I Mondi Onirici E Transculturali Di Noura Tafeche In Mostra A Milano

di Claudia Galal - Pubblicato il 29/01/2018
Foto di (c) Claudia Galal

È fine gennaio, Milano ci regala qualche tiepida giornata di bel tempo prima degli ultimi colpi di gelo. Trovo Noura Tafeche, giovane artista italo-palestinese, seduta al tavolo da lavoro e circondata da matite colorate e altri ferri del mestiere, intenta a ultimare un disegno pieno di figure e personaggi, che la luce del sole rende ancora più vivi e brillanti.

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Particolare di Trionfo di Bacco e Arianna, di Noura Tafeche – Foto di Claudia Galal

Non vedo l’ora di tuffarmi in una lunga chiacchierata: conosco Noura da qualche anno, ma ci incrociamo sempre di fretta e non abbiamo mai abbastanza tempo per raccontarci tutto quello che vorremmo. Finalmente ho l’occasione per approfondire temi e argomenti della sua profonda visione dell’arte.

GRIOT: Cominciamo dall’inizio. Qual è stato il tuo percorso di formazione artistica?

La scintilla che ha fatto nascere il mio amore per il disegno è scattata quando avevo solo tre anni. La mia famiglia stava traslocando in un appartamento più grande e i miei genitori mi permisero di dipingere e disegnare su tutti i muri della nuova casa, prima di imbiancarli. Per almeno sei mesi ebbi a mia disposizione enormi pareti bianche da riempire, e mio padre, che aveva avuto quell’idea involontariamente pedagogica, decise di conservare il disegno che gli era piaciuto di più: un piccolo ritratto di famiglia, che incorniciò direttamente sul muro.

Poi mi sono diplomata al liceo artistico e mi sono laureata all’Accademia di Brera in Nuove tecnologie per l’arte, un corso che mi ha dato tantissimi stimoli, nonostante non mi abbia mai fatto prendere in mano una matita. Ho avuto la fortuna di avere come docente Antonio Caronia, che purtroppo è scomparso qualche anno fa. In quegli anni ho scoperto la profonda intersezione tra arte e tecnologia e ho conosciuto anche alcune interessanti visioni politiche, come la critica ai sistemi di comunicazione di massa, il contrasto al controllo e alla sorveglianza, la comunicazione-guerriglia. Mi si è aperto un mondo fatto di gioco, attivismo, arte e politica, che non mi ha più abbandonato: nei miei disegni c’è sempre un messaggio politico, un pensiero su quello che accade nella società.

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Foto di Claudia Galal

Pensi che un artista debba avere la libertà di assumersi un ruolo sociale e politico, o la vedi come una caratteristica intrinseca dell’arte stessa?

Credo che sia la sensibilità dell’artista a spingerlo a esprimere un messaggio politico, ma non è necessario. Per quanto mi riguarda, l’elemento politico è imprescindibile, in parte per la storia della mia famiglia. Mio padre è di origine palestinese, la resistenza è un concetto inevitabilmente ricorrente.

Sono sempre stata molto legata alla parola “artivismo”, da quando ho frequentato gli incontri di AHA: Activism-Hacking-Artivism, un progetto di networking artistico, ideato da Tatiana Bazzichelli alla fine del 2001. I concetti principali di AHA, sono Activism (attivismo politico), Hacking (attivismo tecnologico) e Artivism (attivismo artistico).

I tuoi disegni sono sempre molto articolati e ricchi di elementi. Come descriveresti il tuo lavoro?

Non amo le definizioni, ho dei problemi ad autodeterminarmi come artista, a volte anche tra gli amici. Anche se ogni mio disegno ha una spiegazione ed è il frutto di una ricerca, spesso anche molto lunga, che può essere antropologica, botanica, linguistica o culturale in senso ampio. Mi preoccupo sempre di spiegare quello che ho disegnato e di lasciare una testimonianza in qualche modo per raccontare quello che c’è alla base del disegno.

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Particolare di Trionfo di Bacco e Arianna, di Noura Tafeche – Foto di Claudia Galal

Lo faccio perché mi piacerebbe portare il disegno a un altro livello, vorrei che diventasse un’esperienza simile alla lettura di un libro, che continua nel tempo, prosegue in avanti, mentre siamo abituati a considerare l’osservazione di un quadro, di un dipinto o di un’illustrazione come un’esperienza di breve durata. Vorrei che ogni mio disegno non fosse considerato una cosa piatta appesa al muro o stesa su un tavolo, ma che mettesse in moto pensieri e connessioni all’infinito, facendo emergere l’aspetto narrativo e la pluridimensionalità.

Per esempio, Surveillance Kawaii è un disegno apparentemente fresco e floreale ma, in realtà, cela una sorta di fiaba con messaggi subliminali sulla società del controllo. Include un QR-code al quale puoi accedere con lo smartphone per leggere la storia, così offro la mia opinione su questo tema senza trattarlo con le solite estetiche buie e pesanti, ma nascondendolo dietro qualcosa di dolce e grazioso come i fiori. Faccio spesso questi camouflage per spiazzare l’osservatore o creare maggiore interesse.

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Surveillance Kawaii su stoffa, di Noura Tafeche – scopri di più

Le tue opere sono sempre piene di personaggi, ma chi sono?

I miei disegni prendono sempre ispirazione da affreschi del Barocco o del Rinascimento, perché la forza compositiva delle opere di Raffaello e dei suoi coevi è incredibile. Prendo questi enormi affreschi, solitamente affollati, e li miniaturizzo, sviluppandoli in base ai temi che per brevità posso raccogliere con il termine “transculturalismo”.

Si tratta di unire e fondere nel disegno culture già esistenti – stili di vita, linguaggi, usi, tradizioni, tessuti eccetera – per creare nuovi linguaggi, nuovi sistemi culturali ed esprimere concetti come la condivisione dei saperi e la conoscenza reciproca.

C’è un autore, il poeta martinicano Edouard Glissant, che sento in armonia con il mio pensiero e riprende il concetto di rhizoma da Gilles Deleuze e Félix Guattari, ovvero la capacità delle culture di continuare a espandersi e intrecciarsi le une con le altre, proprio come le radici delle piante. Nei miei disegni queste relazioni avvengono in maniera naturale, perciò se c’è una persona albina o una persona con i capelli rossi, questa non è lì per creare una forzatura, ma semplicemente in quanto esiste.

A volte inserisco personaggi reali. Per esempio, in Trionfo di Bacco e Arianna c’è Boa Sr, una donna delle Isole Andamane, l’ultima discendente di una delle più antiche culture della Terra, scomparsa qualche anno fa a 85 anni.

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Trionfo di Bacco e Arianna, di Noura Tafeche – Per gentile concessione dell’artista – scopri di più

Era l’unica rimasta a parlare il “bo”, una delle dieci lingue dei Grandi Andamanesi. La sua storia mi ha talmente colpito che ho voluto ricordarla, inserendola in un disegno. L’opera si rifà al Trionfo di Bacco e Arianna di Annibale Carracci, conservata a Villa Farnese a Roma, mantenendo soltanto il titolo, il concetto di trionfo e la composizione e stravolgendo i significati delle figure rappresentate.

Quali sono gli artisti che ami di più? E che cosa ti influenza?

I fratelli Carracci, Michelangelo e Caravaggio, del quale però non riproduco mai le opere, perché si tratta di ritratti o composizioni con pochi personaggi. Amo gli affreschi affollati, perché mi danno la possibilità di reinterpretare a modo mio la struttura e la composizione già inventate da un altro artista, avendo a disposizione una marea di personaggi da reinventare.

Fra i contemporanei mi commuove Grayson Perry, che utilizza il travestitismo, le ceramiche e gli arazzi come tecniche di espressione. Però, mi influenzano anche registi e musicisti, come David Lynch o Björk, che sono riusciti a inventarsi dei mondi, altre dimensioni. E attribuisco una grandissima importanza ai sogni, alla mia produzione onirica, e alle relazioni umane.

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Aurora, di Noura Tafeche – Per gentile concessione dell’artista – scopri di più

L’arte per te è uno strumento di ricerca antropologica?

Occasionalmente è ricerca antropologica, altre volte è linguistica o botanica. Studio e approfondisco sempre tantissimo i temi che m’interessano e trovo incredibile quante cose l’umanità sia riuscita a inventare, dagli alfabeti alle tecniche per tingere i tessuti, dagli usi e costumi alle abitudini alimentari. Ciascuna cultura ha qualcosa da dire e ha una valore fondamentale, ma soprattutto è in relazione continua con le altre.

La vera costante del tuo lavoro è la tecnica: carta e matite.

Sì, utilizzo sempre questi strumenti, perché mi permettono di veicolare la fragilità delle mie opere. Amo la matita e il disegno anche per l’esperienza tattile che mi fanno provare e per la posizione che mi costringono ad assumere: chinata, con il collo sempre piegato.

Mi è anche capitato di stampare su tessuto, perché mi piaceva l’idea di portare in giro un disegno, con tutta la sua storia, su una fibra che non si deteriora come la carta. Il tessuto parla tantissimo in tutto il mondo, vale per il wax in alcune culture africane o per i Dream Weavers della cultura T’Boli delle Filippine, che raccontano i loro sogni sul tessuto T’nalak. Nella cultura palestinese il ricamo su tessuto è un importante mezzo di resistenza.

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Particolare di Trionfo di Bacco e Arianna, di Noura Tafeche – Foto di Claudia Galal

Pensi che l’arte possa avere un ruolo nella questione palestinese?

È fondamentale. Uno dei più gravi danni che ha subito la popolazione palestinese a causa dell’occupazione israeliana è stato il furto della cultura e della storia. La cultura è ciò che si ricorda di un popolo e della sua storia: derubando il popolo palestinese dell’arte, della cultura e delle tradizioni, gli si sottrae la possibilità di essere ricordato.

Il 5 febbraio inaugura la tua prima mostra personale, Ramè, al Colibrì di Milano. Che cosa potremo vedere?

La mostra raccoglie la mia produzione dal 2014 a oggi, circa una ventina di opere sul tema del transculturalismo che ho racchiuso nel titolo Ramè. In lingua balinese significa “caos gioioso” e indica l’approccio dei balinesi verso la vita e gli altri, un trasporto emotivo così carico e vitale da essere quasi asfissiante. Si potrebbe pensare che sia un numero ristretto di disegni, ma io impiego moltissimo tempo per fare ricerca e per disegnare, così la realizzazione di un’opera può anche durare un anno. D’altronde si tratta soprattutto di miniature e quindi devo necessariamente appuntire continuamente la matita.

L’appuntamento con Noura Tafeche è per il vernissage della mostra ‘Ramè’ (dalle h 18 alle 22) al caffè letterario Colibrì di Milano (via Laghetto 9/11). I suoi disegni resteranno in esposizione fino al 17 marzo. Trovate maggiori info sulla mostra qui.

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Metà italiana, metà egiziana, nata e cresciuta nelle Marche, passata per Bologna, adottata da Milano, lavoro nel campo della comunicazione e dei media. Scrivo di musica, street art e controculture, sono affascinata dalla contaminazione culturale a tutti i livelli.