
Da Bob Marley a Peter Tosh: il sound giamaicano diventa un tesoro culturale delle Nazioni Unite per aver «contribuito al dibattito internazionale su ingiustizia, resistenza, amore e umanità».
L’Unesco, l’agenzia culturale e scientifica delle Nazioni Unite, oggi ha aggiunto la musica reggae alla sua lista di tesori culturali globali, affermando che la sua popolarità in tutto il mondo “continua a rappresentare una voce per tutti”.
Una decisione che ci rende felici e in questo la Giamaica ha un ruolo centrale per aver spinto affinchè questa ricca tradizione musicale, che ha toccato comunità di persone in tutto il mondo, fosse considerata “patrimonio culturale immateriale” e, come tale, protetta dall’UNESCO.
In vista del voto, il ministro della cultura giamaicana Olivia Grange ha dichiarato il ruolo che ha avuto la Giamaica, aggiungendo: “È una musica che abbiamo creato che è penetrata in tutti gli angoli del mondo.”
Il reggae è nato in Giamaica alla fine degli anni ’60, fondendo i generi ska giamaicano e rocksteady con il blues e il jazz. Canzoni di questo genere trattavano spesso questioni socio-politiche, tra cui disuguaglianza, brutalità e imprigionamento da parte della polizia.
“This morning I woke up in a curfew / Oh God, I was a prisoner too / Could not recognize the faces standing over me / They were all dressed in uniforms of brutality,” cantava Bob Marley nella traccia del 1973 “Burnin’ and lootin‘.”
Molte altre canzoni della tradizione reggae hanno anche esaltato la pace, l’unità e la positività, come One love, di Marley, e Sing a little song, di Desmond Dekker.
Immagine di copertina | Bob Marley in concerto a Dalymount Park, 6 luglio 1980 – via Wikimedia
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