Mahmood | Quando La Vittoria A Sanremo Diventa Pretesto Per Politicizzare Il Talento

Tu dimmi se / Volevi solo soldi soldi / Come se avessi avuto soldi / Lasci la città ma nessuno lo sa / Ieri eri qua ora dove sei papà/ Mi chiedi come va come va come va / Sai già come va come va come va.
In molti si ricorderanno dell’oro italiano ai Giochi del Mediterraneo di Terragona 2018 delle giovani atlete passate alla storia come le “all black”, e del conseguente accanimento social – mediatico e politico. Improvvisamente un vanto sportivo nazionale era diventato bersaglio delle varie parti politiche per strumentalizzare la propria visione del mondo e la propria battaglia attraverso slogan come “aprite i porti”, senza quasi considerare le ragazze come individui separati e protagoniste di una storia, la loro, priva di un immediato accostamento all’attuale crisi migratoria mondiale. Ne era comunque emersa una questione razziale, rendendo manifesta la confusione identitaria italiana, ma soprattutto la minaccia etnica percepita dagli italiani “bianchi”.
Una simile reazione mediatica sta investendo il giovane cantante Mahmood (pseudonimo di Alessandro Mahmoud), nato a Milano nel 1992 da padre egiziano e madre sarda, in seguito alla vittoria del Festival della canzone italiana Sanremo 2019. Risulta significativo sottolineare sia la reazione degli italiani afrodiscendenti, sia quella degli italiani “bianchi”: infatti i primi lo individuano come un simbolo di riscatto, suggerendo un’oppressione sofferta, la gran parte dei secondi invece, nuovamente, si domanda per quale motivo un ragazzo con un padre africano debba meritare di vincere la kermesse musicale italiana. Altri ancora, addirittura, si spingono ad indicare il complotto della giuria d’onore e dei giornalisti contro un governo che si mostra repressivo nei confronti dell’accoglienza e dell’integrazione degli stranieri. Ripongo la mia fiducia nel pensare che chi si avventura ad avanzare affrettate opinioni sia stato distratto dall’orecchiabile ritornello di Soldi, senza analizzarne il testo in tutte le sue parti, poiché è la stessa canzone, autobiografica, a smentire un’effettiva appartenenza del cantante alla cultura egiziana: il padre infatti se n’è andato e il ragazzo è cresciuto con la madre, la stessa che ringrazia commosso durante la consegna del premio, visibilmente inaspettato.

È curioso come nel nostro Paese si stia riscontrando una certa difficoltà negli italiani “di seconda generazione” o dei naturalizzati italiani di immettersi in contesti professionali ipoteticamente meritocratici senza prima doversi scontrare contro un muro di pregiudizi. In un clima di questo tipo diventa quasi necessario sottolineare la propria appartenenza identitaria o addirittura giustificarla, per vissuti personali sfortunati.
La domanda è: un figlio escluso dalle sue naturali origini, privato di quella trasmissione culturale altra, non-integrato nella sua doppia appartenenza (Mahmood non parla arabo), posto davanti ad una grande assenza, quella paterna, ma apparentemente “diverso”, è meno italiano di un italiano caucasico?
La diffusa e pericolosa usanza di politicizzare qualsiasi fatto pubblico, in questo caso un successo artistico, sembra di fatto appiattire e svuotare il merito conquistato, frutto dell’impegno e dell’investimento del cantautore milanese. Il brano Soldi risultava essere uno dei più appetibili tra quelli in concorso, moderno ed attuale: un sound nuovo non solo per la ricerca strumentale ibridata, classica e berbera, ma soprattutto per l’argomento trattato, l’abbandono di un padre, in una società in cui le figure di riferimento sembrano sempre più assenti. Ottimo anche al coinvolgente clap clap del ritornello, sulla scia della coreografia della Scimmia di Gabbani del Sanremo 2017. Il brano, nel suo significato più profondo, sembra essere molto popolare già all’estero, come dimostrano i commenti su Youtube al suo video ufficiale e, conferma di poche ore fa, lo si attende ora all’Eurovision 2019.
Sulla polemica avanzata da Ultimo sul suo secondo posto, citando l’intervista di Radio Capital a Mauro Pagani, ex polistrumentista della PFM e presidente della giuria del Festival: nella vita bisogna imparare anche a perdere. Peccato per l’eclettico e ribelle Achille Lauro che, alle prese con la sperimentazione musicale, in Rolls Royce ha sorpreso i più con una ventata di beffardo rock’n’roll degno di questo nome. Anche il cantautore e polistrumentista Motta, Dov’è l’Italia, che ha portato a casa il miglior duetto con la madrina Nada, avrebbe potuto aspirare a qualcosa in più della quattordicesima posizione, ma gli si vuole lo stesso bene, sempre.
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Immagine di copertina | Foto via facebook/Mahmood
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Romana, italo-nigeriana, laureanda in Studi culturali Italiani, scrivo da sempre e ho molti amori tra cui la letteratura, la musica, le arti, la natura e la cucina creativa. Mossa da un profondo interesse per le questioni identitarie, da anni mi muovo nella promozione culturale e nella difesa delle cose umane. Colleziono cartoline.