L’Ancestrale È Moderno Nel Fashion Film Di Thebe Magugu Banyoloyi A Bosigo
Un racconto su un regno trascendentale, tutto al femminile, popolato da eroine complesse. Uno scontro tra bande di donne che vivono in un paesaggio bruciato dal sole, e le violente conseguenze dell'amore proibito tra due rivali.

BANYOLOYI A BOSIGO (Ultimate Midnite Angels) è il fashion film che la fotografa e artista visiva Kristin-Lee Moolman ha diretto per Alchemy, la collezione Autunno/Inverno del designer Thebe Magugu. Presentata virtualmente alla Paris Fashion Week 2021, la collezione esplora l’influenza della spiritualità indigena sul Sud Africa contemporaneo. Disegnata con l’aiuto di guaritrici tradizionali, presenta riferimenti visivi a pratiche che fondono il sacro con il secolare. La sensazione è quella di un arricchimento personale, ma anche di mistero, introspezione e ignoto: Magugu arruola la moda per costruire un ponte verso questi altri regni.
La creazione della collezione ha di fatto comportato l’effettiva evocazione di forze ancestrali, poiché Magugu ha invitato nel suo studio una guaritrice tradizionale per eseguire un rituale di divinazione. La risposta degli spiriti, fornita attraverso la disposizione degli oggetti su un tappetino, è stata fotografata, resa astratta e stampata su un indumento, in modo che si possa dire che in generale la collezione porta il timbro di una spiritualità che si adatta all’espressione sud africana di modernità, una modernità che poggia su fondamenta precoloniali.
BANYOLOYI A BOSIGO approfondisce questo tema esoterico attraverso un racconto su un regno trascendentale, tutto al femminile, popolato da eroine complesse. Segue lo scontro di alcune bande di donne che vivono in un paesaggio bruciato dal sole, e le violente conseguenze dell’amore proibito tra due rivali. C’è molto da approfondire sulle scelte estetiche, dal momento che Moolman si è ispirata a più fonti, tra le quali il filone dei Pink Film giapponesi degli anni ’70, gli Spaghetti Western e Nollywood. L’atmosfera da film di serie B è evidente nella scelta dell’ambientazione (una discarica mineraria), del montaggio, della colonna sonora, della recitazione, del ritmo narrativo e, naturalmente, nell’oggetto che centra le due comunità matriarcali che comunicano nelle lingue Setswana e Zulu.
Lo styling dei capi di Magugu, curato da Chloe Andrea, mette insieme la storia. Il taglio deciso dei capi, le mantelle e le calzature appuntite accentuano l’atteggiamento feroce delle figure principali, mentre gli orli sfrangiati di alcuni abiti, nelle scene di combattimento, enfatizzano la rapidità dei loro movimenti. Moolman ha spiegato che voleva trasmettere la sensazione febbrile che avvolge i/le guaritori/guaritrici spirituali e gli/le iniziati/iniziate quando oltrepassano la soglia della realtà fisica, e presentare le donne come personaggi tridimensionali. Magugu, che pratica la spiritualità, ha più volte sottolineato che questa esperienza cambia il modo in cui le persone si approcciano alla vita, e dovrebbe essere considerata come un elemento fondante della resilienza sud africana, soprattutto di fronte all’attuale crisi.
L’acclamato designer Thebe Magugu, basato a Johannesburg, viene descritto dai titani dell’industria come uno dei creativi che più stanno plasmando il futuro della moda. Magugu crede che il Sud Africa abbia un ruolo da svolgere in questo futuro, essendo un paese ricco di risorse inesplorate. I suoi progetti riflettono questa ricchezza, analizzando e portando in scena storie non raccontate ed esperienze personali—da quelle dei movimenti integrazionisti poco conosciuti, come Black Sash (premiato in Prosopography, Primavera/Estate 2020), ai suoi ricordi di infanzia, cresciuto nella piccola città di Kimberly (l’ispirazione dietro alla collezione Autunno/Inverno 2020 Anthro 1)—in modo da educare il pubblico sulle prospettive locali. Le sue collezioni sono accompagnate da dettagliate spiegazioni sulla ricerca svolta per la loro realizzazione e da consigli di lettura che traducono il simbolismo astratto dei disegn in riferimenti materiali di cui il pubblico può appropriarsi e riconoscere come propri. Ciò dimostra una dedizione non solo nel mostrare il DNA culturale del Sud Africa, ma a usarlo come arma di autoaffermazione collettiva.


Moolman, collaboratrice di lunga data di Magugu, è conosciuta come la rapsodista dell’Africa “indie”. Influenzata da una educazione Afrikaaner conservatrice, Moolman ritrae soggetti/soggette anti-conformiste che controbilanciano le visioni tradizionaliste del Sud Africa. I suoi lavori iconici, con figure riccamente ornate che emergono da sfondi minimalisti, catturano la struttura plurale del paese, lacerando il mantello di uniformità che spesso la silenzia. Lo stile accurato aiuta a trasmettere un messaggio di inclusività e empowerment Nero—a dispetto dell’eredità duratura dell’apartheid—che le è valso l’apprezzamento di artiste/artisti e creative/creativi di tutta l’industria.
Condividendo l’obiettivo di nobilitare la diversità ed elevare le/i protagoniste/protagonisti poco riconosciute/riconosciuti della storia sud africana, Moolman e Magugu hanno prodotto un film con un importante messaggio socio-politico. BANYOLOYI A BOSIGO è, in un certo senso, un commento sulla disuguaglianza in un mondo post-coloniale, dove le forme d’espressione locali, come la religione, continuano a essere misurate rispetto agli standard alieni della cultura europea.
Questo sguardo estraneo relega la tradizione al passato, come qualcosa di arretrato, addirittura primitivo. Ma il film mostra che la tradizione non è statica, ma una parte della modernità da cui l’Africa è stata esclusa per tanto tempo e che la moda è chiamata a produrre per alimentare il mito della novità senza fine per cui è nota. Mostra, inoltre, ciò che altre voci del nuovo movimento africano pensano: che quando superiamo il fascino del lusso e prestiamo orecchio alle storie autentiche che racconta, la moda afro-centrica è un canale di autorappresentazione e una piattaforma per immaginare la strada da percorrere verso la giustizia e l’uguaglianza.
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Sono una scrittrice/traduttrice/ricercatrice e mi occupo di sostenibilità culturale e di comunicazione digitale. Dal 2014 raccolgo e amplifico testimonianze dall’universo africano della moda, e ho pubblicato su libri, giornali e riviste d'arte. Sono stata consulente culturale per la produzione del documentario RAI African Catwalk, girato alla Sud Africa Fashion Week, 2019.