La Mostra | Making Africa – Un Continente Del Design Contemporaneo

di Eric Otieno Sumba - Pubblicato il 26/01/2018
Cyrus Kabiru - Foto di (c) River Bunkley

Making Africa – A Continent of Contemporary Design si è conclusa questo mese presso l’High Museum di Atlanta.

La mostra, che inizialmente – due anni fa – era stata organizzata al Vitra Museum di Weil, in Germania, avrebbe potuto attirare soprattutto conoscitori del design, ma la location non era esattamente l’ideale – chiedete a qualunque esperto sulla materia, a Nairobi o a Berlino. Tuttavia, la versione del 2017 tenutasi nel centro di Atlanta, è stato un altro salto nel buio, questa volta transatlantico: dopo Bilbao, Barcellona e Rotterdam, Making Africa ​​è stata presentata per la prima volta negli Stati Uniti.

La mostra si apre con le tre domande, che si incontrano non appena si entra nella prima sezione intitolata “Prologo” Cos’è il design? Cos’è l’Africa? E cosa è il design africano?
Circondato da una miriade dei suoi C-stunners, delle sculture-occhiali indossabili, l’artista kenyano Cyrus Kabiru osserva i visitatori mentre contemplano quel perenne “elefante nella stanza” che si trova nella maggior parte dei musei: il preconcetto occidentale di Africa.

griot-mag-making-africa-_cyrus-kabiru-c-river-bunkley.jpeg
Cyrus Kabiru

Gli storici dell’arte noteranno che il museo ha spesso esposto le stesse immagini dell’Africa che ora, per una strana svolta, cerca di decostruire. La solenne contemplazione di questi importanti problemi si manifesta sullo sfondo delle parole di Chinua Achebe “Finché i leoni non avranno i loro storici, i racconti di caccia glorificheranno sempre i cacciatori“, e in una gran serie di interviste video con Koyo Kuoyoh, Ekuwi Enwezor e altri nomi noti dell’arte e del design africani.

La seconda parte, “Io e Noi“, esamina come il design possa essere uno strumento per interagire, e quindi ritrarre dinamismi e formazioni di identità che altrimenti andrebbero persi. La citazione di Fanon “In the world through which I travel, I am endlessly creating myself” [“Nel mondo in cui viaggio, creo me stesso all’infinito”] titola questa sezione. In mostra, oltre alle immagini tratte dalla serie The Studio of the Vanities, di Omar Victor Diop (Senegal), e dei leggendari JD Okhai Ojeikere (Nigeria) e Malick Sidibè (Mali), c’è il primo musical mai creato in Pidgin, Coz of Moni, di cui è protagonista l’iper-satirico duo ghanese, FOKN Boys.

griot mag making africa -Omar victor Diop-c-River-Bunkley(1)
The Studio of the Vanities (2012), di Omar Victor Diop

La mostra si concentra anche su una generazione di artisti in erba, come l’illustratore dello Zimbabwe Sindiso Nyoni di My Africa is…, e Kudzanai Chiurai, che affrontano apertamente il pubblico globale in un modo molto interdisciplinare, frantumando in questo processo i cliché sulla produzione culturale “africana”.
La maggior parte di questi creativi infrange le regole del design contemporaneo e afferma la propria esperienza in contesti specifici, sfidando tutte le generalizzazioni su ciò che qualsiasi cosa o persona “africana” dovrebbe essere.

My Africa is... di Sindiso Nyoni
My Africa is… di Sindiso Nyoni, aka R!ot
griot mag making africa Kudzanai chirua-c-River-Bunkley-i
Kudzanai Chirua

La terza sezione della mostra, intitolata “Space and Object”, esamina l’individuo e il suo ambiente immediato. Qui le città e gli sviluppi tecnologici sono un tema centrale. Teju Cole, i cui scritti ritraggono le città di New York e Lagos nei modi più belli, fornisce la citazione che titola questa sezione: “The strange familiar environment of this city is dense with story. The narratives fly at me from all directions” [Lo strano ambiente familiare di questa città è denso di storia. Le narrazioni mi assalgono da tutte le direzioni]. E se questo è vero per molte città, è particolarmente vero per molte città africane. In mostra troviamo il lavoro di esplorazione dell’urbanizzazione informale e del boom della telefonia mobile, temi che erano di tendenza nel 2015.

È così che il rivoluzionario e onnipresente servizio di trasferimento di denaro mobile kenyano, M-Pesa, trova la sua strada nell’istituzione che è questo museo. Tuttavia, a due anni di distanza, Mobile Money sembra essere sul punto di diventare una storia singola. E ciò è particolarmente vero perché nel 2017 il cosiddetto Silana Savanah (un nuovo ecosistema tecnologico all’interno e nei dintorni di Nairobi) fece molto  clamore e, proprio come altrove nel mondo, le persone in Africa (come Jepchumba, Selly Raby Kané e The Nest Collective) stanno pensando al ruolo della realtà virtuale e della tecnologia nella visualizzazione delle utopie africane.
griot mag- making africa Cyrus Kabiru-c-River-BunkleyLa quarta e ultima parte, “Origin and Future”, esplora la cultura africana contemporanea, il suo passato e il suo futuro, attraverso gli oggetti. In questa sezione le parole leggermente decontestualizzate dell’ex presidente del Ghana, Kwame Nkurumah, sono un principio guida: “We face neither East nor West, We face forward” [Non guardiamo né a Oriente, né a Occidente, guardiamo avanti].  Qui, si trova la Waxprint prison dell’artista ghanese-tedesca Zohra Opoku, che esplora il dilemma tessile delle stampe africane attraverso le immagini, e anche il Nane di El Antsui, fatto con bottiglie riciclate che l’artista ghanese raccoglie avidamente (si dice che vada per una somma di sette cifre).

Guardando al futuro, questa sezione riprende anche visioni, come quelle di Olalekan Jeyfous in “Lagos 2081 A.D”, una serie di immagini prodotte per l’etichetta di moda maschile di Walé Oyédijé, Ikire Jones. Tali visioni trovano uno sbocco adatto nel design dove le utopie diventano immagini e cose, una realtà palpabile che può essere toccata, vista o, in questo caso, indossata.

A due anni dalla sua anteprima, la mostra ha perso poco della sua geniale sublimità, anche se il suo innovativo dinamismo non è stato pienamente riflesso e, andando avanti, questo terreno diventerà sempre più scivoloso. Ad esempio, alcuni dei designer che nel 2015 venivano definiti “sperimentali”, oggi sono “arrivati”. Le sfilate di Selly Raby Kane sono ormai un appuntamento fisso nel calendario di eventi dell’arte e della moda. Da allora, la designer senegalese ha aperto un concept store, è diventata il primo direttore creativo esterno di Design Indaba, e ha firmato un contratto “pan-continentale” con Ikea per lavorare alla sua collezione di mobili 2019 che sarà interamente progettata da designer africani. Nel frattempo, Vogue ha visto Beyoncé indossare due pezzi della collezione Dakar City of Birds, di Kane, in un unico outfit – sarebbe utile mettere un po’ più in risalto questi sviluppi nelle edizioni future.

griot mag making africa Selly Raby kane-c-River-Bunkley- -
Dakar City of Birds, di Selly Raby Kane

Con Making Africa – A Continent of Contemporary Design, l”High Museum ha voluto gettare nuova luce sul design contemporaneo africano. Presentando 200 opere di oltre 120 artisti provenienti da 25 paesi africani, la mostra ha illustrato come il design testimoni il cambiamento economico e politico del continente. Le prossime tappe per l’installazione sono Albuquerque (NM) da Febbraio a Maggio 2018, e Austin (TX) da Ottobre 2018 fino a Gennaio 2019. Circolano voci che ci siano più fermate in cantiere, ed il neo-aperto (e controverso) Zeitz MOCAA di Cape Town è un possibile candidato per il debutto africano della mostra. Speriamo vivamente che arrivi nelle città africane che l’hanno così tanto ispirata, così come altrove. Alla fine, quei “diritti di denominazione” dovranno essere guadagnati.

griot mag making africa Leonce Raphael Agbodjelou-c-River-Bunkley-
Senza titolo, dalla serie Musculemen (2012) di Leonce Rapahel Agbodjelou

griot mag- making africa _c-River-Bunkley

Segui GRIOT Italia su Facebook, @griotmagitalia su Instagram Iscriviti alla nostra newsletter

Questo articolo è disponibile anche in: en

+ posts

Sono uno ricercatore e studioso di decolonialismo. Lavoro sull'intersezione tra giustizia sociale, politica, economia, arte e cultura. Amo leggere, ballare, andare in bicicletta e il capuccino senza zucchero.