A. Igoni Barrett | Uno Scrittore Affamato

“Perché le ho detto che l’amavo…Sì, l’ho amata, proprio in quell’istante, venendo dentro di lei. Ma amore non significa matrimonio, un bambino, per sempre.. Amore significa che mi rendi felice finchè un giorno non è più così”
“Una storia di tira e molla a Nairobi”, tratto da L’amore è potere o almeno gli somiglia molto, A. Igoni Barrett
Proverò ad essere sincera nel presentare A. Igoni Barrett perché ho ricambiato la sua energica stretta di mano dopo averlo ascoltato dialogare con Edoardo Albinati il 22 Settembre scorso, ospite della rassegna Come raccontare l’Africa del Maxxi di Roma, e poi mi ha autografato una copia de L’amore è potere o almeno gli somiglia molto, la sua raccolta di racconti pubblicata recentemente nella collana Bookclub dell’eclettica 66th and 2nd, e tradotto da Michele Martino: è uno diretto, che non la manda a dire. È nigeriano e ha origini giamaicane, e non eviterò di aggiungere che il carisma è spesso una qualità di carattere tipica dei “misti”; ma questa è sicuramente un’altra storia…Quello che mi ha impressionato del giovane scrittore nigeriano è la sua totale onestà quasi “paracula”, la sua capacità oratoria e la sua franchezza nell’ammettere di essere un nigeriano privilegiato, uno della middle class, che ha letto e studiato, un amante di Thomas Mann, Gabriel García Márquez, James Joyce. Uno che, prima di abbandonare gli studi di agraria e decidere di diventare scrittore, leggeva Dostoevskij; un amante di Franz Kafka e delle sue Metamorfosi, se si tiene conto anche del suo primo romanzo Culo nero.
Barrett nasce come lettore e da tale ha voluto fare ai suoi il dono dell’emozione e del sentimento: del comico, del tragico, del ridicolo, del sentimento d’amore. Non so dire se sia riuscito o meno a privarsi del filtro di classe ma le sue creature, gli abitanti di Poteko—nome di fantasia per una città nigeriana assolutamente realistica—appaiono determinate, solide nella mania, nitide, misere ma dignitose, corrotte ma con un grande senso della giustizia: sono uomini, donne, bambini, adolescenti pieni di contraddizioni e assolutamente vividi; questi, con andamento circolare, sembrano ricomparire, (dis)integrando ogni volta la propria storia, come in un’eco o in un presagio. Da individui comunicativi ci tengono ad avere voce in capitolo, ruggiscono, squarciano la carta e, se potessero, prenderebbero vita e si metterebbero a parlare in pidgin. Eccezion fatta forse per il protagonista de “Il mio problema dell’alito cattivo”, che farebbe di tutto per non profferire parola: ne risulta un’esilarante avventura in una realtà in cui diventa invece necessario esprimersi. Eccezionali sono le descrizioni urbane. Le strade, i rumori, gli odori e i colori: tutto sembra avere un corpo pulsante.
È esattamente qui che risiede il talento dello scrittore: indaga, rendendo intellegibile—pur nelle sue assurdità—un mondo complesso e intricato, soltanto servendosi dell’umanità o bestialità dei suoi abitanti.
I nove racconti di varia lunghezza—il più lungo è il penultimo, un vero e proprio spannung le cinquantuno pagine di “Goodspeed e Perpetua”—sono ritmati, pungenti, intrisi di ironia, irriverenti. Barrett è uno scrittore famelico, appassionato e anche poetico ma non indulgente: racconta i difetti, le imperfezioni, le ingenue corruzioni, trattando i suoi personaggi come degli eroi epici, valorosi ed anche un po’ eccentrici. E inspiegabilmente, nessuno avrebbe voglia di criticarli ma di vederci dentro se stesso.
Alla fine della presentazione è Barrett a volgere una domanda alla platea del piccolo auditorium: “Siete sicuri di non volermi chiedere nulla? Perché io domani parto e torno in Nigeria e non potrete più farlo”. Per intenderci..
Romana, italo-nigeriana, laureanda in Studi culturali Italiani, scrivo da sempre e ho molti amori tra cui la letteratura, la musica, le arti, la natura e la cucina creativa. Mossa da un profondo interesse per le questioni identitarie, da anni mi muovo nella promozione culturale e nella difesa delle cose umane. Colleziono cartoline.