Malick Sidibé | Addio Al Fotografo Della Rinascita Africana

Malick Sidibé è morto ieri [14 aprile] all’età di 80 anni. Era malato di cancro. L’ho conosciuto e mi sono innamorata di lui sei anni fa, quando per caso scovai alcune sue foto che ancora oggi mi regalano quel senso di autonomia, spensieratezza e felicità che contraddistinguono i suoi soggetti in bianco e nero. Ma anche tanta nostalgia.
Che siano foto di gruppo o ritratti di famiglia. Giovani coppie che ballano a piedi nudi con indosso i migliori abiti da festa o ragazzi che imparano ad aggiustare una moto. Tutte immagini che documentano la rinascita sociale e culturale della società maliana, immortalata nella sua più piena fierezza ed esuberanza dall’”occhio di Bamako.”


“Volevo essere il fotografo della felicità”, disse una volta. E ci è riuscito. È riuscito a catturare la speranza, la voglia di vivere il momento [e di ballare] che accomuna le persone di tutto il mondo. Una voglia di uscire da quella gabbia psicologica e fisica, la colonizzazione, che fino ad allora aveva chiuso e oppresso le menti e i corpi del popolo.
È il 1960 e il Mali ha da poco ottenuto l’indipendenza dalla Francia. Pochi anni prima, alla fine dei ’50, rock’n’roll, twist e cha cha cha entrano in maniera dirompente nelle vite delle masse, che li accolgono con la stessa spontaneità con cui una madre prende in braccio il proprio figlio appena nato. A Bamako come a Roma e Milano. A Londra come a New York.
Le notti di Bamako si infuocano. I ragazzi aprono club notturni per far colpo sulle ragazze: lo Sputniks, il Wild Cats e il Black Socks. “Eravamo appena entrati in una nuova fase delle nostre vite e le persone volevano ballare” racconta Sydibé in un’intervista. “La musica ci aveva resi liberi. Improvvisamente i ragazzi potevano avvicinarsi alle ragazze e tenerle per mano. Prima non era permesso. Era un taboo. E tutti volevano essere fotografati ballare insieme e vicini. Anche se non erano le loro fidanzate, erano contenti di vedersi raffigurati mentre ballavano con una ragazza. È stato un momento molto potente per la gioventù maschile!”
Divenne popolare e iniziarono a chiedere di lui e se facesse anche ritratti, così nel 1962 Sidibé aprì il suo studio personale, dopo aver lavorato alcuni anni come assistente del più importante fotografo della mondanità di Bamako, Gérard Guillat, conosciuto come Gégé la pellicule. “Non mi insegnò come scattare foto. Lo osservavo. Così ho imparato. Poi ha cominciato ad essere chiamato per documentare i grandi eventi coloniali, le cene ufficiali. Io invece immortalavo gli Africani. I loro matrimoni, battesimi. Le loro feste.”
Durante i weekend, in sella alla sua bici, si girava fino a quattro party a sera. “Se venivo invitato a due feste per me era come riposarsi”. Tornava poi al suo studio per sviluppare una cosa come 400 foto che entro il martedì dovevano essere pronte per essere esposte: “Attaccavo i negativi fuori lo studio e molte persone venivano, guardavano e indicando dicevano “sono io quello/a. Ho ballato con quel tizio. Mi vedi?”
Successivamente iniziò a fare ritratti. Ritratti di famiglia o di persone posizionate davanti a uno sfondo. Tanto immobili quanto reali. Pieni di vita e movimento. Di regalità ed eleganza. Processi scanditi da una sorta di rituale che ricordo come fosse ieri, nella Port-au-Prince di fine anni ‘80, quando in estate andavo con gli zii, i cugini e fratelli a fare le foto di famiglia negli studio. Mamma che ti mette il vestito rosso e ti cotona per bene i capelli perchè “dobbiamo andare a farci le foto belle.”
Nato nel 1935/1936 nell’allora Sudan francese, oggi il Mali, fino all’età di 8-9 anni Sidibé aiutò la famiglia a pascolare le greggi e lavorare la terra. “Un giorno ti manderò alla scuola dei ‘bianchi’”, gli disse suo padre. Era il 1944 e poco tempo dopo Sidibé sarebbe diventato, a sua insaputa, uno dei più grandi testimoni della cultura popolare africana, l’artigiano dell’immagine in grado di umanizzare la normale quotidianità di una società nel pieno della sua libertà.
Alla galleria Jack Shainman di New York fino al 23 aprile è possibile visitare una mostra che celebra il lavoro di questo immenso fotografo. Un lavoro che visualizza la trasformazione del suo Mali dagli anni ’50 ad oggi.
Tutte le immagini | © Malick Sidibé
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.