“Il Modello Nero. Da Géricault A Matisse” è La Mostra Di Cui C’era Bisogno

Circa un mese fa, scrollando la mia timeline facebook, mi sono imbattuta in una immagine di un quadro che negli ultimi anni avrò visto almeno una decina di volte, compreso un primo incontro durante la mia visita al Museo del Louvre. Il quadro in questione era Ritratto di una donna nera, un pezzo del 1800 realizzato da Marie-Guillemine Benoist. Non è un quadro poco noto, non è un quadro conosciutissimo ai più, forse osservato di corsa, perchè inserito nella lista delle “cose da vedere” quando si fa una tre giorni a Parigi che comprende anche il Louvre. Sicuramente il video Apeshit, di Beyoncé e Jay Z, ha contribuito a diffondere quel volto e corpo di donna nella cultura pop, raggiungendo masse di persone che non ne conoscevano l’esistenza.
Era Ritratto di una donna nera. “Era” perchè il presente è stato in parte riscritto, finalmente. Oggi, a distanza di duecento anni, è Ritratto di Madelaine. Il presente ha restituito alla donna raffigurata, e a moltissime altre donne e uomini neri presenti in altre opere di arte moderna, quella dignità, quel posto all’interno della società che la proprietà di un nome può contribuire a riconoscere. “C’era la presenza di persone nere nei circoli d’avanguardia, quando gli artisti sfidavano le convenzioni e la socializzazione interraziale al tempo era un tabù,” dice la Murrel. “Per più di 200 anni nessuno aveva condotto una ricerca approfondita per scoprire chi fosse quella donna, un fatto che al tempo era stato documentato,” aggiunge.

Lei si chiama Madelaine. I più meticolosi potrebbero suggerire che quel nome non era—o non sarebbe stato—il suo vero nome, aprendo nei nostri viaggi nel passato quell’idea di rapporto di potere tra individui uguali ma diversi, dove uno soggioga l’altro. Un nome altro, assimilato e dato, quindi. Oppure un nome imposto da un padrone e da una padrona alla loro schiava (prima di lavorare come donna libera nella casa del cognato di Benoit, Madelaine, che veniva dalla Guadalupa, era una schiava). Credo che il lavoro di ricerca svolto dalla studiosa e storica afroamericana Denise Murrell sia il certosismo su cui soffermarsi e di cui c’era bisogno, nella nostra fragilità di esseri umani alla continua ricerca di risposte e soluzioni. Un lavoro che rappresenta un nuovo traguardo e sguardo verso la ricostruzione e definizione di storie che hanno ancora effetti significativi e visibili nella nostra contemporaneità, ma che, allo stesso tempo, possono contribuire a equlibrarla.

Naturalmente non c’è solo Madelaine tra i tesori ri-costruiti e svelati che Murrel, curatrice, porta nella mostra Il Modello nero. Da Géricault a Matisse. Ci sono tante altre figure che hanno ispirato e completato meravigliose opere d’arte, come “Olympia“, di Edouard Manet, dove sullo sfondo, oscurata, quasi invisibile, c’è Laure, la donna di servizio. C’è poi La zattera della Medusa, di Théodore Géricault, pittore a favore dell’abolizione della schiavitù, in cui troviamo la figura eroica di Joseph. E che dire di nomi di figure più note, o per lo meno i loro lavori? È il caso dello scrittore, maestro del romanzo storico e del teatro romantico Alexandre Dumas, autore, tra le tante opere letterarie, de Il conte di Monte Cristo, della trilogia de I tre Moschettieri, figlio di un generale rivoluzionario francese e di una schiava africana di Haiti. C’è poi la cantante cubana Maria Martinez. C’è il ritratto realizzato da Manet di Jeanne Duval, un’altra donna haitiana-francese di discendenza africana, amante e musa di Baudelaire.

Più di 300 opere in mostra che raffigurano ed esaltano persone nere e meticce nell’arte francese. Adottando un approccio multidisciplinare, tra storia dell’arte e storia delle idee, la mostra si concentra sulle problematiche estetiche, politiche, sociali e razziali, oltre che sull’immaginario sotteso alla rappresentazione delle figure nere nelle arti visive, dall’abolizione della schiavitù in Francia (1794) fino ai nostri giorni, si legge in una nota.
Pur offrendo una prospettiva d’insieme, Il Modello nero. Da Géricault a Matisse si sofferma su tre periodi cruciali: l’era dell’abolizione della schiavitù (1794-1848), il periodo della Nuova pittura fino alla scoperta, da parte di Matisse, del Rinascimento di Harlem e, infine, i primordi delle avanguardie novecentesche e le successive generazioni di artisti post-bellici e contemporanei.

La mostra si interessa soprattutto alla questione del modello e quindi al dialogo tra l’artista che dipinge, scolpisce, incide o fotografa e il modello che posa. Nello specifico, è esplorato il modo in cui evolve la rappresentazione dei soggetti neri nelle principali opere di Théodore Géricault, Charles Cordier, Jean-Baptiste Carpeaux, Edouard Manet, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Henri Matisse, come pure nelle fotografie di Nadar e Carjat.
Inaugurata il 26 marzo, la mostra ha visto la sua prima luce, in forma molto più ridotta, lo scorso anno alla galleria d’arte Wallach di New York, ispirata alla tesi di dottorato di Denise Murrel. Se volete fare un bel salto immersivo in questa grande e necessaria porzione di storia svelata, avete tempo fino al 21 luglio per visitarla, al Museo d’Orsay di Parigi.
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Immagine di copertina | Olympia (1863), di Édouard Manet, via
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Johanne Affricot
Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente, fondatrice e direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.