‘Onthou Atlantis’ | Silas Miami Esplora Il Recupero Di Atlantide

Silas Miami si descrive come artista, fotografo e regista che nel corso della sua carriera ha gradualmente incluso all’interno dei suo lavori le arti visive. Laureatosi alla South African School of Motion Picture Medium and Live Performance (AFDA), è cresciuto artisticamente passando dalla produzione e direzione dei suoi video musicali (sì, è anche cantautore) a tradurre storie complesse in film.
In uno dei suoi ultimi progetti, una monografia visiva intitolata “Onthou Atlantis“, l’eclettico artista di Nairobi basato a Cape Town è andato in una piccola città di 70.000 abitanti nella parte ovest di Città del Capo per immortalare una narrazione spazio-temporale in immagini: è la storia di Atlantide, della riappropriazione di uno spazio ambivalente, una linea effimera tra mito coloniale e realtà post-coloniale.
La città fu il prodotto di una macchinazione ideata dal Group Areas Act, una “politica di zonizzazione urbana” attiva durante l’apartheid, e fu progettata per impedire la resistenza e spostare le popolazioni razzializzate verso i margini più remoti della città.
Abbiamo parlato con Silas Miami di questo suo progetto, Onthou Atlantis.
GRIOT: Descrivici brevemente Onthou Atlantis.
Silas Miami: Penso sia un’esplorazione legata all’interruzione, alla riappropriazione, alla proprietà. Stiamo piegando molte convenzioni spaziali e di genere, e lo stiamo facendo in maniera deliberata. Se dovessi usare parole più semplici, penso e sembra essere veramente, veramente bella.
L’intero progetto si ispira alla storia dello spazio. Durante la vecchia dispensazione (apartheid) la comunità nera fu trasferita in questo luogo e le fu promessa una fiorente metropoli. Naturalmente era un pretesto per cooptare la resistenza. Quindi volevamo che questo tema dell’opposizione si distinguesse davvero, che fosse dominante. Ci sembrava corretto seguire la direzione di usare una figura maschile forte e vestirla con un tessuto delicato i cui colori si ispirano alle celebrazioni annuali dei menestrelli, Kaapse Klopse. Perciò alcune delle mie foto preferite sono quelle in cui lui è seduto con questo lungo tessuto che gli sventola dietro la schiena, accarezzato dal vento e nessuno, letteralmente, si accorge di questa stranezza.
In Onthou Atlantis stai (ri)elaborando il mito di Platone (il mito platonico) legato all’Isola di Atlantide che le persone, da allora, hanno sempre cercato di localizzare? Se sì, era intenzionale?
Penso che lo Zeitgeist nel promontorio occidentale si collochi proprio all’interno del discorso sulla decolonizzazione… interrompendo gli spazi. La storia di Atlantide diventa sempre meno incentrata sulla politica diminutiva degli spazi, che portò alla sua nascita, e più sulla sua gente, la cui resilienza e i diversi mezzi di crescita hanno permesso a questo persone di sviluppare un’agenzia storica che andava oltre le strutture dell’apartheid.
Volevo esplorare quelle dune con i legittimi proprietari dello spazio. Se guardi una qualsiasi immagine di Atlantite, al momento si tratta di un gruppo di dune di sabbia 4×4 e sembra che lo spazio sia stato riappropriato. Volevo entrare lì con i legittimi proprietari dello spazio, le persone che venivano buttate lì per convenienza, in modo da poter esplorare, ancora una volta, il tema della proprietà e del recupero. Ecco perché era importante per noi realizzare questo progetto lì, era la storia di quello spazio, con persone provenienti da quello spazio.
Potete trovare il libro di Onthou Atlantis qui.
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Sono uno ricercatore e studioso di decolonialismo. Lavoro sull'intersezione tra giustizia sociale, politica, economia, arte e cultura. Amo leggere, ballare, andare in bicicletta e il capuccino senza zucchero.