015 che mette in luce il contestato ruolo che la Germania ebbe in quella vicenda. Per il suo lavoro Olu Ogibe quest’anno ha ricevuto il Premio Arnold Bode 2017.
Inoltre, tra gli altri artisti provenienti da contesti africani e afrodiasporici che hanno esposto alla mostra troviamo Bouchra-Khalili (Mali,) Theo Eshetu (Olanda/Etiopia,) l’iQhiya Collective (Sudafrica) Manthia Diawara (Mali,) Narimane Mari (Algeria,) e Tracey Rose (Sudafrica.)
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Immagine in copertina | Monumento per gli stranieri e i rifugiati (2017) di Olu Ogibe – Tutte le immagini | Eric Otieno
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Sono uno ricercatore e studioso di decolonialismo. Lavoro sull'intersezione tra giustizia sociale, politica, economia, arte e cultura. Amo leggere, ballare, andare in bicicletta e il capuccino senza zucchero.