Jazz:Re:Found | Clap! Clap! | Ricerca Di Suoni Dalla Sardegna, All’Africa, Alla Siberia

Cristiano Crisci, in arte Clap! Clap! è tutto quello che non ci si aspetta. Jazzista, produttore, DJ, performer, cantante, ricercatore, documentarista … e la lista sarebbe ancora lunga. Nell’ampio raggio del suo estro creativo si trovano sonorità che vanno dal jazz, al punk, alla chicago footwork, alla musica tribale e popolare che, unite ad una personalità eclettica e spumeggiante, creano un profilo artistico come pochi se ne trovano di questi tempi.
Paul Simon lo ha voluto nella crew di produzione del suo ultimo album e dopo averlo intervistato non ho dubbi sul perché.
Dopo il suo live a Londra e in vista della sua partecipazione alla 9° edizione di Jazz Re:Found Festival (7-10 dicembre) abbiamo fatto due chiacchiere sul suo percorso artistico, sulla sua esperienza in Italia e all’estero e sui suoi progetti di ricerca e documentazione di musica e strumenti del mondo.
GRIOT: Io ti intervisto da Clap! Clap!, ma tanti ti conoscono anche come Digi G’Alessio. Come sono suddivisi i tuoi progetti, quali sono finiti e quali ancora continuano?
Clap! Clap!: Per un po’ di tempo ho cercato di mandare avanti questi due progetti insieme ma Digi G’Alessio è un po’ fermo al momento. Clap! Clap! è sfociato molto bene ed essendo veramente pieno di lavoro e avendo anche una famiglia (ho una figlia di un anno e mezzo), non ho un momento per respirare e non ce la faccio a portarli avanti entrambi. Quindi mi sto concentrando su Clap! Clap!.
Ovviamente quello che esce è il selezionato, perchè faccio un miliardo di cose dai mix, alle collaborazioni, alla produzione per me e per altri. Con Digi G’Alessio era più uno sfogo, una cosa da dance floor, da dire ‘facciamo il macello e basta!’. Lo faccio ancora, ma come Clap! Clap! cerco di rimanere stiloso, diciamo.
Fai macello con la musica elettronica però sei un jazzista. Raccontami del tuo background musicale.
Sì, io vengo dal jazz e lo suono ancora: suono il sassofono. In realtà ho iniziato con i CK, una delle prime crew di pop fiorentino. Cantavo con loro e nei primi del 2000 ho iniziato a suonare il sassofono facendo jazz standard nei vari club di Firenze e in Toscana.
Poi ho iniziato a sperimentare ed ampliare tutti i gusti e come tutti gli adolescenti ho avuto anch’io l’inevitabile fase punk hard-core. Infatti per due o tre anni ero in un gruppo punk composto da contrabbasso, sassofono e batteria, il Trio Cane si chiamava. Dopo ho ricominciato ad interessarmi alla musica elettronica ma in verità il sax non l’ho mai mischiato con l’elettronica, perchè ne usciva sempre un suono molto cheesy house. Non sono mai stato troppo bravo a combinare le due cose in maniera figa, ecco.
Dopodiché sono tornato alla musica elettronica con un altro trio, A Smile for Timbuctu, con cui abbiamo suonato spesso anche a Londra nel 2003-2004 – mi ricordo una bellissima serata a Stoke Newington, in un posto fighissimo che penso abbiano chiuso adesso. E da lì poi sono arrivato al progetto solista che è Digi G’Alessio, nel 2008.
Nella tua musica c’è un mix di suoni, generi, culture. Cosa ci dici del tuo processo creativo? Come riesci a combinare tutte queste varie anime?
Dunque è nato tutto quasi per gioco il giorno in cui ho finito Ivory, un EP che ho fatto per Lucky Beard Records. Proprio come esperimento da dance floor e niente di più, mi è venuto in mente di utilizzare suoni di tribù del centro Africa e di suonarci delle batterie elettroniche sopra. Il risultato mi piacque tantissimo e così decisi di iniziare a ricercare e sperimentare con questi ritmi e tonalità. E non sapendo bene come farlo, mi sono inventato il progetto Clap! Clap! che è appunto basato sulla ricerca musicale di tutte le parti del mondo.
Ad esempio, in Tayi Bebba di africano c’è poco, ed è molto bello questo perchè la prima sensazione che ti dà è proprio quella di Africa. L’obiettivo è quello di mettere insieme sonorità da tutto il mondo e creare qualcosa di nuovo.
Tayi Bebba è un’isola inventata, un luogo immaginario e la maggior parte delle percussioni vengono dalla Siberia, che è un luogo freddissimo. Lo trovo assurdo perché, nonostante il freddo, emerge un suono caloroso che rappresenta gli aspetti più tribali e rurali della vita di quel luogo.
Questa cosa mia ha portato a fare ricerca nei luoghi più disparati del mondo, Italia compresa. In sud Italia abbiamo veramente un ricchissimo patrimonio sonoro e negli anni sessanta molti ricercatori hanno registrato molte cose. È il lavoro che sto cercando di fare anch’io in questo momento, anche se non ci sono finanziamenti e farlo a spese proprie è un suicidio.
Io ti ho visto suonare dal vivo diverse volte e, come dire, spacchi tutto: salti da un piatto all’altro, balli… da dove ti viene tutta l’energia esplosiva che hai?
Ah sono fatto così! Anche in studio ho le pareti di gomma, sennò butto giù tutto mentre suono, devo stare attento!
(Guardatevi questo live set per Boiler Room se non ci credete)
Dal punto di vista di musicista, produttore, DJ ecc. come ti sei trovato da italiano in questo tuo percorso?
Mah, guarda tendo sempre poco a generalizzare perchè alla fine il mondo è paese per tante cose, mentre per altre indubbiamente non lo è! In Italia abbiamo le nostre tradizioni, le nostre attitudini, purtroppo siamo indietro per tante cose, ma è anche un po’ il fascino del paese, non si può volere tutto.
Però la noti la differenza quando sei all’estero, soprattutto la maniera di divertirsi alle feste sta cambiando parecchio. Cioè in Italia negli anni novanta verso Bologna o Torino c’era un’altra atmosfera alle feste e ai festival, molto più attiva e vibrante. Cosa che adesso è scemata e trovo di più in altri posti.
Ho suonato qualche settimana fa a Leeds, ad esempio, e c’era il delirio! C’ero già stato l’anno scorso ed era stato lo stesso. Leeds, come tante altre città studentesche in Gran Bretagna, sono fantastiche. C’è proprio quello che definirei il “preso-benismo”. Ed è una cosa che qui sta venendo a mancare e che avverto molto nelle feste a cui suono. C’è sempre il divertimento, però è una maniera un po’ più chiusa di divertirsi negli ultimi tempi, spero vada a cambiare in meglio e sicuramente lo farà.
A cosa pensi sia dovuto? Che cos’è che offriva la dance floor italiana che adesso non offre più?
Ah, chi lo sa! Ci sta un po’ tutto. Magari le nuove generazioni, come reagiscono al periodo storico che stiamo vivendo, che non è certo tra i più belli e facili. Quindi forse questa cosa ha un po’ influito, anche se non la si vive sulla propria pelle, è nell’aria.
Però c’è da dire che quando vado in sud Italia l’atmosfera è diversa, lì i festival sono geniali, grandiosi. Negli ultimi anni hanno anche iniziato a fare i boat parties proprio all’italiana, con la barca che si ferma a largo e la gente che fa il bagno. Devo dire che è una situazione molto invitante anche a livello di line up e direzione artistica.
Cos’è cambiato nella tua carriera da quando hai avuto successo all’estero?
Sicuramente è cambiata la maniera di lavorare: prima lavoravo soltanto in Italia ed ero da solo, senza un agenzia. Invece adesso mi si è aperta una nuova prospettiva sul mondo del management, del booking, del marketing musicale e sull’industria della musica in generale.
Dove sei stato trattato meglio, dove peggio?
Non penso che ci sia una maniera migliore o peggiore, piuttosto direi differente. Puoi trovare lati positivi e negativi da entrambe le parti. In Italia, ad esempio, magari ti lamenti per l’attrezzatura perchè sul palco mancava questo o quello, però hai mangiato benissimo, ospitalità a mille, hai fatto il bagno al mare ecc. Quindi alla fine torni con il sorriso perchè la serata è andata bene in ogni caso.
In altre occasioni magari tutto è perfetto dal punto di vista tecnico, ma poi devi suonare alle sei del pomeriggio. Quindi secondo me le esperienze si compensano a vicenda. Devo dire che a me piacciono entrambe, perchè mi piace il lavoro che faccio e lo accetto in tutte le sue sfumature.
Sono stato molto anche in Giappone, ho fatto tre volte il tour e ho trovato un modo completamente diverso di concepire la vita notturna. Laggiù la nightlife è proprio uno sfogo, perchè il Giappone ha ancora molti limiti da un certo punto di vista, quindi sulla dance floor l’apertura è totale. Ed è fantastico suonare lì.. C’è proprio quello che noi chiamiamo il “vola tutto”!
Che musica stai ascoltando al momento?
Questa è una domanda difficile, perchè in questo periodo sono concentrato sulle mie ricerche e sto ascoltando soltanto cose del passato. Mi sparo documentari su documentari, ascoltando cori e lamenti di ogni genere. Quindi non so bene come descrivere che musica ascolto in questo momento, ma è un po’ strana.
Quindi guardi documentari per trovare nuovi suoni da samplare?
Sì, ma in generale li guardo per passione e piacere personale. È sempre bello scoprire cose nuove di popoli di diverse parti del mondo che ci sono stati e che ci sono ancora. Tra l’altro sto iniziando un lavoro di ricerca, field recording e documentazione in Sardegna perchè lì ci sono tantissimi strumenti nativi.
Pinuccio Sciola ha inventato la pietra musicale. Lui è uno scultore ed ha iniziato ad intagliare pietre sia laviche che di granito ed ha creato un sacco di strumenti in pietra come la viola, lo xilofono, l’arpa. Si sente proprio che la pietra lavica ha un suono basso e caldo, mentre il granito ha una tonalità più alta perché mantiene la memoria, suona più freddo. Ed è interessantissimo tutto ciò, lui ha creato tantissimi strumenti. C’è anche il giardino di Pinuccio Sciola.

Quindi stiamo documentando tutti questi strumenti in pietra e la sua famiglia ci sta raccontando come sono nati e come si suonano. Poi ci sono anche le launeddas che sono dei flauti di bambù costruiti in Sardegna. L’unica scuola al mondo di launeddas è a San Vito e sta iniziando ad affermarsi sempre di più.
Ci sono bizzeffe di strumenti da documentare ed il mio obiettivo è anche cercare di mantenere le fiabe, le filastrocche, le ninna nanne di questi luoghi, perché sono cose che vanno sempre perse, nessuno le trascrive o le registra più. Quelle che ti cantava la tua bisnonna non te le ricorderai e non canterai a tua volta. Invece penso che sia un patrimonio che vada passato alle prossime generazioni, altrimenti andrà perso. Perciò con Khalab stiamo cercando di registrare e mantenere questo tesoro. Ma dobbiamo trovare il tempo e i soldi per fare questa cosa, perchè è molto difficile girare nei posti, trovare le persone. È impegnativo.
Sapete già quando uscirà questo documentario?
Non ancora, ma il progetto è partito e ci stiamo già lavorando quindi appena abbiamo abbastanza materiale inizieremo a fare le prime edizioni. Saranno edizioni d’archivio, raccolte con audio di alta qualità, cosa molto positiva perchè le uniche registrazioni che si trovano al momento risalgono agli anni cinquanta.
Oltre a questo progetto a che cosa stai lavorando al momento?
Al mio nuovo album A Thousand Skies che uscirà a Febbraio su Black Acre con publishing Warp. E sarà di nuovo in formato doppio vinile con fiaba annessa per esprimere lo stesso concept che era presente anche in Tayi Bebba, però in modo diverso. Questo è un viaggio nel cosmo con i personaggi rivisitati dell’astro greco-romano tramite il quale cerco di inviare influssi positivi alle persone. Ma visti i tempi bui che corrono forse non sta molto funzionando!
Sì, è un periodo molto particolare … e se dovesse scoppiare la terza guerra mondiale dove te andresti?
La terza guerra mondiale c’è già da parecchi anni! Ma non lo so dove andrei, anche perchè non ho una fissa dimora. Al momento mi sposto tra Firenze e la Sardegna, però la città in Italia in cui ho sono sempre stato meglio è Torino, sia per i costi che per la vita, è una città veramente meravigliosa. Però se potessi me ne andrei su un altro pianeta! O in qualche abisso in fondo al mare, in una di quelle città sommerse tipo Atlantide!
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