La Vita Dei Rapper Italiani Oltre Il Rap

C’è poco da fare, il rap è già da qualche anno la musica mainstream in Italia. Probabilmente per la maggior parte dei fruitori la cosa sarà ormai scontata ma per uno della old-school come me questa constatazione suscita ancora meraviglia. Mainstream…
Che poi non è tutto oro quel che luccica. Cioè, quanti dei personaggi che vediamo nei video con centinaia di migliaia di visualizzazioni poi riescono effettivamente a camparci con il rap o la musica in generale? A parte i veri grandi big, certamente abbiamo una folta schiera di artisti in ascesa che ancora si destreggiano nel limbo di una tangibile popolarità spesso non direttamente accompagnata da un ritorno economico, all’altezza delle aspettative o già del necessario per viverci.
Bene, abbiamo deciso di contattare alcuni esponenti che gravitano, chi più chi meno, in questo limbo. Artisti molto interessanti, alcuni già fortemente conosciuti ai più e altri che, fossimo in borsa, potremmo indicare con un doppio più (++) sulle loro quotazioni, cavalli da corsa da tenere ben d’occhio e scommetterci qualora si volesse fare un bel colpaccio.
GHALI

Ghali è un talento molto interessante già attivo da un bel po’, prima con i Troupe d’Elite e ora come solista. Figlio unico nato da genitori tunisini, 100% milanese, ha una carriera scolastica un poco rocambolesca.
“Per un paio di tag nel bagno fatte alle medie e perché ero un po’ vivace i prof mi hanno mandato in una scuola professionale di fancazzisti. Son stato due anni ma non è andata bene, non ero proprio stimolato e alla fine mi son spostato e poi nulla”. Conveniamo insieme che il sistema scolastico è spesso poco utile, se non a volte controproducente, per una buona crescita intellettuale.
La madre, con la quale vive attualmente, in ogni caso lo sostiene, cosa che si percepisce già nei suoi pezzi, dove è evidente l’attaccamento e il rispetto per lei.
Fortunatamente Ghali, che per inciso è il suo vero nome, ha saputo cogliere gli stimoli giusti per crescere intellettualmente proprio dal rap. Cominciando a 11 anni, per sua ammissione dopo il film 8 mile che effettivamente ha avvicinato al genere molti della nuova generazione di MC, prima nel parchetto vicino casa e poi con una crew di filippini ha sviluppato sempre più la passione per il rap.
Prime registrazioni in camera con il microfonino della webcam e Acid Pro, un piccolo ep di otto pezzi masterizzati su cd e poi in giro a regalarli nel quartiere. La dimostrazione che volere è potere. In seguito affina lo stile ascoltando Joe Cassano, Inoki e Uomini di mare, mc dove lo stile verbale e gli incastri sono alla base della loro musica, ricercatezza metrica che si sente molto nello stile di Ghali.
La sua bravura proprio nell’incastro metrico è sicuramente una bella rivalsa anche sui professori che lo liquidarono superficialmente.
Da un anno a questa parte lo fa professionalmente. Già a sedici anni, insieme a Troupe d’Elite, firmò per Tanta Roba/Sony ma per una serie di cause non ben definite l’album non è mai uscito e il gruppo si è sciolto, lasciandolo un po’ con l’amaro in bocca e l’idea che potesse essere solo una passione.
Ora saltuariamente lavora fuori dalla musica e invia curricula ma c’è da dire che dal 2015 si è rimesso sotto seriamente come indipendente e manager di se stesso, cominciando da subito a raccogliere importanti consensi, visualizzazioni e richieste di live. Il riscontro economico c’è ma manca ancora un poco alla vera tranquillità economica, suo prossimo obiettivo, sicuramente raggiungibile. Basta ascoltare e vedere Sempre me. Solo per i sottotitoli ha già vinto.
JESTO

Rimanendo a Milano, mi metto in contatto con un romano ormai trasferitosi da un po’ fra i meneghini: Justin Yamanouchi in arte Jesto.
Mi conferma che a Milano effettivamente la situazione artistica è prolifica anche se il suo trasferimento lì è stato casuale. Attualmente può permettersi di campare solo di rap, questo grazie anche al suo background come advertiser di brand importanti, professione che gli ha insegnato l’importanza e le strategie per individuare e sviluppare al meglio un prodotto, in questo caso se stesso, e le sue peculiarità.
Da questa nuovo modus operandi è nato “Supershallo”, non una semplice serie di mixtape ma un mondo nel quale entrare e vivere la particolarità di Jesto, un rapper che si autodefinisce “un’anomalia nel rap italiano, soprattutto a Roma con una situazione molto ’90 oriented, sulla scia dei pionieri romani che lui stesso confessa essere stati i suoi primi ispiratori ma poi un vincolo un po’ troppo limitante dal punto di vista artistico.
Scoprire in seguito Fibra su “950” di Fritz gli ha aperto un mondo compositivo totalmente nuovo. L’aver vinto il Tecniche Perfette e numerose altre battle di freestyle gli ha dato quella credibilità e il rispetto che il suo stile “diverso” secondo i canoni romani non gli permetteva di ottenere arrivando a vedere pubblicato il primo album dell’etichetta di Piotta (La Grande Onda).
La capacità di Jesto nel carattere e nel rap è quello di non porsi limiti ma anzi cercare di esplorare tutte le sfumature, passando senza soluzione di continuità da pezzi scanzonati a quelli con contenuti. Un personaggio e un rap che abbraccia tutte le sfumature del carattere e della musica.
Ora riesce a vivere di questo fra live e merchandising (a proposito, da sabato 21 è cominciata la sua tournée: 5 dicembre – Seven Day’s Genova; 6 dicembre – Music Melody Bar, Napoli; 7 dicembre – Zoo Bar, Roma; 19 dicembre – Premiere Disco Club, Enna; 20.12 – ZsaZsa, Palermo ). Passando di palo in frasca temporalmente, mi racconta degli inizi con Saga, da lui ritenuto in assoluto uno dei migliori freestyler, e non mi nasconde che gli piacerebbe ricreare con lui un progetto simile a “Xtreme Shallo”, quello appena chiuso con Cane Secco.
Del rap in generale, ascolta poco quello italiano se non per essere informato sui competitor. Per quanto riguarda quello straniero, dai primi approcci all’east-coast classica, tipo Gangstarr, è passato a 50cent per arrivare a l’amore per Lil’ Wayne, questo già prima che fosse sdoganato anche in Italia, e il South.
Il trap ora è chiaramente il suo terreno di battaglia: “da 6-7 anni lavoro a 73bpm”. Per il 2016 è prevista l’uscita del suo nuovo lp ufficiale. Il concept è già pronto e la stesura dei pezzi sarà sistemata durante la tournee fra una data e l’altra.
Vive di rap? Decisamente sì. Sta Supershallo.
MISTA TOLU

Mi sposto geograficamente, anche se virtualmente, a Londra, dove si trova in questi giorni Tommy Kuti aka Mista Tolu, un personaggio dalla fisicità e sorriso molto coinvolgenti. È in vacanza e con l’occasione allarga la sua rete di conoscenze.
Tolu, il cui vero nome è Tolulope Olabode Kuti, è di origini nigeriane, vive in Italia da quando è piccolo e si è laureato in Inghilterra in Scienze delle comunicazioni. Un vero cittadino del mondo.
Si è avvicinato al rap ascoltando 50 cent e la G-Unit e la particolarità è che nel paese dove abitava, Castiglione delle Stiviere (BS), quando era ragazzino non c’era praticamente nessuno che già minimamente si avvicinasse al rap e ciò gli aveva dato l’illusione che lui fosse il primo a fare rap in italiano. Naturalmente è passato poco tempo che si accorgesse non fosse proprio così, ascoltando fra i primi mc seri italiani esponenti del calibro di Bassi Maestro e Fabri Fibra.
Da allora di tempo ne è passato e Mista Tolu è cresciuto molto artisticamente. Attualmente si occupa attivamente del progetto Manca Melanina, una etichetta fondata con Yank e Diss 2 peace (poi si è aggiunto Blackson) che raccoglie diversi artisti accomunati, oltre dal fatto di essere molto bravi, di avere origini extra italiane.
Questa attività occupa quasi la totalità del tempo di Tolu e gli garantisce di poterci vivere anche se non nasconde di dare una mano, quando occorre, all’attività alimentare dei genitori. Il supporto della famiglia in questo caso è quello generalmente più diffuso: una certa sofferente indifferenza che però diventa arresa nel momento in cui i genitori si rendono conto che il loro pargolo sta facendo qualcosa di buono, (si vede bene in questo video – Faccio Rap…giudicate voi).
Un’ultima battuta sui rapper italiani che preferisce: “Sopra a tutti mi piace molto Marracash, perché credo sia uno dei pochi che porti avanti l’essenza dell’hip hop, la riflessione della società che ti circonda, nel suo bene e nel suo male. Parlare concretamente di qualcosa”.
JOHNNY MARSIGLIA

Ritorno in Italia, e più precisamente a Varese, per sentire un altro mc che apprezza molto Marracash per le stesse ragioni di Tolu. Lo contatto mentre si sta spostando con la macchina insieme a un amico.
Johnny, all’anagrafe Giovanni, nasce palermitano da madre capoverdiana e padre italiano ma da subito “naturalizzato” capoverdiano; il padre infatti ha sviluppato un grande amore per questa cultura e proprio in una serie di eventi capoverdiani che organizzava, il ragazzo ha avuto modo di imbattersi in alcuni dj più grandi che gli hanno fatto sentire artisti americani. È stato anche per lui amore al primo ascolto.
Così come con Ghali, gli faccio i complimenti per l’inaspettata fortuna di avere un nome (in questo caso cognome) già pronto per essere utilizzato come nome d’arte. Naturalmente anche lui all’inizio non ha rinunciato all’eterno dilemma dei giovani rapper: trovare un nome d’effetto, che poi spesso d’effetto non è. Comincia a farsi le ossa con lo pseudonimo di Johnny Killa e partecipa al Tecniche Perfette, raccogliendo diversi consensi fino a quando genialmente utilizza il proprio cognome e chiude così il cerchio.
Per tentare il colpo vero e non lasciare nulla di intentato, si sposta a Varese e porta in parallelo la vita da artista a lavori saltuari, duri (addetto ai bagagli all’aeroporto di Malpensa, operaio, ecc.), ma che gli permettono di concentrarsi sul rap.
La fatica e la persistenza, e il talento naturalmente, comunque danno i loro frutti: ora può permettersi di concentrarsi al 100% sul lavoro artistico. Siamo ancora lontani dai fasti dei “big” ma sicuramente Johnny ha molti altri punti che può macinare tranquillamente. Per il 2016 ci aspettiamo nuovo materiale di alto livello, allo stesso di Fantastica Illusione.
ABE KAYN

Uno che, per ora, deve lavorare per mantenere la sua carriera da rapper è Mame Abdou Gueye aka Abe Kayn. Lo contatto mentre sta mangiando cracker e fette di petto di pollo al forno, dopo aver mangiato delle svizzere (hamburger, ndr)…
Ventitreenne di origini senegalese e vissuto a La Spezia e Pisa prima di approdare a Milano, Abe lascia a diciannove anni la casa dove abita con la madre e contemporaneamente comincia a far rap, ispirato in principio da Eminem e 50 cent. Attualmente ascolta soprattutto rap francese, Buba e Kaaris in primis, e ammira Fabri Fibra fra quelli italiani.
Il rap per ora è ancora una passione da foraggiare lavorando, nel suo caso, come commesso in un grande fashion store di centro Milano. Suo obiettivo è naturalmente farlo diventare la sua principale fonte di sostentamento.
Per i prossimi mesi sono previste uscite di nuovi singoli aspettando un suo lp solista che potrebbe uscire in primavera. Intanto guardatevi e ascoltatevi Vola Basso.
TAIYO “HIST” YAMANOUCHI

Chiudo in bellezza, personalmente parlando, restando a Milano con un altro romano trasferitosi qui da ben cinque anni: Taiyo Yamanouchi aka HYST, che conosco da diversi anni.
Mi informa da subito dell’uscita del suo libro Fare il rap. Pedagogico nella sostanza ma molto leggero nella forma, è una raccolta di esperienze che possano dare delle basi serie e serene a chi si vuol avvicinare all’apparente facile mondo dell’mcing. Di sicuro, Hyst è l’unico che abbia le capacità e le spalle per sostenere un argomento così arduo da portare avanti in un ambiente ricco di quaquaraquà e critici indefessi col dito sempre sul grilletto.
Diplomato all’artistico Caravillani, si è avvicinato al rap gradualmente. Infatti nei suoi anni di liceo era, per sua stessa definizione, “un darkettone dai capelli lunghi, un antesignano del Corvo con Brandon Lee”.
Nella scuola c’erano alcuni writer, alcuni nomi storici del writing romano, col quale legò per dipingere e che ascoltavano già il rap italiano e romano. Seguendoli nelle scorribande notturne lui era sempre un po’ “la pecora nera”, sia nel vestiario sia nei gusti musicali.
Quello che allora passavano i media italiani era un rap italiano molto leggero, tipo Jovanotti, o americano più commerciale come LL Cool J e Run DMC, personaggi che gli apparivano più legati alla cultura afroamericana che appartenenti a una cultura più ampia (poi mondiale) come quella hip-hop. I Public Enemy gli fanno capire la potenzialità comunicativa al di là del mezzo espressivo. Questo ha fatto sì che i primi testi prodotti dal nostro fossero in inglese.
I primi incontri con il rap italiano, data anche l’anagrafica, sono quelli con i pionieri romani come Colle der Fomento o ancora prima FDC (Facce Da Culo), ascoltati non su disco ma direttamente live, quando di inciso ancora non c’era stato nulla.
Predilige artisti che abbiano spessore oltre che valenza artistica. Di quelli dell’ultima generazione americana, nomina Kendrick Lamar, e per la scena italiana la scelta ricade su artisti con i quali collabora e che ammira proprio per il loro spessore nei contenuti: Ghemon, Mecna e Kiave sopra a tutti (quest’ultimo da lui definito “un mix fra Krs-One e Public Enemy all’italiana”).
Ammette che ogni tanto ci sono prodotti singoli che lo colpiscono molto, come “L’istante prima” di Santiago, e ammira anche la costanza e l’evoluzione nel semplificarsi di Kaos, specificando che la semplificazione riguarda solamente il modo di trasmettere concetti, invece sempre molto spessi.
Comunica candidamente che non potrebbe vivere completamente di rap, questo perché è sua sincera opinione che per farlo dovrebbe scendere a compromessi che stanno alla base del rap-business-game e che può per sua fortuna permettersi di non seguire.
Persona con la testa fortemente salda sulle spalle, con una carriera come attore, presentatore, modello, scrittore e preparatore di storyboard, si sta apprestando a fare l’ultimo passo che chiuderebbe il cerchio del suo percorso artistico a 360 gradi: diventare un regista a tutti gli effetti. Ascoltatevi Adesso Parlo.
– di Walter Fuji
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Johanne Affricot
Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente, fondatrice e direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.