Lina Simons Torna Con ‘In The Block’ | “Adesso So Quello Che Voglio”
La rapper e cantante Lina Simons ci racconta com'è cambiata la sua vita, ci parla del suo nuovo singolo e della sua nuova avventura discografica all'insegna della scoperta del dialetto napoletano e delle sua identità.

Crescita, stallo, passi indietro, cambi di direzione: passaggi fondamentali che segnano il percorso e la vita di ogni artista. E se è vero—come insegna Matisse—che la creatività richiede molto coraggio, Pasqualina De Simone, in arte Lina Simons, ne ha da vendere.
Rapper e cantante, Lina Simons è ed è sempre stata una forza della natura. Quando l’abbiamo conosciuta si era appena trasferita a Londra lasciando alle sue spalle Cerreto Sannita, il paesino che l’ha cresciuta, e con esso l’Italia, e tutti i dispiaceri e le frustrazioni che ancora segnano la vita di coloro che rappresentano, incarnano la diversità italiana.
Oggi, quasi alla fine dei studi universitari in Music Business & Entrepreneurship, e dopo anni vissuti in una delle metropoli più influenti del mondo, Lina è una donna e una persona diversa, in controllo di sé e delle sue scelte personali e artistiche, ma soprattutto è un’artista che ha maturato una nuova prospettiva ed è pronta ad abbracciare a pieno la sua italianità, ed a riappropriarsi della sua lingua e—quindi—della sua identità con una serie di nuovi singoli in dialetto napoletano.
Il primo, si chiama In The Block e ci da un assaggio di quello è il nuovo sound di Lina Simons, mostrandoci l’artista nel suo quartiere (il suo block) con i suoi amici, la sua famiglia scelta, in luoghi che per lei rappresentano la sua nuova dimensione di vita.
A quasi quattro anni di distanza, abbiamo incontrato Lina per farci raccontare tutto della sua evoluzione artistica e della sua nuova avventura musicale. Se le premesse c’erano qualche anno fa, ora sono più forti che mai e con la carica di energia e talento che Lina riesce a portare in ogni progetto, c’è solo da sedersi, allacciare le cinture e godersi lo spettacolo.

GRIOT: Quando ci siamo incontrate per la prima volta nel 2017, ti eri trasferita a Londra da qualche mese. Chi era Pasqualina quando sei arrivata? Chi è Pasqualina oggi?
Lina Simons: Pasqualina quando è arrivata qua era una ragazza che non sapeva, era molto più naive. Non sapevo tantissime cose perché venivo da un paesino, non ero abituata alla città, ero abituata ad essere coccolata perché appena uscita di casa con i genitori che mi davano tutto il necessario. Londra mi ha cambiato da tantissimi punti di vista, positivi e anche negativi. Mi ha fatto scoprire che cos’è l’indipendenza: ora qualsiasi cosa voglio, so come andare a prendermela da sola.
Ma adesso Pasqualina ha leggermente più ansia, letteralmente in tutti i sensi, perché comunque questa città mi ha scalfita anche da quel punto di vista: è una città molto imprevedibile, veloce, non sai mai cosa accade, di conseguenza sto sempre in “fly and flight” mode. Adesso, so quello che voglio, sono cresciuta molto da questo punto di vita, so dove voglio arrivare nella vita e pian piano vediamo di arrivarci. È un continuo scoprirsi ogni volta, dopo tre anni ancora mi sto scoprendo. So cosa è cambiato e da quando, però quello che sono adesso potrebbe cambiare in un futuro, quindi non lo so.
In senso pratico, come ti ha cambiato questa città?
Il mio stile di vita è cambiato tantissimo. In questa città ho iniziato a capire quanto fosse importante prendermi più cura del mio corpo e della mia salute mentale, cose che sono veramente legate tra loro. Ad esempio, ho smesso di fumare perché ho capito quanto fosse legato all’ansia e al mio stato mentale abbastanza sottotono, certe volte. Io sono molto esuberante, però piano piano ho notato che questa esuberanza se ne stava andando, e non mi piaceva. Ho iniziato a capire che era collegato al fumo, a ciò che mangiavo e cose del genere.
Londra mi ha aiutato a capire i miei problemi alimentari, binge eating disorder, ma non solo, anche come mi vedo io. Insomma, mi ha fatto capire tante cose che già c’erano. Stando più da sola e avendo più tempo con me stessa, ho detto: “Ok, questa è una cosa che si deve risolvere”. Non so se ha senso tutto ciò, ma mi sto scoprendo di più e sto imparando a risolvere questi problemi che sono presenti.
In the Block e’ il tuo primo pezzo in dialetto, e anche in Italiano direi. Come hai maturato la decisione di provare a fare rap e cantare in Italiano?
In realtà a questa maturazione mi ci hanno portata. Io sono sempre stata molto fissata sull’inglese perché ho sempre desiderato una carriera a livello internazionale e per lasciarmi proprio l’Italia alle spalle. Però, quello che oggi è un mio carissimo amico che si chiama Khaled (CEO di Real Talk), ha ascoltato delle mie canzoni e mi contattata su Instagram dicendomi: ‘senti ma perché non provi a fare qualcosa in italiano?’ Io all’inizio ho detto no, ma piano piano ci siamo incontrati, abbiamo parlato, lui per un periodo mi ha seguita e alla fine vedendo e facendo, ho detto: ‘Ma quindi non fa tanto schifo!’ Poi alla fine sono un’artista, quindi si poteva fare. E così è accaduto, credo proprio sia stato un segno perché il mio attuale manager e amico Marco Villa, aka Gransta MSV, mi ha contattata dicendo che stava aprendo una casa discografica e compagnia management, che aveva sentito la mia musica e che credeva ci fosse del potenziale per fare cose in italiano ma non solo, volevano che mi scoprissi come artista e quindi mi hanno lasciato la mia libertà. Quando è arrivata questa opportunità, non volendo precludermi niente, mi è iniziata a piacere l’idea, soprattutto di usare il napoletano perché è veramente una lingua molto musicale, anzi mi esce molto più facile dell’italiano. Ho scoperto la bellezza di questo dialetto e ho detto ‘Perché no!?’
Il fenomeno Liberato penso abbia ampiamente dimostrato quanto ci sia bisogno di questo tipo di sound e rappresentazione, in particolare di rappresentare la nostra diaspora e quanta Italia ci portiamo dentro. Il bisogno è grande e gran parte d’Italia è pronta ad aprirsi a questa Italia nuova.
Certo, si è voluta nascondere questa parte di Italia, non so sinceramente per quale motivo, perché noi portiamo veramente una grandissima ricchezza, dimostra le varie sfaccettature di una cultura che è molteplice allo stesso tempo. Mi piace il fatto che ultimamente tutti abbiano iniziato ad avere più coraggio di esprimersi in determinate maniere, sarà che in passato non accadeva per paura, per paura del rigetto, oggi c’è più menefreghismo indubbiamente e anche più voglia di voler farsi sentire. E sinceramente per me è una figata, perché mi sento più tranquilla adesso, meno giudicata nel dover fare una cosa del genere. Se lo avessi fatto anni fa—non te lo nego—forse avrei detto: ‘Pasquali’… magari no, perché così e cosà…’ Con le mie insicurezza, sai… Ma adesso credo di averle superate e l’ho voluto fare perché fa parte della mia cultura, io sono cresciuta in parte anche a Napoli, ero lì dalla mattina alla sera, quindi mi sono sentita di volerlo fare.
Parlami del processo creativo: la produzione, il testo. Come nasce In the Block?
In The Block è stato uno dei primi pezzi che ho scritto in dialetto. Mi sono messa nella mia stanza con un beat di un produttore pugliese che si chiama Strange Beats e di Gransta MSV, e le parole sono uscite in modo naturale. È stato strano anche per me perché ho scritto questo pezzo, il mio manager ci ha dato solo qualche ritocco e così è nato In The Block, io nella mia stanza. Poi abbiamo deciso che sarebbe stato il primo pezzo da rilasciare perché è una sorta di biglietto da visita: faccio capire chi sono, quali sono le mie tematiche, a cosa tengo, cosa ho passato, è proprio come un piccolo riassunto. Ci saranno anche altri pezzi in cui si amplierà il tutto per poter fare un quadro più completo di chi sono io a livello artistico, però sì, questo è stato il processo creativo.
Quindi In The Block è parte di un progetto più grande?
Sì, un progetto più grande c’è sempre, ogni cosa piccola parte sempre per diventare qualcosa di più grande, adesso non so se sarà un EP o un album, potrebbe essere anche un mixtape, perché stiamo parlando anche di quello. Ancora non lo so, però sì, sicuramente qualcosa di più grande, vediamo in cosa si trasforma.
Il tuo “block” era Cerreto Sannita, adesso e’ Kilburn. Differenze, somiglianze, paradossi? Come vivi la comunità locale londinese?
Sì, North West gang! Londra è riservata ma allo stesso tempo, ti aiuta quando hai bisogno. Le differenze sono che non è come nel paesino dove tutti fanno inciuci, le persone si fanno i fatti loro, però è più caotico, c’è più rumore, più casini da tutti punti di vista, invece il paesino è più tranquillo per quell’aspetto. Queste credo sono le differenze di base, poi il cibo? Il cibo Cerretese è molto meglio! Questo lo si deve dire, la cucina italiana in generale purtroppo — alzo le mani — è molto meglio rispetto a quella britannica. Ho perso non so quanti chili da quando sto qui.
Che mi dici della realizzazione del video. Chi sono le persone che ti accompagnano nel tuo block?
Gransta, il mio manager, mi ha messo in contatto con un suo ex allievo che viveva in Inghilterra, Pietro Biasia. È un video maker, director, producer e abbiamo fatto un brainstorming e avevamo visioni molto simili, ha recepito il pezzo come l’avevo recepito io. Abbiamo deciso di fare le riprese nel block di una mia amica ad Hoxton in East London, perché rappresentava proprio il tipo di block che avevo in testa e perché ho passato tantissimo tempo a casa sua, quindi era un po’ come una seconda casa. Pietro ha seguito la direzione del progetto a distanza, perché attualmente vive in Portogallo, e Armzy, un altro video maker, si è occupato delle riprese.
Chi appare con me nel video? Tutti i miei amici praticamente, c’era Aaron Anderson, che è un artista e producer; poi c’è Prince “Delaghetto” Dahany, che è un DJ; Susy Etionsa è una mia carissima amica che fa la modella; poi c’era Isatu Bangura, anche lei artista; c’è Ayomide “Mariam Sweetbar” Aloyin, lei è nel mio team proprio dal giorno numero uno, si occupa del make up, mi ha aiutato a scegliere i vestiti per tutti i video. Poi Abdi che è stato bravissimo a catturare le immagini del set.

Vedervi belle/i, fieri/e nel vostro quartiere mi ha ricordato Zero e il grande senso di orgoglio e fierezza che guardare questa serie mi ha lasciato. Per me siete tutte/i supereroine e supereroi, tutti/e. Tu l’hai vista? Se sì, che cosa ha significato per te?
Purtroppo ancora no, non l’ho guardata perché non ho avuto tempo per colpa del lavoro e quando torno a casa crollo — credo che sto pagando Netflix da tre mesi per nulla, perché l’ho abbandonato. Comunque, nonostante non l’abbia ancora guardata e quindi non possa dare una recensione completa o sincera, sono molto contenta del fatto che gli afroitaliani o afrodiscendenti — come ci si vuole chiamare o ci si sente più affini — abbiano finalmente una piattaforma del genere per esprimere la loro creatività. Netflix voglio dire, è una cosa che ti rende fiero perché non accade tutti i giorni. Se accadesse tutti i giorni non sarebbe un evento da festeggiare, però non accade, ed è quello che lo rende ancora più figo. Sono contenta di questo, finalmente.
Tornando alla musica, quali sono gli artisti and sonorità hanno accompagnato questo anno e mezzo di lockdown?
Azealia Banks, anche se è una pazza io la adoro. Non sono d’accordo con molte cose che dice e fa, ma musicalmente parlando mi fa impazzire. Liberato, me lo sono ascoltato tantissimo, poi Yank che è un rapper di Brescia, lo adoro. Poi Stoney Heart, che ho scoperto di recente ed è bravissima è metà russa, metà della Islands, metà americana ed è uno spettacolo. Questi sono quelli che mi hanno fatto più compagnia. Poi, Peace of Mind è un pezzo del mio migliore amico, Aaron Anderson, ogni volta che mi innervosisco lo ascolto e riesco a stare tranquilla. Poi Jack Arlo, Janelle Monea e tanti altri/e.
Quali difficoltà vivi o ti ti trovi a vivere come artista, donna, Black se ce ne sono? Quali vantaggi?
Ci sono tantissime difficoltà, la prima è che molte persone dell’industria, soprattutto quelli che contano, chiedono prestazioni sessuali per aiutarti con la tua carriera. È un dato di fatto, molte donne sono soggette a cose del genere perché, soprattutto nella parte dell’industria in cui mi trovo a operare, la scena hip hop, la presenza maschile è dominante ed è un dato di fatto. Ci sono veramente un paio di figure femminili che stanno emergendo, ovviamente non dico che loro abbiamo accettato di fare chissà che cosa, però a me è successo e la trovo una cosa veramente squallida. Infatti sono contenta di aver trovato un team che moralmente è integro, di avere vicino a me persone che hanno una morale integra e che sanno quanto il talento ti possa portare avanti. Perché sì, accade, ed è una cosa vera, questo è il contro, la cosa che mi disgusta di più che mi fa più schifo.
Le cose positive sono che sono donna, posso mostrare il mio lato più femminile, sexy e il mio lato più mascolino e tomboy, e nessuno mi può dire niente. Da questo punto di vista è vero, noi donne — almeno per come l’ho recepito io — se mostriamo il nostro lato più mascolino siamo leggermente meno criticate.

Come te la sei vissuta tutta la questione George Floyd e post?
Io sono stata malissimo, io sono cresciuta con la parte bianca della mia famiglia, perché sono cresciuta in Italia, mio padre era Italiano. Una delle prime cose che ho fatto è stato parlare con loro e dire: ‘visto che state avendo e avrete figli/e, per favore educateli ad avere apertura mentale da questo punto di vista e insegnate loro ad utilizzare il loro privilegio per sostenere determinate cause sociali, fate in modo che siano al corrente di queste cause sociali, perché insomma sono battaglie che non ci mettono un paio anni a svanire, ci vogliono decenni, centinaia di anni.’
Quindi a tutte le persone che mi stavano più vicine ho provato a dire questo: per favore usate i vostri privilegi per far sì che questa battaglia venga vinta. Perché sai com’è, quando qualcosa non accade a te, direttamente sulla tua pelle, non la capisci, non c’è quell’empatia, ma se io faccio parte della famiglia, allora ti devi prendere le tue responsabilità, non è che ti puoi vantare di me solamente quando ti conviene, però poi quando ci sono le cose brutte stai zitto. Io sono molto per il futuro.
Quello che dici mi fa pensare a quello che mi dicesti durante la nostra prima conversazione, riguardo al fatto che hai un rapporto di amore e odio con l’Italia. È sempre così?
Sì, l’unica cosa che ho iniziato a riscoprire è la bellezza dei dialetti e di come poterli utilizzare nella mia arte. Questa è una cosa bella perché tutto ciò che voglio comunicare lo posso dire con un determinato linguaggio e nessuno può usare più la scusa che non mi capisce: te lo dico in dialetto, te lo dico in italiano, adesso mi capisci, non hai più scuse proprio!
Il rapporto con l’Italia è sempre quello che è per il semplice motivo che sono successe così tante cose che mi hanno allontanato, però sono italiana lo riconosco, ma non so se è ancora il paese in cui vorrò crescere i miei figli in un futuro perché non so come sarà, se i miei figli dovranno andare incontro a quello che ho subito io o se sarà già un ambiente diverso, forse migliorerà con il tempo, tre anni sono pochi.
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Sono una persona molto eclettica con un’ossessione per la musica e la sociologia. Nata e cresciuta in Italia, Londra è diventata la mia casa. Qui creo beat, ballo, canto, suono, scrivo, cucino e insegno in una scuola internazionale.