L’antologia Indie La Rampa Illumina La Storia Dolorosa E Di Resistenza Del Portogallo Nero

La maggior parte delle capitali o grandi città Euro-Atlantiche che si rispettino contengono al loro interno un’area a sé, una sorta di enclave la cui denominazione, quando è presente, sfugge all’odonomastica ufficiale, ma abita il corpo principale. Si trovano a Roma e Milano, a Parigi e Bruxelles, a Londra, New York o Lisbona, per citarne alcune. Sospese tra i Due punti cardinali, lo sguardo posato su di esse è di fugace disattenzione, più volte di fastidio, altre di esplorazione. A Lisbona “Rossio è il luogo dove si incontrano gli africani, indipendentemente se ci arrivano con le barche dalla riva meridionale, o con il treno dai quartieri intorno Sintra, o con l’autobus dalla periferia. Rossio non può sfuggire all’altro africano. È il punto focale della visibilità cromatica della città, e lo è da molto molto tempo.” Ed è a Rossio che si trova Little Guinea, l’enclave che dà il titolo a uno dei trentanove testi del quarto numero de La Rampa. Art Life and Beyond, dedicata al Portogallo.

Fondato dalla ricercatrice e fotografa Chantal James, canadese di discendenza guyanese e scozzese, e dalla portoghese Ines Beleza Barreiros, storica dell’arte e della cultura, La Rampa, i cui primi tre numeri sono su Haiti, Cuba e Brasile, “è un contro-atlante”, un’antologia che amplifica nuove prospettive e contro-storie. Le storie del nuovo numero mostrano la complessità del Portogallo contemporaneo, con le sue ferite coloniali, i suoi dibattiti e le sue dispute su cosa dovrebbe essere o non essere visto, e su chi dovrebbe o non dovrebbe parlare per conto del paese.
Nonostante appaia come quarto testo, Little Guinea ha catturato la mia attenzione per il modo astuto in cui viene descritta dallo scrittore Jean-Yves Loude, l’autore del testo. Loude combina infatti quei simboli nazionali immediatamente riconoscibili—chiese, tradizioni culinarie, luoghi storici di ritrovo e socializzazione—con quegli elementi considerati masse aliene, ma che abitano quel luogo dal XVI secolo. In questo modo offre una prima chiave di lettura di facile accesso anche per chi nel proprio vocabolario di Storia, o di cultura generale, non ha o non ritrova certi eventi. O per chi cerca di ignorarli.

Mano a mano che si sfogliano le pagine del libro, la visibilità cromatica di cui parla Jean-Yves Loude la ritroviamo nella via dei Neri, Rua Poço dos Negros (Blacks’ Pit Street, narrata dallo storico James Sweet); nelle immagini poetiche, celebrative ed evocative che restituiscono dignità a corpi, storie e luoghi vituperati, come anche i saggi di studiosi e accademici, i racconti, le poesie e le opere di musicisti, artisti, attivisti che mescolano e capovolgono Nord e Sud. Pagina dopo pagina, l’eco delle ex colonie investe e contestualizza il presente dell’ex Impero, che si ostina ad osservare il mondo con le sole lenti del lusotropicalismo, mentre gli eredi dei colonizzati, colpiti dal retaggio razzista del lusotropicalismo, lottano per uscire dai margini.

La raccolta di voci polifoniche ne La Rampa mette in luce la difficoltà del Portogallo di riflettere sulla sua eredità coloniale, così come la sua tendenza a sussurrare un timido riconoscimento delle proprie colpe con un “sì ma”, dove il “ma” si trasforma nella celebrazione di imprese che edulcorano il passato coloniale del paese e ne riducono la sua estensione e il suo impatto sociale. Larga parte della società portoghese sembra accontentarsi dei libri di storia provvisti di una sola voce, quella del vincitore, e di monumenti che glorificano le Scoperte, come il “Monumento delle Scoperte”, oppure, ammalata di nostalgia, cerca di erigere il “Museo delle Scoperte”—per celebrare il “Grande Uomo” e la “Grande Data”, come puntualizza l’accademica Patrícia Martin Marcos in Storia e Riflesso di Narcisio (A História e os Narcisio ao Esphello – History and Narcissio’s Reflection )
“I monumenti solitamente non sono costruiti per commemorare la sconfitta; i morti sconfitti vengono ricordati nei memoriali,” ci ricorda l’autrice e professoressa Marita Sturken nell’estratto contentuto in Monumenti e Memoriali (Monumentos e memoriais – Monuments and Memorials). Tuttavia verrà costruito un “Memoriale e Tributo per le Persone Schiavizzate”. Voluto e cercato con forza dai discendenti degli ‘sconfitti’ (come la Djass – Associazione degli Afrodiscendenti), servirà per “combattere il revisionismo storico e la negazione dell’estistenza del razzismo; “per onorare i milioni di donne, uomini e bambini schiavizzati dal Portogallo, per “celebrare l’umanità e la resistenza negate alle persone schiavizzate”, scrive la professoressa e attivista Beatriz Gomes Dias nel testo Scheletri nell’Armadio (Esqueletos no Armário – Skeletons in the Closet). È in questo nuovo contesto, in cui la memoria pubblica della schiavitù è sempre più istituzionalizzata, che stanno riaffiorando le richieste di reparations (risarcimenti/riparazioni) per la schiavitù e il commercio atlantico, secondo la storica della società Ana Lucia Araújo.

Dona Vitalina, Dona Mimosa, Dona Tota e Dona Mariazinha, i cui intensi ritratti parlano di rimozione, sono le sopravissute tra i sopravvisuti, rappresentano le ragioni per cui memoriali e riparazioni sono necessari. Lo sono anche gli abitanti di Cova da Moura: durante la loro festa tradizionale Kola San Jon per le strade del quartiere, sono perseguitati dai fantasmi viventi dell’amministrazione coloniale portoghese, che vietava ai cittadini colonizzati di mostrarsi in alcune feste popolari, perché troppo africani e troppo sessuali con i loro corpi.
L’artista interdisciplinare Grada Kilomba, in Negazione, Colpa, Vergona, Accettazione, Riparazione, (Negação, Culpa, Vergonha, Reconhecimento e Raparação – Denial, Guilt, Shame, Recognition, Reparation) evidenzia che “Riparazione significa negoziare l’accettazione. Si negozia la realtà. In questo senso, la riparazione è l’atto di riparare il danno causato dal razzismo, cambiando strutture, programmi, spazi, posizioni, dinamiche, relazioni soggettive, vocabolario, ovvero rinunciare al privilegio”.


Sorprende che tra i principali sponsor di questa antologia ci siano il Comune di Lisbona e l’Ufficio Turistico di Lisbona. Una via di mezzo tra libro e magazine, tra guida turistica e tomo di Storia—ma anche catalogo d’arte da tenere custodito sugli scaffali della propria libreria—La Rampa Portogallo è sicuramente una celebrazione illuminante delle storie e culture delle comunità africane e afrodiscendenti del Portogallo. Con i suoi testi brevi, snelli e diretti aiuta ad orientarsi tra i cunicoli di una Storia coloniale buia, rescuscitando vite e unendo i puntini che ricostruiscono il Portogallo contemporaneo.
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.