Motown Day Al Monk Club | Di Berry Gordy, Del “Suono Della Giovane America” E Di Altro Ancora

di GRIOT - Pubblicato il 18/04/2016

Era il 14 novembre del 1960, quando il giovane e intraprendente Barry Gordy aprì ufficialmente la sua etichetta discografica: la Motown. Per farlo aveva ottenuto un prestito di 800 dollari dalla famiglia e soprattutto aveva scommesso tutto sulla sua abilità negli affari [in quei giorni ancora tutta da dimostrare] e sul talento che aveva nel cercare, trovare, lanciare e vendere talenti.
griot-mag-motown-day-monk-club--berry-gordy-alberto-castelliIl nome che aveva scelto per la creatura era un omaggio alla sua città, Detroit (della quale conosceva perfettamente i locali notturni, il ghetto, donne di carattere e diverse personalità di spicco, nere come lui, nel settore del gioco d’azzardo e delle scommesse clandestine), the MotorTown – la città dei motori – così era chiamata infatti in quel periodo Detroit per la presenza dell’ industria dell’automobile, a partire dalla Ford.

Erano anni che Gordy aveva quel sogno. L’esordio nel mondo della musica non era stato particolarmente brillante: aperto un negozio di dischi, Gordy capì che non sempre, anzi quasi mai, il suo gusto personale coincideva con quello del pubblico. Si accorse che qualcosa non andava quando scoprì che tutti quei dischi jazz che affollavano gli scaffali, erano bellissimi per lui e per pochi altri, ma il pubblico voleva altro. Quando fu tutto chiaro, il negozio era ormai fallito, ma Gordy conservò comunque gelosamente il quadro che aveva esposto sopra il bancone: una bellissima foto, con autografo e dedica, che lo ritraeva al fianco della meravigliosa Billie Holiday.

Con il pugilato era andata meglio: nonostante il fisico non proprio aitante, era piccolo ma tosto, Gordy aveva un buon pugno e un senso feroce della lotta e della competizione, al punto che vinse i “Guantoni d’oro”, categoria medi, la più importante competizione americana per pugili dilettanti, ma la vita da atleta non faceva per lui.
griot-mag-motown-day-monk-club--berry-gordy-alberto-castelliLe cose cominciarono a girare, quando entrò alla corte di Jackie Wilson, cantante fantastico, per il quale scrisse almeno un paio di brani di successo. Questa volta imparò due cose: gli autori e soprattutto gli editori potevano guadagnare molto di più degli artisti, però in quel periodo in America gli editori neri non erano previsti. Forse fu proprio per questo che la prima canzone “best seller” della Motwon, interpretata da Barrett Strong, era intitolata “Money (That’s All I Want”), il cui ritornello era programmatico:

Tesoro, il tuo amore è così emozionante, ma non paga il conto. Il denaro è tutto quello che voglio”. Tanto per cominciare. Perché sarà solo l’inizio: nel giro di pochi anni, Gordy farà entrare nella sua squadra i migliori musicisti jazz della città – pagandoli una miseria – i quali formeranno – i Soul Brothers prima, i Funk Brothers poi – le leggendarie “houseband” della Motown, e un numero impressionante di giovani talenti di Detroit: William “Smokey” Robinson, Stevie Wonder, Diana Ross [che cominciò rispondendo al telefono, come segretaria, per poi diventare la First Lady della Motown, abbiamo visto anche questo, ma non ci siamo arresi], da Washington arriverà poco dopo Marvin Gaye [che per cominciare a complicarsi la vita sposerà Anna, una delle sorelle del boss], e poi gruppi vocali come i Four Tops, i Temptations, le Marvelettes, Martha and the Vandellas, autori straordinari come Holland, Dozier, Holland, Ashford e Simpson e tanti altri, più o meno fortunati.

Con rarissime eccezioni, tutti, ma proprio tutti, entrarono in conflitto con Gordy, che aveva un ego non proprio trascurabile. La stragrande maggioranza dei suoi dipendenti era composta da neri e anche questo, un’azienda di neri che arrivava in alto, però è elemento da non sottovalutare.

Raffinato, immediato, diretto, sensuale, seducente, ammaliante, questi saranno gli elementi più importanti del “suono della giovane America”, lo stile che Gordy lanciò. Nei giorni d’oro del soul, ci furono almeno altre due etichette discografiche che raggiunsero risultati straordinari, la Atlantic di New York [colori sociali: rosso e nero] e la Stax di Memphis [logo in giallorosso, non a caso, forse], ma nessuna conquistò il grande pubblico bianco e il grande mercato dei bianchi come la Motown.

James Brown [ovunque tu sia, proteggici], il cui ego rivaleggiava a testa alta con quello di Gordy, ricordando quel periodo e quel suono, disse: “La Motown è stata il caviale della black music, la mia musica era pollo fritto. Soul food”. A Memphis all’entrata della Stax c’era scritto bello grande “Soulville”- la città del Soul”, all’ingresso della Motwn c’era scritto, sempre con caratteri vistosi, “Hitsville”- la città dei successi. Differenza sostanziale.

Però, la storia e la figura di Gordy più che celebrare la realizzazione del grande sogno americano, rappresentarono perfettamente l’arrivo dirompente e rivoluzionario del capitalismo nero. Cosa non da poco. E il successo contagiò anche l’Europa: quando arrivò in Inghilterra la prima Motown Revue, lo spettacolo che comprendeva le stelle di Gordy, gli artisti trovarono sotto l’areo quattro limousine, perfettamente allineate; le avevano mandate i Beatles, che avevano interpretato diversi classici della Motown.
griot-mag-motown-day-roma-monk-club--berry-gordy-alberto-castelli-ukE quando i “fantastici quattro” [i Beatles, non quelli della Marvel] arrivarono oltreoceano per la prima volta, nel corso della prima conferenza stampa, piuttosto affollata, hanno raccontato che Paul McCartney, con la consueta classe, semplicità e innocenza, dichiarò: “Abbiamo sempre amato il suono della Motown: canzoni e artisti fantastici”. Questa, in quei tempi in America, era un’affermazione pericolosa, roba che quelli dell’FBI e della CIA cominciavano a innervosirsi.

Nell’ultima settimana del 1965, le prime cinque posizioni della classifica pop statunitense erano saldamente occupate da altrettanti 45 giri della Motown. Berry Gordy poteva ritenersi ampiamente soddisfatto. Ovviamente, in questa corsa irripetibile e sensazionale, c’era il classico lato oscuro: contratti capestro per gli artisti, amicizie pericolose con malavitosi e mafiosi, ingenti quantitativi di cocaina consumati dal capo e dai suoi collaboratori più autorevoli, storie di corruzioni di DJ radiofonici e somme notevoli che Gordy era capace di perdere quotidianamente al gioco e alle scommesse clandestine. Tutte cose, queste, che fanno sembrare Richie Finestra, il discografico protagonista della serie Vinyl, un bambino d’oratorio, di quelli timidi, introversi e tanto sensibili.

Gordy, comunque era anche quello che aprì la Black Forum, una sotto-etichetta del suo impero, che pubblicò una serie di dischi con i discorsi dei grandi leader della comunità black. Quando si accorse che le vendite non erano quelle sperate, probabilmente guardò ancora una volta quella foto con Billie Holiday, sorrise e chiuse la Black Forum.

Alla fine degli anni Sessanta, Gordy firmò controvoglia un nuovo contratto con Stevie Wonder [diventato nel frattempo maggiorenne] che garantiva all’artista la totale libertà creativa. Perse [per nostra fortuna] una battaglia epocale con Marvin Gaye, che nonostante e contro Gordy, pubblicò il suo primo capolavoro, What’s Going On.

Un’epoca, un mondo erano arrivati al tramonto. Gordy e la Motown si trasferirono a Los Angeles [cosa che non gli perdoneremo mai] per entrare nel cuore dello showbusiness: Hollywood. In quel periodo lanciò anche l’ultima grande band della Motown, quella composta dai cinque fratellini Jackson, per i quali formò un team di autori – The Corporation – con la supervisione artistica [si fa per dire] di Diana Ross.

Hollywood sarà tutta un’altra storia: a volte Gordy vinse a mani basse al botteghino, come con il film dedicato a Billie Holiday, interpretata proprio dalla Ross [ciò che si definisce un ossimoro], altre volte prese legnate sonore, di quelle che fanno tanto male. Forse, qualcuno in quel periodo gli ricordò che per essere un nero gli era andata fin troppo bene.

Ovviamente, altri protagonisti, altri stili e altre etichette prenderanno il posto di “Napoleone” [così lo chiamava Marvin Gaye], della Motown e del suono della giovane America. Però, quel catalogo e tutti quei master erano, sono e saranno sempre oro.

Il 29 giugno del 1988, era un martedì, per la cronaca, anzi la fredda cronaca, Barry Gordy annunciò ufficialmente di aver venduto la Motown alla MCA [poi acquisita dalla Universal] per 61 milioni di dollari. Tutto era cominciato con 800 dollari, tutto finì con 61 milioni di dollari. Berry Gordy aveva vinto la sua scommessa.

* Info evento *

Domenica 24 aprile, dalle ore 16 fino a notte fonda, negli spazi e nel giardino del Monk [è un circolo ARCI quindi se non avete la tessera, fatela qui online] verrà celebrato il 56° compleanno della storica etichetta di Detroit, con musica e dj set, ma ci saranno anche momenti di lettura e di cinema, con la proiezione del documentario “Standing in the Shadows of Motown”, e del film “Dreamgirls”, ispirato alla carriera delle Supremes.

Motown Day nasce da un format di U-FM Radio che per l’occasione ha coinvolto le principali crew e i dj ispirati al suono funk soul della Motown: Sweat Drops, Go Bang, Soulkitchen.

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