
Nell’aprile del 1966, durante la prima edizione del Festival mondiale delle arti negre svoltasi a Dakar, Léopold Sédar Senghor, il primo presidente del Senegal, nonché poeta, salì le scale dell’Assemblea Nazionale di Dakar e proclamò il paese capitale temporanea delle civiltà nere. Una posizione che collimava con i principi cardine della Negritudine, filosofia e movimento culturale, politico e letterario—di cui fu ideologo insieme, tra i vari, al poeta e scrittore martinicano Aimé Césaire—che si opponeva all’imposizione della cultura francese nelle colonie africane e caraibiche e si proponeva di affrancare i propri popoli dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori.
Ci sono voluti cinquantadue anni, diversi presidenti, e la donazione-investimento di 34.6 milioni di dollari della Cina, per arrivare a questo gioiello culturale, prima ancora che architettonico: nel 2011 infatti il presidente Abdoulaye Wade pose la prima pietra per la realizzazione del progetto, ma è nel dicembre 2013, con l’attuale presidente Macky Sall, che sono iniziati i lavori. La visione culturale di Senghor si è così manifestata in tutta la sua concretezza il 6 dicembre 2018, giorno della speciale inaugurazione del Museo delle Civiltà Nere – Museum of Black Civilizations o Musée des Civilisations Noires, tra i più grandi al mondo legati all’Africa e alla sua diaspora. Durante la serata, inaugurata dal presidente in persona, gli ospiti sono stati accolti da mostre che univano tradizione e modernità, tributi agli antenati, ai grandi personaggi delle civiltà nere, della diaspora—da Martin Luther King a Thomas Sankara, agli skirmishers, i gloriosi soldati frontalieri senegalesi, alcuni dei quali nella seconda guerra mondiale furono uccisi dall’esercito francese, per il quale combattevano, nel massacro di Thiaroye—e da mostre di artisti dal Mali al Burkina Faso, da Cuba ad Haiti, dal Brasile agli Stati Uniti.
Il museo, come ha sostenuto il direttore Hamady Bocoum, non vuole essere un monumento commemorativo, piuttosto un luogo che celebra i traguardi e i successi della civiltà nera dall’inizio dell’umanità fino ad arrivare ai nostri giorni. Un laboratorio creativo che aiuti a formare il senso di identità di un continente. Un’istituzione che si spera possa sostenere le nazioni meno ricche, ospitando la loro arte. “Non possiamo essere prigionieri di ciò che non abbiamo,” ha rivelato Bocoum a Le Monde nel 2016 quando gli venne fatto notare che il 90% del patrimonio culturale africano è nei musei all’estero. Bocoum però si è messo al lavoro per chiudere delle partnership internazionali e il museo sta già parlando con il Musée du Quai Branly di Parigi, e Bocoum stesso spera di lavorare anche con il British Museum di Londra e lo Smithsonian Institute.
Il mandato curatoriale del museo, si legge in una nota, deve rappresentare una risposta politica, culturale, artistica ed economica della Negritudine contro l’impoverimento tecnologico e culturale delle civiltà nere. Il programma considererà anche il contributo che l’Africa ha dato allo sviluppo della scienza e della tecnologia, nonostante nella storia mondiale sia sempre stato sottostimato, se non assente.
L’Unesco spera che questa iniziativa contribuirà a far avanzare le aspirazioni degli africani di appropriarsi in modo migliore della loro memoria. Lo stesso Ernesto O. Ramirez, assistente del Direttore Generale della Cultura dell’Unesco ha detto, “Questo museo è la risposta delle aspirazioni dei bambini africani di comprendere meglio la loro memoria e altre culture. È anche un passo fondamentale per la realizzazione di un’Africa con una forte identità culturale: un’eredità, dei valori e un’etica comuni.”
L’edificio, distribuito su 14.000 metri quadri di superficie, può ospitare fino 18.000 opere. Il design si ispira alle tipiche case circolari presenti nel sud Senegal.
Le mie speranze su questa istituzione sono molteplici: che tra le opere ospitate ci saranno anche i 100 pezzi di arte trafugati in passato dalla Francia e richiesti dal Senegal (della scorsa settimana è la pubblicazione di un report di 108 pagine commissionato dal presidente Emmanuel Macron, dal titolo The Restitution of African Cultural Heritage: Toward a New Relational Ethics, scritto dall’economista e scrittore senegalese Felwine Sarr insieme alla storica dell’arte francese Bénédicte Savoy); che ci sia il pieno e continuativo supporto economico, culturale e, non ultimo, il mantenimento strutturale di un monumento di tale grandezza, non solo da parte del Senegal e di sostenitori stranieri, ma anche e soprattutto dell’Unione Africana.
Siamo di fronte a un pilastro che nella sua essenza e nel suo intento rappresenta appieno quel processo di riappropriazione e di narrazione di storie ed eventi storici che da tanti anni, oggi in maniera più tangibile grazie anche ai social, sta attraversando tutta l’Africa e la sua diaspora nel mondo, con vari gradi di consapevolezza e incisione all’interno delle società, “ospitanti” e non. Un processo che, privilegiando, coinvolgendo lenti africane e diasporiche, sicuramente contribuirà a creare o rafforzare quel senso di identità africana e panafricana che trascende i confini propriamente geografici e attraversa mari e oceani, toccando l’Europa, i Caraibi e le Americhe. Un continente che siamo chiamati tutti a sostenere vigorosamente in questa sua volontà e spinta alla crescita.
Il museo aprirà a pubblico nelle prossime settimane. Se avete già pianificato il vostro viaggio in Senegal, consiglio di passare almeno un giorno nelle sue stanze. Se avete in mente di far tappa nel continente, ma non sapete da quale paese iniziare, ecco un buon motivo per scegliere Dakar e il Senegal.
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.