Iké Udé | L’anarchico Sartoriale Che Celebra La Bellezza Di Nollywood

di Johanne Affricot - Pubblicato il 27/09/2016
Iké Udé x GRIOT (c) Marco Brunelli -  Iké's studio | (c) Marco Brunelli | All the other images | Courtesy of the artist

Entrare nello studio di un artista è un evento che qualsiasi individuo dovrebbe considerare come unico e irripetibile. Potrebbe sembrare un’affermazione esagerata ma non appena ho messo piede nel mondo di Iké Udé, sono stata subito investita da un alone di sacralità e magia, da bisbigli e sussurri.

Scarpe, tessuti, parrucche, vestiti, oggetti e cimili vari, erano lì, tutti intorno a me, ansiosi di interpretare il ruolo di protagonisti nelle storie che il loro papà si sarebbe apprestato a raccontare al nuovo ospite appena arrivato. “Queste scarpe azzurre?” – “Queste scarpe sono del 1909/1910. Sono scarpe da uomo. Mi piacciono molto perchè non sono associate a quelle che oggi sono considerate scarpe da uomo. Le ho usate in uno degli autoritratti del mio progetto ‘Sartorial Anarchy [Style & Sympathies] mentre la giacca che indosso è stata realizzata con una stoffa di tapezzeria degli anni ’40 con motivi che raffigurano degli uccelli. Ho disegnato il modello e l’ho portata dal mio sarto nigeriano. È un pezzo unico.”
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“Questo invece è un ferro da stiro. Di quelli a carbone. È un ricordo a cui sono molto legato.”

griot-mag-ike-ude-nollywood-portraits-and-sartorial-anarchist - ©marco-brunelli
Quando parlo di sacralità non credo di sbagliare perchè lo studio di Udé è molto più del luogo in cui crea: “Il mio studio è il centro della mia creatività e anche la mia ragione di vita. È tutto per me. È mia moglie, la mia musa, la mia amante e il mio universo in egual misura.” È qui infatti che l’artista nigeriano-americano ha realizzato “Sartorial Anarchy” l’acclamatissima serie di (auto)ritratti piena di colori, tessuti sontuosi, capi e oggetti, in cui la sua idea di “promiscuità culturale” prende forma. Una promiscuità che accompagna la mente in un viaggio elettrizzante che attraversa diversi continenti e diverse epoche. Un viaggio che racconta momenti ed esperienze di vita reali che Udé ha articolato in forma visiva nelle sue fotografie “Quei capelli sono una riproduzione di una parrucca stile Macaroni.” – “Macaroni?” – “Sì, è un movimento nato intorno al 1770 da giovani gentlemen inglesi che avevano viaggiato in Italia. Quando tornarono in Inghilterra tutti li guardavano con stupore. Di solito queste parrucche erano accessori che portavano le donne ma come ti dicevo le indossavano anche gli uomini e in cima ci mettevano un copricapo molto piccolo.”

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Sartorial Anarchy #5

Sfogliando il suo catalogo, seduti attorno a un tavolo con un calice di vino rosso in mano [rigorosamente italiano e scelto da me in un’enoteca di Chelsea alla 23rd st e qualcosa] si capisce subito che non si tratta di un semplice volume di autoritratti ma di un prezioso manuale di storia: “Ho usato capi e oggetti provenienti da epoche e culture differenti e livellato il campo. Ho mischiato il cosidetto ‘esotico, etnico’ al cosidetto ‘civilizzato,’ disobbedendo alle regole geografiche e culturali, giocando con i codici e i simboli del vestire,” mi inizia a raccontare. “Tutto questo va ben oltre il concetto di ‘Moda’. Prada, Comme des Garçon, Paul Smith. Non sono particolarmente interessato a quel tipo di cose o alle persone che spendono un sacco di soldi per comprarli. Ovviamente possono essere molto eleganti e va bene. Io però utilizzo i vestiti come indicatori culturali. Sono interessato a capire perchè li usiamo, come li usiamo, quando li usiamo e dove li usiamo.”

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Sartorial Anarchy #32

Potrebbe sembrare strano ma nonostante i vestiti siano un’estensione della personalità di Udé, non ne è ossessionato [pensiero che ho condiviso con lui mentre girovagavo per il suo studio.] Anzi, una cosa che lo colpisce è “il lato fascista e tirannico legato al mondo dei vestiti.” Mi fa osservare l’atteggiamento ambivalente che abbiamo nei confronti del nostro corpo, l’assurdità di essere coperti con pezzi di stoffa sin dalla nascita e sul letto di morte. E il fatto che anche durante il caldo estivo siamo costretti a vestirci. “Se scendo nudo per strada, qualcuno chiamerà la polizia per farmi arrestare” – “Ti sentiresti a tuo agio nel girare nudo per strada?” – ” Se la società lo permettesse, credo di sì.” – “Ma i vestiti hanno un ruolo importante nella tua vita. Mi sembra di capire e vedere che sei una persona che ci tiene molto a come si veste,” gli faccio notare. “La cultura e la società insistono su questo fatto che dobbiamo vestirci dal momento in cui nasciamo al momento in cui moriamo. Resto sempre scioccato da questa idea, specialmente quando è estate. Ma alla luce di tutto ciò, di questa forzatura, se devo imporre al mio corpo la cultura e la moda, cerco di personalizzare, individualizzare e dare stile alla moda affinchè si adatti al mio temperamento artistico e alla mia inclinazione poetica.”

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Sartorial Anarchy #6

C’è da dire che questo suo temperamento artistico e visione poetica non sono passati inosservati, tanto che Vanity Fair nel 2009, 2012 e 2013 lo ha nominato tra le 100 personalità meglio vestite al mondo. Ma non chiamatelo trendsetter, come lo definisce qualcuno: “Penso sia un titolo molto stupido, che non mi rispecchia. Proprio come ‘fashion icon’.” Le persone che lo usano non sono persone profonde. Non è elegante da dire, soprattutto perchè amo la dimensione poetica di come usiamo gli abiti.”

Nollywood Portraits: A Radical Beauty | Una mostra, un documentario, un libro

Cresciuto a Lagos in una famiglia benestante, college britannico, Udé racconta di aver scoperto di essere diventato un artista all’età di sei anni, quando prese l’abitudine di tirare con la fionda contro i passanti che secondo lui non camminavano bene o non erano ben vestiti.

Sin da piccolo è stato esposto alla fotografia e all’arte del ritratto. Tutta la famiglia, infatti, ogni due settimane indossava gli abiti eleganti per andarsi a far fotografare negli studio di città. Ma negli anni ’80 decisero di lasciare il paese. “Perchè hai passato tutti questi anni lontano da casa?” gli chiedo. – “Alcuni criminali all’epoca presero il potere, saccheggirono la ricchezza del paese, distrussero sistematicamente la Nigeria e continuarono a farlo per tutto il tempo che sono stato via. Quindi me ne sono andato e sono diventato cittadino americano e newyorchese, e questo passaggio mi è calzato a pennello.”

Però a un certo punto è scattata in lui la voglia di tornare. Questa molla si chiama Nollywood, la seconda industria cinematografica più importante al mondo, con 2000 titoli in uscita ogni anno e un fatturato di $600 milioni. Prima di Hollywood e seconda a Bollywood.

Il termine Nollywood fu coniato a metà degli anni ’90 per descrivere la vibrante industria filmica della Nigeria [allora in piena dittattura], fatta di film prodotti nel paese, guardati in tutta l’Africa e, soprattutto, dagli africani nella diaspora. E anche qui in Italia si moltiplicano le case di produzione che offrono un’autorappresentazione senza filtri della comunità nigeriana in Italia. Un fenomeno interessante di cui ha parlato anche l’Espresso.

La caratteristica di Nollywood è che si tratta di un cinema veloce e a basso costo, che sfrutta i vantaggi economici offerti dal digitale, e allo stesso tempo incontra la richiesta di un continente affamato di storie autentiche che raccontino la realtà dei suoi luoghi. I suoi produttori sono privati che ricevono pochissimo supporto dal governo [se non inesistente] ma producono e distribuiscono film in tutto il continente, a dispetto delle carenze infrastutturali e barriere alla vendita: “Nollywood è autonomia, indipendenza. Nollywood sono persone che hanno una visione ammirabile, audace, coraggiosa e sfacciata di chi sono in qualità di nigeriani e africani. Persone che non ricevono nessun tipo di finanziamento. E questa è la cosa che amo di più di Nollywood. Questa attitudine punk del farsi le cose da soli. Del non essere controllati da nessuno,” mi confessa Udé. “Ovviamente ci sono anche casi in cui arrivano capitali stranieri che alla fine decidono che taglio dare al film. Ma allora non si tratta di Nollywood. Nollywood è altro.”

E così nel 2014, dopo aver trascorso tre decadi lontano da casa, Udé è tornato a Lagos e per due anni ha immortalato alcune delle più importanti personalità di Nollywood, tra registi, attori, attrici, produttori e presentatori televisivi. Tra questi la cantante, attrice e icona dello schermo Genevieve Nnaji; il veterano Richard Mofe-Damijo; il regista anticonformista Kule Afolayan, ma anche la prossima generazione di stelle in ascesa.

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Kunle Afolayan (2014-2016) – Iké Udé

Un viaggio durato due anni che mi sono voluta far raccontare bene.

GRIOT: Quando nel 2014 sei ritornato in Nigeria cosa hai provato?

Iké Udé: Quando sono tornato ho osservato e cercato accuratamente risorse artistice per i miei futuri lavori. Posso dirti che le mie sensazioni erano sintonizzate col ricercare materiali e soggetti da includere nella mia arte piuttosto che in qualcos’altro.

Questo progetto è focalizzato su Nollywood. Lo hai fatto perchè sentivi che come artista, nigeriano e africano era tuo dovere celebrarne la forza e la bellezza oppure perchè in qualche modo volevi alleviare la nostalgia provata nell’essere stato lontano per così tanto tempo?

Ho lasciato il paese nei primi anni ’80 per diverse ragioni, tra queste compiere altri studi. Anche se ho un temperamento artistico romantico, non sono per niente una persona nostalgica. Neanche in questo contesto. Non sono nemmeno un nazionalista, sebbene sia profondamente panafricano.

Ho visto che in Nigeria, in Africa stava succedendo qualcosa di grande e ho pensato ‘Sta succedendo qualcosa. Non è questa la reale narrativa dell’Africa che viaggia in direzione opposta rispetto alle memorie fantasiose e melodrammatiche scritte da Isak Dinsen? O rispetto a quell’odioso libro kitsch e di fantasia condito con la giusta dose di melodramma e voodoo che porta il nome di ‘Cuore di Tenebra,’ di Joseph Conrad? Nollywood probabilmente è la cosa più bella che viene dall’Africa dai tempi delle Piramidi, dei Faraoni e delle Regine. Ecco perchè ho focalizzato il mio interesse su questo progetto. E devo confessarti che è il lavoro più ambizioso in cui mi sia mai imbarcato da quando è inziata la mia carriera artistica.

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Linda Ejiofor (2014 – 2016) Iké Udé

Ironicamente però, a parte due ammirevoli nigeriani, Osahon Akpata, il responsabile del progetto, e Kalu Kalu Ugwuomo, colui che mi ha commissionato i ritratti [nonchè produttore del documentario presentato al recente Toronto International Film Festival, “Nollywood Focus”], non ho ricevuto alcun sostegno dal governo nigeriano o dal settore privato, così come ho ricevuto zero supporto dai governi africani e dai loro settori privati. Ma ne è valsa la pena, perchè si tratta di un nobile corso e non poteva andare meglio. Così facendo, vedo me stesso come una sorta di eroe omerico, un’altra volta come un eroe byroniano e un’altra ancora come un eroe Mandeliano.

https://www.youtube.com/watch?v=xxCTN_TAPzY

Nollywood Portraits: A Radical Beauty. Cosa significano per te ‘Radicale’ e ‘Bellezza’ quando parli di Nollywood?

La bellezza per me è sempre stata in assoluto il più profondo, il più durevole e il migliore agente di cambiamento, di immortalità, di atemporalità e quindi il più radicale di tutti gli agenti culturali e artistici. Sicuramente l’immagine e la bellezza dell’Africa sono state deturpate dal colonialismo occidentale e ironicamente dai quei buffi personaggi africani chiamati leader, che sono, tutti insieme, un’immisurabile e costante fonte di imbarazzo ed in più una pallida imitazione dei coloniasti, se non peggio di loro alle volte.

Il tuo lavoro precedente, Sartorial Anarchy, ruota intorno all’autoritratto, e la tua figura ha l’obiettivo di agire come simbolo culturale. Nel 2013, Artsy ha pubblicato una articolo in cui presentava i 10 maestri dell’autoritratto attraverso loro frasi. Tra questi c’eri anche te, accanto a nomi come Vincent Van Gogh, Rembrandt van Rijin, Egon Schiele, Frida Khalo, Andy Warhol, Yue Minjun. Per Nollywood hai fotografato diversi soggetti di diversa età e diverso genere. Quanto te hai visto in loro e quanto di loro hai visto in te?

Il sé esiste solo in relazione all’altro sé. Ognuno di noi rispecchia l’altro ed essenzialmente facciamo tutti parte della razza umana e dei gruppi sociali di cui questa è composta. Quindi sì, c’è molto di me che ho raccolto in tutti i soggetti raffigurati in Nollywood Portraits: loro sono me ed io sono loro. E come ritrattista che ama poeticizzare ed idealizzare ciascuno dei personaggi che ritrae, in loro vedo un’estensione di me stesso. Un’estensione dei miei autoritratti.

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The School of Nollywood (2014-2016,) ispirato al dipinto di Raffaello, La Scuola di Atente (1509) – Iké Udé

Tre titoli di Nollywood che consigli di vedere e perchè?

Non ho dei film preferiti e non sottoporrei il mio gusto a nessuno. Inoltre, non potrei farlo senza cura e non sono dentro quel genere di film fatti da Hollywood, Bollywood o Nollywood. Piuttosto sono interessato più alla loro potenzialità e al loro quoziente pop.

Un aforisma per i nostri lettori dal tuo libro in edizione limitata.

Ne ho sceltri tre.
1. La migliore arte aspira ad essere priva di significato così da risvegliare l’immaginazione ma senza lasciarsi andare.
2. Quando l’istinto di bellezza viene appagato, la fotografia non ha bisogno di una nota in più.
3. Rendere visibile la qualità poetica dell’essere in un ritratto è un grande traguardo.

La mostra al MoCP

Nollywood Portraits: A Radical Beauty intende sfidare la narrativa dominante su come vengono visti gli africani fuori dall’Africa. La mostra, che comprenderà una dozzina di ritratti giganti, inclusa una foto di gruppo che racchiude le 64 personalità più importanti di Nollywood, inaugurerà il 20 ottobre al Museum of Contemporary Photograpy (MoCP) del Columbia College di Chicago e resterà aperta al pubblico fino al 23 dicembre. C’è la possibilità di sostenere questo  monumentale progetto facendo una donazione attraverso la campagna kickstarter  lanciata dal museo. Inoltre alla fine dell’anno sarà possibile acquistare il libro del progetto in edizione limitata.

Altri lavori e mostre

Iké Udé è autore di Style File: the World’s Most Elegantly Dressed, pubblicato da Harper Collins nel 2008. Style File è un volume fotografico che raccoglie i ritratti dei 55 arbitri dello stile più influenti al mondo e offre una visione franca dei loro punti di vista su moda e vita, attraverso interviste evocative e una fotografia regale. Tra i vari designer, artisti e personaggi pubblici raccolti in questo volume, ci sono John Galliano, Oscar de la Renta, André Leon Talley, Dita Von Teese, Francesco Clemente, Christian Louboutin, Diane von Furstenberg, Lapo Elkann.

I suoi lavori sono stati esposti e fanno parte delle collezioni permanenti di Solomon R. Guggenheim, dello Smithsonian Museum of Art, dello Sheldon Museum e molti altri musei internazionali di arte contemporanea.

Immagine in evidenza e studio| Iké Udé per Griot, (c) Marco Brunelli | Immagini delle opere | Courtesy dell’artista

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Ultimo aggiornamento | 27-09-16, 17:00

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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.