Olga Blacker | Dai Selfie Agli #antiselfie, Una Finestra Sulla Nostra Società

“Olga Blacker non è il mio vero nome,” mi racconta l’autrice di antiselfie davanti ad un cannolo siciliano. “È un nome fittizio.” Il padre, un professore universitario al quale capitava spesso di fare traduzioni e scrivere saggi, si firmava con il nome di Blacker ed Olga ha deciso così di portare avanti la tradizione.
Nata a Minsk, in Bielorussia, oggi vive e lavora a Milano. Dopo aver frequentato un corso serale all’Istituto Bauer, dove impara ed inizia a lavorare in analogico e in digitale, Olga inizia una serie di autoritratti con il suo iPhone, anche per una questione di comodità, ma soprattutto di spontaneità, che è la parola chiave del lavoro di questa giovane artista. Infatti, proprio come nei film di Hitchcock, bisogna cercarla tra riflessi e le ombre dei suoi scatti.
GRIOT: Come è nato il progetto #antiselfie?
Olga Blacker: La prima foto risale al 2014. Tre anni fa ho fatto una festa a casa mia e qui ho esposto per la prima volta #antiselfie. Ho incollato sulle piastrelle della mia cucina il numero di foto corrispondenti all’età che compivo.
In realtà per me era un gioco ma il gioco è piaciuto così tanto che ho deciso trasformarlo in un progetto vero e proprio. Alcuni selfie sono più ricercati di altri, ma l’idea del progetto è giocare sulla contraddizione: da un lato io nego il selfie ma dall’altro questo “gioco” diventa molto egocentrico, dovendomi sempre fotografare e dovendo cercarmi dentro l’opera.
Con questa serie faccio conoscere me stessa ad un pubblico tutto nuovo e allo stesso tempo do modo anche a chi mi conosce di scoprire qualcosa in più.
Ho pubblicato un antiselfie [così li ha ribattezzati Olga] al giorno per un mese, volevo fare un esperimento sociale. Utilizzavo hashtag come #olgablacker #antiselfie #selfexpression o ancora #socialmedia. È stato come tornare a studiare, questa volta però il modo di comportarsi delle persone.
Quale è il tuo #antiselfie preferito?
Il mio #antiselfie preferito è stato scattato in una galleria a Montecarlo davanti all’opera dell’artista Bertrand Lavier insieme ad un’amica. Nello scatto si vedono solo le nostre gambe in un mare di sapone attraverso il riflesso di uno specchio.
Che cosa pensi dei selfie e della società moderna?
Ci ritraiamo ogni giorno. Questo gesto, ormai quotidiano, è uno specchio della società moderna, alla quale diamo a credere quello che vogliamo tramite i post, i tweet, le foto che condividiamo. Non abbiamo limiti, possiamo controllare ogni scatto immediatamente, avere il risultato subito. Tutto è molto veloce, tutti corrono – chissà dove – ma per osservare i miei antiselfie ti devi soffermare, guardare tutto con maggiore attenzione. Sono foto da riguardare più e più volte.
Dove sono state scattate le foto?
Le foto sono state scattate in diversi posti: principalmente a Milano, ma anche a Londra, Monaco, Minsk, Parigi, o ancora New York. Ne ho realizzati all’incirca 130 e sono stati pubblicati in ordine casuale sui miei canali, senza prestare troppa attenzione a dove fossero stati scattati.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
La prima esposizione è sata al Bachelite Clab a Milano, vicino a piazzale Martinez, un locale di jazz, poi ho esposto a Minsk e durante qualche serata di lettura creativa. Mi piacerebbe potermi dedicare interamente ai miei progetti fotografici un giorno.
Sto lavorando a due nuovi progetti. Uno dove paragono il digitale alla pellicola, comparando sia i costi che l’idea dell’archiviazione, mentre l’altro è sull’immagine e sull’idea che vogliamo dare di noi stessi. Nel primo sono immagini sfocate dove percepisci cosa succede senza poterne vedere i dettagli; il secondo invece riguarda immagini che vengono visualizzate su degli schermi rotti.
Una volta una foto era qualcosa che restava, oggi se perdi un back-up le persone nemmeno ci fanno caso. Milioni di foto che vanno a finire chissà dove, in chissà quale cimitero fotografico. Mi interessa studiare il valore ed il peso che le persone danno alle cose oggi. Siamo noi a decidere in che modo utilizzare i vari device e sta a noi decidere anche quando questi debbano influire nella nostra vita.
Immagini | Tutte le immagini © Courtesy of Olga Blacker
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Su un aereo a 12.000 m di altitudine o in mare a 40 m di profondità. Mai con i piedi per terra. Costruisco geografie emotive dei luoghi in cui vivo e ho vissuto. Fotografa di professione, curiosa nel tempo libero. Ho imparato a mettere la mia vita dentro una valigia. Mi muovo come una piuma, l'elemento più resistente in natura. Papà italiano e mamma brasiliana hanno dato vita a un'inguaribile pesci.