Linecheck Report | Conferme, Consacrazioni E Ottimi Debutti Da Linecheck Festival

Dal 21 al 26 novembre a Milano si è svolto Linecheck, con una vasta offerta di concerti live e meeting per professionisti e appassionati del settore musicale. Fulcro degli incontri delle esibizioni è BASE, sempre più istituzione per il fermento artistico milanese, con proposte dal rapporto fra industria discografica e algoritmi sino al ritorno del vinile, seguite da performance di nuove leve e grandi artisti internazionali nel panorama elettronico, contaminato: musica emozionante, stimolante e danzereccia insieme.
MOSES SUMNEY, Un grande inizio
L’artista losangelino è giovane, ha esordito quest’anno su LP con Aromanticism, e nonostante sia già un nome caldo, la naturalezza della sua presenza scenica stupisce e cattura il pubblico come ci si aspetterebbe da musicisti molto più navigati. Sumney ha portato i suoi brani più recenti, oltre ad una cover di Björk (Come to me) e una canzone precedente all’album (Worth it, con l’autotune a ricordar più Imogen Heap, che Kanye West,) accompagnato da chitarrista e bassista-sassofonista.
Il trio ha aperto le danze con stratificazioni di arpeggi dai richiami colti e minimalisti, da cui è emersa Don’t Bother Calling, e il concerto è proseguito con la costruzione delle canzoni nota per nota, voce a voce, con l’uso di loop station a catturare l’eco di Sumney, capace quasi di duettare con se stesso, fra un falsetto e un sussurro, coinvolgendo addirittura il pubblico nell’esecuzione dei cori o dei rumori.
Ancora una volta colpisce la simpatia del giovane performer rapportata ai pezzi spesso malinconici o agrodolci che scrive, spesso accostati al “blues” di Nina Simone e al nuovo soul elettronico di James Blake. Per fortuna dopo un episodio sulla lotta in amore come Quarrel, c’è spazio per un momento più ammiccante come ‘Make Out In The Car’ (“I heard Italians love kissing”, dice Moses,) con canto virtuoso e sassofono a intrecciarsi. Il concerto si chiude con Plastic, solo la chitarra ad accompagnare questo saluto al pubblico, fra cui molti forse hanno scoperto un nuovo “cantante de cuore”.
IOSONOUNCANE + Paolo Angeli, Linea Sarda
Jacopo Incani, alias Iosonouncane, già finalista per il Premio Tenco con La Macarena su Roma del 2010, ha conquistato un consenso critico quasi unanime con l’album DIE, passando dal cantautorato di commento sociale e politico su basi elettroniche dell’esordio, ad una fusione sapiente di queste basi con il folklore sardo, il jazz, il rock, con testi che mettono da parte l’attualità a favore di una poetica del paesaggio e dell’esperienza sensoriale.
È proprio lavorando a BUIO, traccia del secondo disco, che collabora con Paolo Angeli, chitarrista meno noto ma assai stimato, massimo esperto della “chitarra sarda preparata”, una sua reinvenzione dello strumento tradizionale che suona con mani, archetto, piedi(!), trasformandosi in una piccola orchestra etno-folk.
Insieme sul palcoscenico di BASE, il duo ha improvvisato su temi ricorrenti e canzoni del repertorio di ciascuno, creando un complesso dei sogni freudiani (Giugno) e della visioni marittime (Summer On A Spiaggia Affollata, ‘TANCA’) di Incani con gli assoli fusion, il tapping e i bordoni mediterranei di Angeli, con tanto di canto a tenore. Una lezione sulle possibilità aperte dall’approccio moderno alle proprie radici.
THUNDERCAT, da nerd a cool in un giro di basso (anteprima Jazz:Re:Found)

“Do you like videogames? ‘Cause I like ‘em a lot”, dice Stephen Bruner prima di eseguire Friendzone, penultimo brano del suo set, estratto dal suo ultimo album, Drunk. In effetti non c’è dubbio che il ragazzone, spesso vestito come un personaggio (o tutti insieme) di Mortal Kombat, adori i videogiochi e sia più un generale un nerd; dopotutto se è diventato un musicista virtuoso è anche grazie allo studio matto per stare al passo della sua famiglia, molto musicale, e in particolare del fratello batterista, un talento enorme. Proprio coltivando le sue passioni a livello maniacale, e raccogliendo esperienze (dal punk-metal dei Suicidal Tendencies alle collaborazioni con Erykah Badu, Flying Lotus e Kendrick Lamar,) Thundercat può ora muoversi in un universo musicale personalissimo, padrone dei propri mezzi.
Lo stage per lui è pienissimo e caldissimo, dopo essere stato a Milano aprendo a FlyLo, si presenta ormai da headliner, con la sua miscela di jazz-fusion, hip hop e funk futuristico.
Ad accompagnarlo fra brani brevi e mistici (Lava Lamp) jam dalle sfumature hard rock, e classici dal tiro impeccabile (‘Them Changes, Heartbreaks + Setbacks) ci sono il grande batterista Justin Brown, il tastierista Dennis Hamm e il violinista Miguel Atwood-Ferguson. Il quartetto riesce a rendere i momenti più tecnici degni della Mahavishnu Orchestra, ma ballando e divertendosi come fosse sempre un videogioco, in cui le cassette della Motown e dei Doobie Brothers che ascoltavano i vostri genitori sono remixate secondo le regole del basso a 6 corde di Thundercat, il joystick con cui è ormai imbattibile.
Immagine di copertina | Sevdalizia live a Linecheck – via facebook/Linecheck
Vuoi segnalare un tuo progetto o news che vorresti leggere su GRIOT? Scrivi a info@griotmag.com
Nato a Roma, e dopo varie tappe arrivato a Milano, da sempre interessato sia di scienze sia di arti. Di fatto una persona molto distratta.