Chi Era Jacob Desvarieux, Pioniere Del Zouk E Teorico Musicale Della Diaspora?

La scomparsa del musicista francese di origini caraibiche è una perdita dolorosa. Attraverso un approccio innovativo ha saputo unire l'Atlantico Nero come pochз.

di Giulio Pecci - Pubblicato il 04/08/2021
Jacob Desvarieux. Foto via facebook.com/kassavofficiel

Jacob Desvarieux, co-fondatore della band Kassav’ è uno dei musicisti più influenti e riconoscibili della musica caraibica di ogni tempo, è morto in Guadalupe a 65 anni, venerdì 30 Luglio, a causa di complicazioni dovute al COVID.

Desvarieux era nato a Parigi e aveva studiato chitarra ispirato da miti afroamericani come Jimi Hendrix e Chuck Berry. Passò la sua infanzia e giovinezza tra i Caraibi e Dakar, in Senegal, un luogo cui rimarrà sempre legato intensamente. Nel 1979 è proprio a Parigi che il chitarrista fondò i Kassav’ insieme a Pierre-Edouard Décimus. Una band il cui scopo dichiarato era quello di sintetizzare un moderno suono caraibico, prendendo spunto dalle musiche tradizionali delle varie isole. In primis Guadalupe e Martinica (la band utilizzava anche lo specifico creolo francese delle due) ma anche Haiti, unendole a tendenze come funk, disco e strumentazioni innovative per l’epoca—i nuovi sintetizzatori ed effetti digitali.

Da sinistra: Jocelyne Beroard (1954), Jean-Philippe Marthély (1958), Patrick Saint Eloi (1958-2010) Georges Decimus (1955), Jean Claude Naimraud (1951) e Jacob Desvarieux (21 novembre 1955-20 luglio 2021). Foto via Facebook/Kassavofficiel

Nacque così il zouk: “volevamo trovare una colonna sonora che combinasse tutte le precedenti tradizioni e suoni (caraibici), ma che fosse esportabile ovunque […] Abbiamo messo in dubbio le nostre origini attraverso la nostra musica. Cosa ci facevamo qui, noi che eravamo Nerз e parlavamo francese?” come detto una volta da lui stesso al quotidiano francese Liberation. Una ricerca musicale ed umana all’interno della diaspora africana che è finita per essere influente, amata e rispettata globalmente: dall’Africa al Sud America, passando per l’Europa francofona e non solo. Ma che in primis fu strumento quasi inedito di orgoglio e appartenenza culturale per le Antille Francesi, soprattutto grazie all’uso del creolo per le liriche dei brani.

Per addentrarsi e comprendere il genio innovativo di Desvarieux come compositore e chitarrista, un buon punto di partenza è proprio (l’omonimo) brano d’apertura del primo album dei Kassav’. Una cavalcata irrefrenabile a metà tra il funk ed i ritmi e le atmosfere prese direttamente dalle tradizioni carnevalesche caraibiche. Per tutto il brano la sua chitarra accompagna impeccabilmente con riff funk irresistibili. Alla metà esatta del pezzo invece si lancia in un assolo di grandissimo gusto, palesemente ispirato, per sonorità e fraseggio, ai bluesmen d’oltreoceano—B.B. King su tutti.

Il rapporto con il blues è stato una costante della sua carriera, e da chitarrista non poteva essere altrimenti. In una bella intervista per Pan African Music ha raccontato di come il genere “è un modo per trasmettere le nostre emozioni, per raccontare le nostre esperienze. Quando ascolto la musica che facciamo nelle Indie Occidentali, specialmente con i Kassav’, per me è blues. Quando parliamo del blues, parliamo degli schiavi nei campi di cotone. Nei campi di cotone in America, come nei campi di canna da zucchero delle Indie Occidentali, gli schiavi dovevano inventare la musica per dimenticare il dolore. Abbiamo vissuto la stessa storia, una sofferenza impensabile.” Un blues creolo che, come tutti i suoi sforzi creativi, ne aveva al centro uno intellettuale preciso, realizzato in modo impeccabile: l’indagine sull’identità diasporica africana, vero leitmotiv della sua carriera.

Lo splendido album dal vivo Nanm Kann uscito nel 2020, l’ultima pubblicazione in vita, ripercorre questa indagine. Ogni brano dell’album è un manifesto di quest’attitudine; Karneval Blues però, a partire dal titolo, è forse l’epitome del tutto: tra Fort-de-France e Chicago, la Guadalupe e il Mississippi, lo spirito dionisiaco del carnevale caraibico e quello più malinconico ma altrettanto intriso di vitalità di un assolo di chitarra blues. Allo stile peculiare sullo strumento poi si univa una voce unica: tutta sbilanciata sui bassi e sui medi, con una cadenza irregolare ipnotizzante, a metà tra il cantato e lo spoken word—arricchita da un timbro che sapeva di miele speziato.

Subito prima dell’inizio della pandemia, nel 2019 i Kassav’ hanno fatto in tempo a celebrare i quarant’anni dal loro omonimo album di debutto, dopo una carriera che conta più di cinquanta album ufficiali all’atttivo. Su YouTube è disponibile il concerto integrale di due ore tenutosi l’11 maggio, in un’Arena Paris La Défense completamente sold out e in un’atmosfera di festa contagiosa. Dal pubblico a più riprese vengono mostrate bandiere da ogni angolo del globo, testimoni perfette del livello di popolarità viscerale raggiunto dalla band.

Il dispiacere per la scomparsa di Desvarieux è stato trasversale: parole di cordoglio sono arrivate dal presidente francese Macron e dai musicisti di mezzo mondo, come Angélique Kidjo, che ha twittato: RIP #JacobDesvarieux, il tuo genio musicale mi ha influenzata molto e poche persone sanno che hai suonato la tua chitarra su molte canzoni di Fifa, Akwaba. Hai avvicinato le Indie Occidentali all’Africa in un modo umano e musicale. È un enrome traguardo”; Gaël Faye, che ha scritto: Dobbiamo così tanto ai Kassav’, la più grande band francese di musica. Dobbiamo così tanto a Jacob Desvarieux. Provo una profonda tristezza nel sapere che se ne è andato. Gratitudine infinita.” E dalla leggenda della musica senegalese Youssou N’Dour, che in un tweet ne ha sottolineato il prezioso ruolo svolto nel riunire l’esperienza delle Antille e quella Africana: “Le Antille, l’Africa e la musica perdono uno dei più grandi ambasciatori. Jacob, grazie alla tua arte hai avvicinato le Antille all’Africa. Dakar, dove hai vissuto, ti piange. Addio amico.”

L’importanza di Desvarieux, dei Kassav’ e del zouk sta tutta qui; in questa capacità di ibridazione che diventa linguaggio musicale creolo. Inconfutabilmente caraibico, ma con le braccia spalancate verso tutta la diaspora africana, e non solo.

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Classe ‘96, laureato in Lettere, scrivo di musica e cultura in giro, organizzo rassegne, sono DJ, e mi nutro di black music, jazz, elettronica, hip-hop, afrobeat e tanto altro.