
Sono due giorni che penso a questa immagine. Non ho bisogno di guardarla, è ben impressa nella mia mente. Un’immagine di rivendicazione e di lotta, un’immagine che mostra pugni alzati, fierezza e fermezza sui dei volti impreziositi da capelli afro, o intrecciati, o lasciati cadere morbidamente su spalle coperte da outfit eleganti e rock che vestono il corpo di 16 regine, di 16 donne che sul tappetto rosso della 71° edizione del Festival di Cannes hanno fatto la storia— perchè si sa, Cannes è IL palcoscenico—mostrando al mondo intero gli scheletri non troppo nascosti di un’industria filmica, quella francese, che non rappresenta e non include, che relega il corpo femminile, nero e meticcio, a ruoli marginali, stereotipati, consolidando cliché e pregiudizi difficili da scardinare.
Noire n’est pas mon metier – Essere nera non è il mio mestiere. Parte tutto da questo libro-denuncia uscito all’inizio del mese e andato già sold out in Francia. Un manifesto scritto a 32 mani (Nadège Beausson-Diagne, Mata Gabin, Maïmouna Gueye, Eye Haïdara, Rachel Khan, Aïssa Maïga, Sara Martins, Marie-Philomène Nga, Sabine Pakora, Firmine Richard, Sonia Rolland, Magaajyia Silberfeld, Shirley Souagnon, Assa Sylla, Karidja Touré) nelle cui pagine vengono denunciate le situazioni imbarazzanti e intrise di razzismo con cui le protagoniste—e autrici/attrici—si sono dovute scontrare durante il corso della loro carriera: ignorate, relegate a intepretare SEMPRE-GLI-STESSI-RUOLI. “Mi viene offerto di fare la domestica o la prostituta, mi viene chiesto di fare l’accento africano, sembra che sia nato un nuovo genere nel cinema: ‘il ruolo vicino al nulla’. In poche parole film che non rispecchiano la realtà, una realtà dove una donna nera può essere follemente innamorata di qualcuno, essere un medico. Dove siamo noi [donne nere]? In che anno ci troviamo?,” scrive e si/ci/vi domanda Rachel Khan.
Un’altra, Nadège Beausson-Diagne, ricorda di quando le capitò che un regista le chiese se parlasse africano, o di quando le venne detto che non era qualificata per fare la parte di un avvocato, o che non “era abbastanza africana per fare la parte dell’africana”, o, peggio ancora—Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno—quando durante un casting le dissero, “Per essere nera sei veramente molto intelligente. Saresti dovuta essere bianca”. WTF!
È strano—e sconfortante a tratt—leggere che un paese così variegato come la Francia sia ancora così indietro. E la stessa Aïssa Maïga (da noi ha recitato qualche anno fa in Bianco e Nero, film della Comencini in cui è protagonista insieme a Fabio Volo e Ambra Angiolini), che ha guidato la protesta sul red carpet di Cannes, ed è una delle autrici del libro, confessa: “L’immaginario delle produzioni cinematografiche francesi è ancora segnato da cliché ereditati da un’altra epoca. Le cose si muovono ma molto lentamente, anzi, siamo davanti a una vera e propria sclerosi.” E continua: “Lo scossone che aspettavo per arrivare a una rappresentazione più giusta non sta avvenendo, così ho sentito il bisogno di esprimermi”.
Perchè? Che paura hanno? Che paura avete nel rappresentarci normali? Nel rappresentarci?
Anche qui in Italia la situazione non è delle più rosee. Anche qui in Italia le cose si muovono a una lentezza disarmante, e può anche capitare di sentire dei registi affermare che qui da noi non esistono attori neri—e che per questa ragione sono costretti a (ri)correre in Francia per trovarli. Ma ci sono anche donne e uomini che come noi trasformano quel senso di frustrazione che percorre la spina dorsale di molti italiani con origini africane—e altre—in azioni che cambieranno e stanno già cambiando le cose, anche se a voi sembra di no, o non ve ne accorgete. Come dimostrano, per esempio, alcune delle nostre donne e artiste: l’attrice Tezeta Abraham, la ballerina Lidia Carew, le cantanti Yendri Coni Fiorentino e Vhelade.
La strada è lunga ma noi donne non molliamo. Ovunque nel mondo.
Ultimo aggiornamento: martedì 22 maggio, 11:00
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.