La Rimozione Di Statue è Una Battaglia Delle Memorie Che Andrebbe Superata E Aggiornata

2020, che anno strano! Neanche il tempo di metabolizzare la pandemia Covid 19 che il mondo intero si è ritrovato a fare i conti con la tragica morte di George Floyd, un padre afroamericano ucciso da un poliziotto durante un controllo. In seguito a questo evento, negli Stati Uniti è esplosa un’ondata di proteste che si è diffusa nel resto del mondo occidentale. Britannici, francesi, tedeschi, irlandesi, italiani, spagnoli e molte altre nazionalità europee appartenenti a minoranze―e non―hanno iniziato a denunciare l’ipocrisia dei loro paesi in merito alle loro questioni interne. Nate in modo pacifico, con il passare dei giorni hanno preso una svolta più violenta.
Churchill, Colston and Rhodes, nel Regno Unito; Re Leopoldo II in Belgio, Schoelcher, de Gaulle e Colbert in Francia, Cristoforo Colombo e Jackson negli Stati Uniti, sono tra le statue recentemente danneggiate, sbullonate o distrutte dai manifestanti. Fraintese da molti, la maggior parte dei governi ha completamente condannato queste azioni, sostenendo che non dovremmo dimenticare o negare il nostro passato. Per chiudere il dibattito il prima possibile, il primo ministro britannico Boris Johnson ha affermato che la rimozione delle statue significava “mentire sulla nostra storia“, mentre il presidente Macron ha dichiarato che “La Francia non cancellerà nomi dalla sua Storia, né abbatterà statue.” Tuttavia, invece di chiudere la conversazione, questi politici hanno scatenato una battaglia delle memorie.


La domanda è: dovremmo lavorare per preservare il nostro patrimonio storico o è giunto il momento di liberare i nostri spazi pubblici da elementi controversi? Specialmente quando questi monumenti sono moralmente discutibili, come la statua del giornalista Indro Montanelli, che, in un talk show del 1969, raccontando della sua relazione con Destà, una bambina eritrea di 12 anni, e riferendosi alla sua età, con un sorriso compiaciuto sulle labbra sosteneva che in Africa fosse un’altra cosa. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha espresso la sua posizione, attirandosi una serie di critiche per le dichiarazioni a supporto della sua contrarietà nel rimuovere la statua: “Contrario a toglierla, tutti facciamo errori.”


Ma è importante ricordare che una statua è prima di tutto un’opera d’arte. Tuttavia ha la specificità di essere politicamente o moralmente non neutrale, perché è stata realizzata per celebrare il ricordo di un individuo, una vittoria o un grande risultato. Eretta nel mezzo dello spazio pubblico, la scultura di una figura storica è sempre sottoposta a un giudizio di valore che rispecchia una società e la sua cultura. Ma cosa succede quando questi monumenti non riflettono più i nostri valori contemporanei?
Secondo lo storico Frédéric Régent―esperto di storia della schiavitù nei Caraibi―il dibattito sulla rimozione di statue controverse richiede contestualizzazione e precisazioni. Deve essere trattato come una questione politica interna, per evitare analisi di parte, americanizzate, poiché il rapporto delle società occidentali con la schiavitù e la colonizzazione varia da paese a paese. Régent aggiunge inoltre che “non possiamo condannare dei princìpi morti, che non esistevano nemmeno al momento della loro esistenza.”

La storia non è né buona né cattiva, riguarda il contesto. I monumenti raccolti per rendere omaggio a Colbert o Francis Drake possono legittimamente irritare i discendenti di persone che furono schiavizzate. Ma sarebbe anacronistico ridurre queste figure storiche alle sole colonizzazione e schiavitù. Tuttavia, quando un elemento dello spazio pubblico diventa un problema socio-culturale, il modo migliore per decidere il suo futuro all’interno della società è attraverso la democrazia.
Alcuni commentatori hanno―giustamente o erroneamente―affermato che questi atti vandalici sono stati provocati da alcuni estremisti non istruiti che hanno strumentalizzato delle proteste pacifiche per far cadere le strade nel caos. Ma danneggiare monumenti non è solo un semplice atto isolato di rivolta e anarchia. Al contrario, è un grido disperato e preciso di gruppi di persone che si sentono disprezzate e respinte nello spazio pubblico della loro nazione.

Lo storico ed esperto di Stati Uniti Thomas Snegaroff ha spiegato che nel corso della storia la rimozione delle statue è stato un fenomeno ricorrente. Dopo una guerra, un grande cambiamento politico o culturale, nuovi regimi o istituzioni hanno abbattuto monumenti per indicare la fine di un ordine e l’inizio di uno nuovo. Inoltre, rimuovere i monumenti problematici non significa necessariamente “modificare” o “censurare il nostro passato”, per citare Boris Johnson. È un modo per costruire uno spazio pubblico nazionale, in cui tutti i cittadini si riconoscono come attori della storia del loro paese.
Ciò che è interessante del dibattito sulla rimozione di statue problematiche, ed eventi come le proteste a supporto di Black Lives Matter, è stata la reazione di alcuni paesi africani. Se prendiamo l’esempio della Repubblica Democratica del Congo, il danneggiamento della statua di re Leopoldo II del Belgio in nome dei suoi crimini passati non è stato compreso. I media locali hanno mostrato scarso interesse per ciò che sta accadendo in Europa e fanno fatica a capire perché gli europei neri sono così concentrati sui morti del passato, quando i congolesi ogni giorno continuano a morire in massa di fame e guerra. Hanno persino disapprovato il fatto che i media occidentali non parlino più delle tragedie quotidiane che colpiscono il loro paese. Questa reazione può sembrare sorprendente, ma è importante comprendere che i rapporto che le popolazioni africane o asiatiche hanno con la storia e le civiltà è abbastanza diverso da quello del mondo occidentale.
Le civiltà non sono statiche: muoiono, si evolvono o si fanno da parte per fare spazio ad altre. Il ruolo della storia e della memoria rispetto a questi cambiamenti è quello di costruire una narrazione coerente che abbracci le complessità e la diversità di un mondo in costante movimento. Parlare di rimozione di statue non dovrebbe essere preso come un affronto dalla politica conservatrice, ma come un passo in avanti nella scrittura della Storia. Tuttavia, rimuovere monumenti controversi non è l’unica azione da intraprendere. È arrivato davvero il momento per chi ci governa di approvare le misure per riconoscere il posto a quelle eroine e quegli eroi che sono stati trascurati per troppo tempo. Sono sicura che le nostre metropoli stanno disperatamente languendo nel vedere la nascita di sculture che rappresentino protagonisti non bianchi delle storie europee.

È tempo di vedere nelle nostre strade, in Parlamento, al Senato o in qualsiasi luogo di significato simbolico, l’ascesa di monumenti dedicati ad Aimée Césaire, Josephine Baker, John Brown, Mary Seacole, la principessa Kaʻiulani, Ignatius Fortuna, Léopold Sédar Senghor, Olaudah Equiano, Sake Dean Mahomed e Toussaint Louverture.
– Anaïs N’deko
Questo articolo è disponibile anche in: en
Condividere. Ispirare. Diffondere cultura. GRIOT è uno spazio nomadico, un botique media e un collettivo che produce, raccoglie e amplifica Arti, Cultura, Musica, Stile dell’Africa, della diaspora e di altre identità, culture e contaminazioni.