Paa Joe Ci Porta Nell’aldilà In Bare Da Sogno Che Raccontano La Nostra Vita

Quando lo scorso Ottobre sono andata a Londra alla fiera di arte contemporanea 1:54, uno dei lavori più eccentrici che ha catturato il mio interesse era una cassa da morto a forma di Walkman realizzata dal ghanese Paa Joe.
Dovete sapere che in Ghana i funerali non rappresentano solo il momento in cui ci si riunisce per piangere la persona che è venuta a mancare ma anche un’opportunità per commemorare la vita dell’amato defunto, un evento sociale a cui partecipano moltissime persone – più sono, più significa che la persona scomparsa era molto popolare e benvoluta dalla sua comunità.

Se qui in Italia ci sono alcuni luoghi – tipo Napoli e provincia – dove le famiglie spendono cifre esorbitanti per un matrimonio, tenendo conto della moneta locale e della capacità di spesa di una famiglia con un reddito normale, in Ghana la gente è capace di spendere la stessa cifra, se non di più. Per un funerale però. E il simbolo più iconico di queste celebrazioni è la bara.
Mi sono fatta due chiacchiere con Paa Joe, artista e artigiano di bare di Accra, classe 1947, che da più di cinquant’anni produce feretri: “All’età di 15 anni mia madre mi mandò ad imparare i trucchi del mestiere da mio zio [Kane Kwei,] uno dei primi a realizzare queste fantasy coffins [abebuu adekai, nel dialetto del gruppo etnico Ga significa “bare proverbiali”, casse che raccontano una storia.] Restai da lui per dieci anni e nel 1976 aprii il mio laboratorio dove gli allievi venivano ad imparare il mestiere,” mi racconta Paa Joe – Paa sta per Father Joe. “Da allora molti collezionisti e amanti dell’arte mi hanno iniziato a cercare ed a comprare svariati pezzi che poi sono stati esposti in diversi musei del mondo: dalla Francia all’Italia, dalla Germania all’Inghilterra – British Museum, Victoria & Albert Museum, Londra, – dal Giappone alla Corea, all’America – Brooklyn Museum, Ny.”
GRIOT: Quando hai iniziato il tuo periodo di apprendistato da tuo zio, volevi diventare un artista oppure la vocazione è arrivata dopo?
Paa Joe: Sì, non volevo essere solo un fabbricatore di bare. Volevo diventare un grande artista perché avevo un dono prima ancora che iniziassi con lui. La gente qui in Ghana viene sepolta in bare dalle forme diverse. Ogni forma sta a simbolizzare la loro carriera, ciò a cui erano legati o le cose che amavano di più quando erano in vita. Volevo entrare in questo commercio, mandare i morti nella terra dell’aldilà in una cassa bella e colorata.
Perché hai scelto proprio le bare per esprimere la tua arte? L’ha scelto lei o era già nei tuoi piani?
A sedici anni non hai molte possibilità di scelta. Non avevo un background in nessun tipo di arte. Stavo semplicemente facendo il mio apprendistato. La mia percezione a vent’anni improvvisamente cambiò. A quell’età sei cresciuto, hai fatto esperienza ed imparato nuove cose, perciò mi interessavo sempre di più a quello che stavo facendo, esaudendo le idee e i desideri delle persone. Diventai sempre più bravo e creativo nei lavori che realizzavo. Quindi è tutto venuto da sé, facendo pratica e stando vicino a mio zio. È così che ho deciso di trasformare questo mestiere in arte.
Raccontaci l’importanza che rivestono queste bare nella società. È per caso legata alla credenza dei ghanesi che ci sia una vita dopo la morte?
La bara è un simbolismo. In Ghana le persone credono nell’aldilà. La morte non è la fine ma un continuum della vita. Per esempio se quando eri vivo facevi l’autista o eri un appassionato di macchine, verrai sotterrato all’interno di un feretro a forma di macchina, presumendo che poi continuerai a guidare nella terra dell’aldilà. Se eri un insegnante, la tua cassa sarà una penna o un libro. Stessa cosa per un giornalista. La sua cassa avrà la forma di un microfono o di una videocamera. Funziona così.
Il fatto di essere seppelliti in questo tipo di bare fa parte della tradizione popolare o solo alcune persone hanno diritto a questo tipo di funerale?
Ognuno in Ghana, se vuole, può decidere di andarsene dentro queste bare. Non è una tradizione riservata a un’élite di persone. Di solito le persone tradizionali vengono sepolte in casse a forma di leone, aquila o sgabello (capi villagio, re, nobili,) mentre i credenti in bare a forma di Bibbia o chiesa. Questa è l’unica eccezione. È una tradizione cominciata negli anni ’50, anche nei villaggi. Prima di allora le persone venivano messe dentro palanchini [la storia narra che lo zio di suo zio, un pescatore, sentendo che stava per morire, chiese al nipote falegname di fabbricargli una bara che avesse la forma della sua barca].
Le persone si scelgono la bara prima di morire o è la famiglia che decide come se ne andrà nell’aldilà?
È raro che qualcuno ti ordini la cassa prima di morire. Alle volte però succede. Diciamo nel 5% dei casi. Altrimenti è la famiglia che sceglie per il defunto. Di solito vengono da noi per avere delle indicazioni, una consulenza. Dopo averci raccontato la vita della persona, insieme decidiamo il tipo di bara che più le si addice. Lo stesso processo avviene con i collezionisti d’arte. Mi dicono quello che vogliono e io realizzo la loro bara.
Hai ricevuto moltissima attenzione a livello internazionale. Tutti questi riflettori accesi non hanno in qualche modo distolto la tua attenzione dal fare bare per la gente comune? Non pensi che sia più l’occidente ad aver trasformato il tuo lavoro in arte da museo?
La prima volta che sono salito alla ribalta internazionale è stata in occasione della mostra Les Magiciens de la Terre. Era il 1989 ed io ero con mio zio al Centro Pompidou dove erano esposti sette feretri. Ma prima ancora di questa data, i galleristi André Magnin, e le fotografe Carol Beckwith e Angela Fisher mi contattarono per collaborare. Per non parlare delle persone che in quel periodo viaggiavano per il paese e per caso scoprirono il mio laboratorio.
È da molto che la gente viene seppellita in questo modo per cui anche se a livello internazionale il mio mestiere viene riconosciuto e applaudito come una forma d’arte, qui in Ghana non è percepito come tale, anche perché molte persone non sanno cosa significi “opera d’arte,” “creatività”. Non mi vedono come un artista ma come un fabbricatore di bare. Faccio casse sia per funerali in Ghana che per il mercato dell’arte.
Molto tempo fa ho giurato a me stesso che sarò sempre leale alla mia comunità che acquista bare da quando ho aperto il mio studio, prima ancora che arrivassero i collezionisti o i commercianti d’arte. Quindi perché dovrei rinnegare i miei primi sostenitori, le persone che mi hanno reso famoso? Cosa succederebbe se per un periodo non ricevessi più ordini dal mercato internazionale ma solo dalla comunità? Dovrei rifiutarli? E come sopravvivo? No. Assolutamente no. Resterò sempre fedele a loro. Non importa quel che succede.
Per i funerali locali uso un legno più morbido e materiali più comuni mentre per i collezionisti e i commercianti d’arte utilizzo un legno più duro e materiali più pregiati e di qualità che sono molto costosi. In entrambi i casi però sono realizzate artigianalmente, a mano. Non uso macchinari.
In uno dei nostri primi articoli abbiamo parlato dei funerali Afro-Caraibici di Londra e di come la morte sia celebrata come parte della vita. Come funziona in Ghana? Che rapporto hai tu con la morte?
Come ti dicevo, i ghanesi credono in una vita dopo la morte e come in molti paesi dell’Africa, il funerale e l’atto della sepoltura possono durare a lungo. Un funerale per esempio può protrarsi dalle tre alle quattro settimane, il che mi permette di realizzare una cassa speciale per il morto. Una volta pronta, la famiglia va all’obitorio, di solito il giovedì o il venerdì, per prendere il corpo. I funerali si svolgono nel fine settimana, venerdì o sabato, giorni in cui si procede con l’inumazione, e la celebrazione dura tutto il week-end. I partecipanti, vestiti con abiti da funerale tradizionali di colore nero o rosso e nero, possono andare in altri villaggi o paesi dove le famiglie in lutto, a turno, danno loro da bere e mangiare. E poi c’è la musica e si balla.
Il mio rapporto con la morte non è molto semplice da descrivere. Quando sei un fabbricatore di bare, hai sempre la morte in testa, non per forza la tua ma quella della persona per la quale stai realizzando la bara. Quindi capita che mi senta triste e provi compassione [nel 2012 Paa Joe ha perso la mamma e lui stesso ha costruito la sua bara.] Quando invece si tratta di un lavoro per uno spazio d’arte o un collezionista, lo vivo in maniera diversa, più serena. Contrariamente alle credenze comuni, in Africa le persone che hanno a che fare con la morte, non hanno necessariamente a che fare anche con il misticismo. Onestamente parlando, solo Dio ci guida e protegge.
La produttrice Anna Griffin mi ha detto che il 31 agosto, al Broadway Cinema di Nottingham, ci sarà una proiezione del documentario “Paa Joe & the Lion,” diretto da Benjamin Wigley, e anche una processione per strada. Puoi descrivercelo brevemente?
Ben [Benjamin Wigley] ha scoperto il mio lavoro proprio come te, a Londra. Era il 2010 e c’era un’esposizione dei miei lavori alla Jack Bell Gallery. Rimase affascinato dai miei lavori quindi tramite la galleria si mise in contatto con me dicendomi che voleva fare un documentario sulle mie opere. Dissi di sì. È una storia lunga. Per tagliare, è venuto in Ghana diverse volte. Per incontrare me e la mia famiglia, seguirmi nella mia quotidianità, viversi i miei momenti sì e no, e documentare anche l’eredità che lascerò a mio figlio Jacob. Il film riguarda il mio passato, presente e futuro.
Considerato che la vita è una lotta continua, dove un artista non ha mai certezze, e questo è vero soprattutto in Africa, molti preferiscono che i loro figli seguano un percorso diverso, più sicuro. Mi hai appena menzionato Jacob. Hai dato ai tuoi figli qualche consiglio per il futuro?
All’inizio due dei miei figli lavoravano con me, ma uno ha abbandonato e ora lavora per un’altra azienda. Parlo del più piccolo. Jacob, che mi assiste in laboratorio, è il maggiore. Devo confessarti che mi piacerebbe fare una residenza d’artista in Europa con lui. Lo sto incoraggiando a intraprendere il mio percorso e ad abbracciare questa carriera così quando arriverà il mio momento, il mio nome e la mia eredità resteranno ancora vivi.

Che consigli daresti a qualcuno spaventato all’idea di morire?
Nessuno dovrebbe avere paura della morte. Nel momento in cui succede, la morte si avvicina. Bisogna studiare e conoscere di più la morte e la terra dell’aldilà.
– Janine Gaelle Dieudji