LNDFK | Del Sahara, Di Rothko E Del Nuovo Future Soul Italiano

Nel sound la musica black, nel sangue il deserto del Sahara e il mediterraneo: LNDFK, il nuovo astro nascente del Future Soul italiano. Il suo EP di debutto Lust Blue, uscito su Feelin’ Music a novembre 2016, è solo la punta di un iceberg ancora tutto da scoprire, plasmato a suon di jazz, black music, trip-hop, street culture e arte contemporanea.
Quello di Linda Feki è un percorso artistico che nasce nel deserto e si evolve nelle metropoli occidentali, unendo tradizione e modernità.
LDNFK sarà la protagonista del prossimo appuntamento di Rooty e per l’occasione abbiamo fatto due chiacchiere con lei.
GRIOT: La prima volta che ti ho sentito ho pensato che tu fossi straniera ed è una cosa particolare perché è difficile sentire musica fatta da italiani che suona così internazionale. Che ci dici del tuo background? E chi era Linda Feki prima del debut EP Lust Blue?
LNDFK: Io sono nata in Tunisia, a Sousse. Mio padre è arabo e mia mamma napoletana. La mia passione inizialmente è nata dal jazz, ma adoravo la black music con radici jazz e contaminazioni hip-hop. Così ho iniziato a suonare in giro con vari gruppetti, come fanno tutti.
Qualche anno fa mi sono appassionata al Bristol sound – mi piace moltissimo il trip hop – e poi alla musica brasiliana, in particolare al jazz. È così che ho iniziato la scuola dove ho conosciuto Daryobass , il producer con cui collaboro.
A quei tempi stavo imparando a suonare il piano e lui già produceva, mi piacevano molto James Blake e SBTRKT, un suono un po’ diverso rispetto al sound con cui poi sono uscita. Però lui cercava una cantante, io cercavo un producer e alla fine abbiamo iniziato a lavorare insieme.

Collabori solo con Dario?
Io sono il volto del progetto ma abbiamo due format per gli show, suoniamo in duo o in trio a seconda del contesto. Noi di base siamo dei jazzisti, quindi non ci piace suonare con le basi, anche se molti lo fanno e in certi casi funziona per il nostro tipo di musica. È comunque bello cogliere l’energia del live, delle persone, il momento, però ci annoia molto l’idea di fare una cosa e farla uguale a ogni show. Quindi anche se abbiamo delle sequenze programmate, io suono il synth, il basso, canto. Invece quando suoniamo in trio cerchiamo di creare un’atmosfera ancora più live, con vari suoni, batteria acustica mista a batterie elettroniche, synth eccetera.
Nella tua biografia su Bandcamp dici che il distacco dalla tua terra natale ha contribuito ad alimentare il desiderio di ricollegarti alle tue origini attraverso la musica. In che senso?
Ho vissuto in Tunisia fino a un anno e mezzo e sono ritornata solo una volta nel deserto, quando avevo 8-9 anni. È stata un’emozione incredibile… Ricordo la sensazione delle mani nella sabbia… è un viaggio che devo assolutamente rifare perché sento una forte appartenenza all’Africa e al suo aspetto ritmico e poi perché da parte di mio padre ho delle origini berbere.
Da bambina ho visto una foto della mia bisnonna in cui ha delle treccine e un tatuaggio in faccia. Questa cosa mi ha affascinato moltissimo, perciò il look che ho scelto è proprio per portarmi dietro questo orgoglio che ho inciso anche sulla cover di Lust Blue in cui c’è anche un richiamo a Rothko e all’espressionismo – perché devi sapere che adoro Rothko.
Che immagino sia anche il concept del fantastico promo video dell’EP. È veramente bello. Come lo hai realizzato e cosa volevi comunicare con questo teaser?
L’idea era proprio quella di riuscire a sintetizzare l’unione fra tradizione e modernità. La lisca che si muove nel deserto, un’immagine tradizionale che però si muove a scatti seguendo il ritmo di Catch your Breath, e il quadrato, che è il simbolo dell’EP e mi copre gli occhi, l’unica parte visibile del corpo. Volevo che ci fosse una coerenza tra il mio sound e come immagino le cose, infatti a breve uscirà anche un altro video che ho realizzato per il brano Souleyes. Questo video, che non ho girato ma ho post-prodotto, viaggia proprio sulla stessa onda della musica e sarà un omaggio a Richard Kern incentrato sulla figura della donna.
Il mio obiettivo finale non è solo quello di realizzare dei brani, ma raccontare degli odori, delle sensazioni perché non sempre ho una storia precisa. Ad esempio Catch your Breath non ha un testo, però voglio trasmettere la sensazione dell’essere senza fiato, creando una comunicazione a 360°.
Trovo molto divertente il fatto che sei italiana, mezza tunisina, hai vissuto in Francia e a New York, canti in inglese e esci su Feelin’ Music, un’etichetta svizzera!
Sì, assurdo vero? La verità è che io adoro scrivere in italiano, scrivo anche molto meglio che in Inglese. Però tendo a scrivere per altri in italiano, perché io non lo so cantare. Purtroppo non si presta dal punto ritmico e fonetico alla musica black anche se qualcuno ci riesce – Ainè ad esempio, che ha un progetto neo soul più acustico.
Mischiare l’italiano con l’elettronica è un po’ più arduo e secondo me è difficile fare questo tipo di musica e non sembrare Giorgia o Laura Pausini. Il napoletano è molto più musicale! Mi sta un po’ stretto questo fatto di non poter cantare nella mia lingua, ma tu conosci qualcuno che fa questa roba in italiano?
No.
Ecco, vedi.
Hai vissuto a New York, Parigi, poi sei tornata a Napoli… Quale sarà il prossimo step?
L’idea era di trasferirci a Roma perché stavamo cercando un posto in Italia in cui stare bene e produrre il disco tranquilli, ma avere anche la possibilità di andare a serate jazz, per continuare ad avere degli stimoli, anche se non lo suoniamo più. Penso sia fondamentale per un musicista viaggiare ed entrare a contatto con diverse realtà musicali.
A New York mangiavo pane e jazz, è davvero la Gardaland della musica, quando passeggi per le strade di Brooklyn capisci veramente perché la musica lì è così. Oppure vai a Central Park e capisci Coltrane. Bellissimo.
Anche Parigi è meravigliosa. Inizialmente ero andata lì in cerca di un master, però non ho trovato quello che cercavo perché le scuole erano principalmente conservatori di jazz e non volevo tornare a fare arrangiamenti per fiati tutto il giorno. Poi sono iniziati i booking e le serate e quindi siamo tornati in Italia, ma vorrei tanto ritornarci perché è un sogno.
E questo nuovo album ha già un concept?
Ho diverse cose in mente ma non posso rivelare niente, però l’idea è quella di fare molte collaborazioni. Il sound sarà simile ma più maturo, perché alla fine l’EP è uscito l’anno scorso ma ci stavamo lavorando da un po’. Poi abbiamo scoperto nuove influenze…
A proposito di influenze, ho letto che vorresti essere come Nai Palm e Hiatus Kaiyote. Domanda assurda ma te la faccio lo stesso. Perché? E a quali altri gruppi ti ispiri?
Lei è assurda. La cosa che mi piace è che sento un sacco di cose nel suo suono, Lauryn Hill e tanta altra roba. Lei è un alieno e la cosa che ammiro di più è la sua libertà.
Poi Taylor MC Ferrin, Mind Design, Rahel – che è una cantante che ha collaborato con Eric Lau, Yussef Kaamal, tutta la scena di Thundercat e poi la new entry – che da quando è uscito ascolto tutti i giorni – Telephone di No Name.
E in Italia?
Vedi il mio dubbio inizialmente era proprio come avrebbe reagito l’Italia al mio sound, perché il problema è che non c’è una vera scena future soul italiana. C’è una vastissima gamma di beatmaker, come c’è tanta gente che fa roba elettronica o jazz, ma ce ne conosco pochissimi che fanno quello che faccio io. Devo dire che sono rimasta positivamente sorpresa perché non mi aspettavo di trovare tanto entusiasmo e accoglienza.
La cosa che noto è che in Italia tutte le varie scene che ci sono non comunicano tra loro rispetto ad altre parti del mondo, c’è un fare abbastanza snob. Perché invece non si fondono queste realtà? Io sono di Napoli centro, mentre Dario è della provincia di Napoli nord, dove c’è una cultura street fortissima, che è una realtà con la quale io mi ero poco interfacciata crescendo. Adesso mi sono rendo conto di quanto il mio sound sia stato contaminato da queste influenze perché magari andavo da Dario per studiare e poi arrivava qualcuno con MPC, o questo, o quello. È una scena davvero bella e interessante.
Se volete sentire LNDFK live potete farlo venerdì 31 Marzo al circolo culturale urbano BUH di Firenze in occasione del terzo appuntamento di Rooty, la rassegna curata da Andrea Mi che indaga il rapporto tra musica elettronica e il recupero del suono delle radici. Prima del concerto non perdetevi la talk sugli artisti 2G in Italia con LNDFK, Marcello Farno (Bizarre Love Triangles) e Andrea Mi. Info evento qui.
Prossimi appuntamenti
Venerdì 28 aprile per il talk “JapanAfrica” Andrea Mi sarà in conversazione con Masaaki Yoshida e Maurizio Busia sulla rilettura delle tradizioni africane nella scena elettronica giapponese.
Immagini | Tutte le immagini (c) Milo Alterio
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Sono una persona molto eclettica con un’ossessione per la musica e la sociologia. Nata e cresciuta in Italia, Londra è diventata la mia casa. Qui creo beat, ballo, canto, suono, scrivo, cucino e insegno in una scuola internazionale.