Interfacciarsi Al Buio: Curva Cieca Di Muna Mussie

Se chiudo gli occhi e cerco di definire la mia immagine, cosa vedo?
È a partire da questa domanda che ha preso corpo l’ultima creazione di Muna Mussie, Curva Cieca, che dopo il debutto a Short Theatre 2021, verrà presentata il 10, 11 e 12 Dicembre a Milano negli spazi di Zona K.
Muna Mussie è artista bolognese di origine eritrea, una “identità doppia per provenienza e adozione” la cui indagine fa da fulcro alla sua ricerca. Così Curva Cieca, che ha per protagonista la lingua tigrigna, sua lingua materna, a cui l’artista si è però affacciata solo di recente, grazie all’incontro con Filmon Yemane, ragazzo eritreo non vedente dalla giovane età. La performance si presenta come una lezione, guidata dalla voce e dalla rara sensibilità culturale di Yemane, da un vecchio abbecedario tigrino che viene sfogliato in video e dalla corporeità spettrale e bifronte di Mussie, i cui gesti rilanciano le libere associazioni di parole, detti popolari e riflessioni, tanto intime quanto politiche e filosofiche, che si vengono generando a partire dagli input forniti dal libro.

Nel “dispositivo metadidattico” di Curva Cieca, Mussie sembra aver trovato una nuova sintesi del suo percorso di ricerca, sono molti gli elementi ricorrenti nel suo lavoro che ritornano anche in quest’ultima produzione, mettendone in luce la capacità di attraversare sempre nuove traiettorie espressive e di senso, seppur mantenendo una evidente continuità. Le sue performance sono caratterizzate da un’interpretazione ridotta e raffinata della presenza scenica, in cui apparati molto semplici, diretti, lasciano spazio a una gestualità familiare eppure carica di intensità straniante. Movimenti finalizzati, che entrano in relazione con la parola, l’immagine e il segno, ma anche con gli oggetti che costellano solitamente la scena, presenze singolari e allusive, spesso legate alla dimensione del gioco come corde, palline e adesivi, che sembrano fungere da catalizzatori di ulteriori stratificazioni di senso.
Immagine protagonista di Curva Cieca è una corda verde acceso, che viene tesa da Mussie in apertura dello spettacolo, solcando longitudinalmente lo spazio scenico. Un segno che fa subito pensare tanto a una traccia di confine quanto a un filo della memoria, chiamando in causa l’inevitabile legame tra l’interrogazione delle proprie radici linguistiche e la tematica politica, secondo un intreccio che caratterizza molta della sua opera.

La ricerca artistica di Mussie si distingue infatti per la disposizione a situare nei territori privati dell’autobiografia gli aspetti più analitici della sua pratica. Non è rara la presenza nelle sue performance di riferimenti al mondo dell’infanzia e il parallelo coinvolgimento di affetti familiari, come la nonna Milite Ogbazghi, evocata qui nell’abbecedario che ha regalato all’artista e presenza ricorrente nel suo lavoro. Basti pensare a Milite Ignoto, progetto performativo che indaga il portato e la storia coloniale dell’Italia a partire dalla coincidenza dell’omonimia tra il monumento e il nome della nonna materna, e che come in Curva Cieca esplora una questione tanto personale quanto socio-politica attraverso una metafora visiva, in quell’occasione la diplopia. Non è un caso che in un recente testo/manifesto pubblicato insieme a Mussie, Autodifesa psichedelica, Simone Frangi individui proprio in Milite Ignoto l’inizio di un “percorso di stregoneria resistente”, in cui la dimensione biografico-affettiva si trasfigura in metodologia critica e tattica politica.
Il filo teso sul palco sembra inoltre richiamare la centralità che il ricamo trova nella sua produzione performativa e visiva, come Punteggiatura, libro in tessuto creato per Atlas of Transitions Biennale 2018 insieme a donne provenienti da diversi paesi del mondo, strategia di riscrittura collettiva della memoria storica e personale mirata a contro-effettuare disequilibri coloniali e di genere. Una processualità condivisa che ritorna anche nel recente progetto Oblio, realizzato in occasione di Memory Matters per Biennale Democrazia 2021, un’installazione live o, per dirla con Mussie, un “anti-monumento” in tessuto su cui viene costantemente ricamata e disfatta la parola “OBLIO”. Quello della tessitura, è un tema che attraversa anche diverse creazioni in solo, dalla mostra Bologna St. 173 presentata ad Archivesites Milano, incentrata sulle testimonianze del congresso E.F.L.E. (Eritrea per la liberazione in Europa) tenutosi a Bologna negli anni della lotta per l’indipendenza dall’Etiopia, alla performance Curva, per me la prima occasione di assistere a un lavoro di Mussie negli spazi bolognesi di Xing, dove la macchina da cucire si fa traccia sonora che intreccia la scrittura performativa. Come suggerisce la vicinanza tra i titoli, le due opere si richiamano, è infatti a partire da quel lavoro che è emersa nell’artista la percezione di una cecità nei confronti della propria immagine, quindi la necessità di interrogare tale “mancanza”.
Curva Cieca si apre con l’ingresso in scena dell’artista, o meglio, di un’entità fantasmatica: vestita di bianco, ha un’acconciatura di trecce verdi, identiche alla corda che tende da un lato all’altro del palco, e il viso coperto da una maschera, che si raddoppia anche in nuca, un calco bianco del proprio volto che ne neutralizza le fattezze e con esse qualsiasi tensione razzializzante. È uno spettro a due facce, che attraversa la scena lentamente, dividendola in due: dietro, l’interrogazione della propria lingua materna, il video in cui si vedono sfogliare le pagine del libro; mentre davanti, la posizione da cui l’artista vi si può affacciare, il luogo in cui le immagini mentali evocate dalla voce di Yemane si rispecchiano nella coreografia di movimenti semplici eppure occulti di Mussie e nei pochi oggetti che si manifestano in scena: una matassa dello stesso filo, due sfere luminose—una verde e solitaria, l’altra cangiante e accolta nel nido di corda—e uno speaker, che rilancia una canzone di festa.
La performance si articola temporalmente seguendo lo scorrere del libro, fermandosi su alcune parole e accelerando su altre, come se al pubblico fosse concesso di accedere a una condensazione degli scambi che nei mesi l’artista ha avuto con il proprio insegnante. A partire dalle icone di animali e oggetti di casa, che com’è tipico degli abbecedari servono ad aiutare la memorizzazione delle parole, Mussie invita Yemane a un gioco di scarti linguistici, un percorso attraverso le radici della grammatica ge’ez da cui si vengono a comporre delle brevi lezioni di fenomenologia e filosofia politica: dalla pecora alla luce, dall’orologio all’immagine, dal libro al volto, dal limone al silenzio.

Durante la lezione, Mussie entra ed esce dallo spazio visibile di continuo, seguendo e contemporaneamente tessendo il filo del discorso con il filo teso lungo il palco. L’effetto è reso ancor più straniante dal suo volgersi alternativamente al video e al pubblico, mostrando una o l’altra faccia e mettendo in scena una danza cieca, di spalle, la cui resa appare calcolata nei minimi dettagli, al punto che nel tempo della performance si perde spesso la cognizione del suo posizionamento. La scrittura performativa segue le libere associazioni tracciate dalla voce di Yemane, tanto l’assetto della scena quanto la maschera bianca, neutra, l’immagine vuota indossata da Mussie appaiono ricevere le sue riflessioni, come se man mano la lingua tigrigna si infiltrasse nell’originale mancanza. I temi paralleli della lingua e della visione sono analizzati attraverso sempre nuove immagini, aprendo anche alla loro relazione con la corporeità e facendosi sempre più intime, fino a toccare sul vivo la cecità e la posizione che in essa occupa l’immagine di sé e il riconoscimento dell’altro da sé. Una fenomenologia del buio che insiste sull’interpretazione del confine come spazio di soglia, simbolizzata dalla figura del volto.

Curva Cieca appare come una sintesi, un momento di riflessione da parte di Muna Mussie sulla propria ricerca artistica, non solo perché nel suo lavoro la sfera discorsiva e quella affettiva collidono, mettendo in luce i nodi politici inscritti tra le trame del vissuto e aprendo quindi a corrispondenze e suggestioni riconoscibili in precedenti opere. Ma anche per le modalità con cui tale dimensione si rispecchia nell’interrogazione dello stesso fare artistico. L’atto performativo è un atto dell’esporsi e il tema del vuoto d’immagine al centro di Curva Cieca, intimamente connesso alla natura “doppia” della propria identità culturale, diventa strumento d’indagine anche della pratica artistica in sé. Se da tempo viene riconosciuta alle sue performance la peculiarità di fare dello spazio scenico un luogo di “interiorità esteriorizzata”, la corda verde di Curva Cieca, tesa da un lato all’altro del palco, non appare solo come un figura del confine e filo dell’indagine genealogica, ma anche linea guida, al pari degli insegnamenti di Filmon Yemane, per quando quello spazio di rappresentazione si rende problematico, perché di colpo abitato da “uno specchio cieco, una mancanza”.
– Paolo Gabriotti
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