I Monumenti In Miniatura Di Daniela Ortiz Sono Baluardi Di Resistenza

Al centro della pittura, della scultura e della performance dell'artista peruviana, c'è una critica ai regimi di frontiera e una celebrazione dell'estetica anticoloniale. L'artista basata a Cuzco è a Roma per presentare la performance site-specific I figli non sono della lupa per la piattaforma curatoriale Hidden Histories.

di Eric Otieno Sumba - Pubblicato il 25/09/2021
Daniela Ortiz, I Figli non sono della lupa , performance site-specific, 2021. COURTESY l'artista

La chiacchierata all’inizio della mia conversazione con Daniela Ortiz ci porta subito ai temi con cui si confronta come pittrice, scultrice e performer. L’artista peruviana mi sta raccontando gli inizi della sua carriera artistica, quando deviamo nel simbolismo carico di una lussuosa coppia culinaria: cioccolato e oro. L’artista, che si è trovata in mezzo a quantità significative di entrambi i prodotti quando lavorava a Barcellona in una boutique di cioccolato di fascia alta per finanziare la sua formazione, è assertiva: “Il cioccolato è questo materiale coloniale che l’Europa per molto tempo ha usato per sfruttare. Per la maggior parte degli amanti del cioccolato, tuttavia, queste dinamiche non sono sempre immediatamente evidenti.

Nella sua forma più elementare, il cioccolato è una miscela di cacao in polvere, zucchero e olio—si preferisce l’olio di palma nella produzione industriale. Fino al ventunesimo secolo, tutti questi ingredienti sono stati i motori delle economie delle piantagioni di Africa, Asia e America Latina, e alcune delle più grandi multinazionali alimentari del mondo oggi per la maggior parte dei loro prodotti si affidano all’olio di palma. Tuttavia, la combinazione del cioccolato con l’oro ha stimolato l’interesse di Ortiz. “Decoravano il cioccolato con l’oro. Sapendo che il processo di estrazione e trasporto dell’oro in Europa storicamente è stato un processo di morte e sfruttamento di persone e territori, per me è stato davvero scioccante  vedere che gli europei dell’alta borghesia mangiano questo oro solo per vivere questa fantasia coloniale o per piacere.”

Ortiz ha lavorato in questo negozio per mantenersi, quindi le mancavano il tempo e il denaro per fare “arte approriata”, come la definisce lei. Tuttavia, era seriamente intenzionata a voler fare arte, nonostante le  condizioni economiche. “Ho iniziato a fare arte con quello che avevo, usando performance e arte concettuale, che sono l’estetica bianca ed eurocentrica, ma mi ha aiutato a esplorare l’idea di non pormi limiti.” Per raggiungere il pubblico e documentare ciò che stava facendo ha condiviso il suo lavoro sui social media. Da quei primi sforzi, si è interessata ad analizzare e affrontare il colonialismo e tutte le sue conseguenze, i razzismi istituzionali contemporanei e le relazioni economiche con il Sud del mondo.

“Non ho potuto dipingere per otto anni, ma ora uso olio e acrilici,” risponde quando le chiedo dei media attraverso cui attualmente sta incanalando questi temi astratti. “Non solo mi piace il processo, ma trovo anche che il disegno e la pittura ti colleghino a un certo modo di pensare. Con la pittura crei immagini che non esistono,” dice. In quella possibilità, Ortiz vede l’opportunità di creare immagini di momenti di giustizia anticoloniale. Situazioni in cui la Giustizia è stata servita a comunità che sono state violate, ma anche quelle in cui le/gli autorɜ di ingiustizie sono tenuti a una qualche forma di responsabilità pubblica, “come ad esempio Fabrice Leggeri, il direttore di Frontex, che ho ritratto molte volte nel mio lavoro.Una delle lezioni che ha imparato da quest’ultima incursione nella pittura è che gli errori non contano davvero. Un dipinto può ancora essere un’opera d’arte completa, anche quando il risultato non è quello originariamente previsto.

Daniela Ortiz, dalla serie Anti-colonial prayer to Fernandito Tupac Amaru Bastidas, 2020. COURTESY Galleria La Veronica

Come moltɜ altrɜ, Ortiz ha messo in evidenza la presenza in tutta Europa di monumenti coloniali apertamente razzisti, soprattutto perché il fatto che siano ancora in piedi ha poco a che fare con il semplice caso. “Non è che la Storia li abbia lasciati nelle strade dell’Europa e dell’America Latina, è perché la supremazia bianca è interessata a creare il mantenimento e l’onore di quei monumenti. L’estrema destra in Spagna usa Plaça del Portal de la Pau, dove si trova il monumento a Colombo, come luogo di aggregazione, perché per loro è un luogo simbolico delle politiche che difendono.”

Per Ortiz, queste politiche hanno a che fare con il rafforzamento del colonialismo, del patriarcato e del capitalismo, ma piuttosto che la sola scala monumentale, Ortiz è legata anche alla dimensione discorsiva. “I monumenti coloniali sono necessari per mantenere narrazioni razziste che rafforzano il controllo migratorio. È necessario avere un monumento di Colombo con un indigeno in ginocchio per avere un centro di detenzione per immigratiɜ, dove detenere e deportare bolivianɜ, peruvianɜ, altrɜ latinoamericani, ma anche africanɜ e arabɜ. Se la storia di resistenza contro il potere bianco fosse raccontata più spesso, non sarebbe possibile infliggere quella violenza così facilmente.”

La materialità e l’estetica dei monumenti, principalmente metallo e pietra, funzionano in modi che vanno ben oltre la rappresentazione. “Con il monumento a Colombo non si vede nemmeno Colombo, si sa solo che è lassù, e poi c’è tutto il simbolismo alla base del monumento. Ciò che è interessante da vedere è che le persone razzializzate del Sud del mondo vengono rappresentate in quei monumenti. Nel contesto della Spagna (e dell’Europa in generale), così come in alcuni contesti del Sud del mondo, la rappresentazione delle persone razzializzate nei monumenti coloniali ha a che fare con il rafforzamento della narrativa apaternalista che serve al razzismo. Le persone indigene sono mostrate umili, nude e così via, per un motivo: questi monumenti onorano i bianchi, ma rappresentano anche il Sud del mondo in un certo modo,” dice.

Daniela Ortiz, Anti-colonial monuments (Columbus), 2018 series of six sand painted clays. COURTESY Galleria La Veronica

Nei lavori più recenti, Ortiz è interessata alla resistenza, ma anche alle possibilità di esistenze alternative che non siano utopie. “Ci sono contesti nel Sud del mondo che si sono liberati dal potere coloniale. Pensiamo ad esempio al Chiapas, in Messico.” Ortiz chiama tali paesaggi “territori di resistenza.” Proviene da uno di questi territori, un fatto che ha informato la sua pratica fin dall’inizio. Cusco era la capitale degli Inca, e ancora oggi mantiene una forte identità quechua. Crescendo, ha visto molti monumenti dedicati a figure anticoloniali in giro, ma l’idea generale dietro i monumenti era molto diversa. “Ci sono monumenti alla vita quotidiana, al mais, alle patate, alle danze locali e così via, il che rompe questa narrativa di eroismo e questa è una pratica culturale che esiste da molti anni. Esteticamente sono tutti super colorati.” Di conseguenza, un monumento per Ortiz è vicino e riconoscibile perché in Perù “la gente onora ciò che dà loro vita, e penso sia bella nel modo in cui cambia la prospettiva della società, di chi e cosa viene riconosciuto.”

Unə architettə che a New York ha partecipato alla sua mostra della serie Monuments, li ha presi in giro perché erano piccoli, dicendo con arroganza che sembravano “quelle piccole cose che le famiglie latinoamericane mettono sui loro frigoriferi.” Tra le nostre risate animate, Ortiz afferma: “Questo è quello che voglio fare con il mio lavoro. Voglio che la Madre del Bronx che va al Museo lo veda e senta che è la sua lingua, e non che stanno parlando delle sue cose in un’altra lingua.”

Daniela Ortiz, Anti-colonial monuments (This land will never be fertile), 2018 series of six sand painted clays. COURTESY Galleria La Veronica

La monumentalità, sia nella sua forma materiale, legale e narrativa, informa anche il suo lavoro performativo. Quando era incinta di suo figlio, ha subìto una trasfusione di sangue, assicurandosi che il sangue utilizzato per la procedura provenisse da una persona spagnola per interrompere lo jus sanguinis, la legge del sangue che si applica in Spagna, e nella maggior parte dell’Europa, che determina che solo le/i figlɜ nati da genitori di una certa nazionalità possono ricevere la cittadinanza in quel territorio nazionale. “Mio figlio è nato in Spagna e non aveva il diritto di essere spagnolo. Non è perché vogliamo essere spagnolɜ, ma perché è l’unico modo a nostra disposizione per restare in Europa senza vivere nel costante rischio di essere deportatɜ e perseguitatɜ dalle leggi sull’immigrazione.” È in queste cose così piccole che vede il potere della performance art. “Uso gli elementi di potere e monumentalità come sfondo per le mie performance, perché è il loro materiale e il loro sforzo, è il loro monumento. Facendo una piccola azione o intervento, puoi cambiarne il significato.”

Al Gianicolo di Roma, luogo simbolo della storia del Risorgimento italiano, a settembre Ortiz presenta una nuova performance dal titolo I figli non sono della lupa. Facendo riferimento alla leggenda di Romolo e Remo, i due fratelli che furono nutriti da una lupa, il suo intervento è incentrato sulla figura di Anita Garibaldi e sul suo monumento equestre, voluto dal regime fascista ed eretto nel 1932. La statua ritrae la donna brasiliana a cavallo, nel doppio ruolo di madre e di guerriera, e come “eroə dei due mondi”, anche se i suoi tratti somatici sono stati europeizzati dallo scultore di monumenti.

“È divertente come Anita Garibaldi in America Latina sia considerata dalle/dagli europeɜ una eroə, oppure in Brasile come una rivoluzionaria,” aggiunge Ortiz, dopo avermi parlato della sua performance inedita che sta ancora concettualizzando nella sua testa. “In Brasile è l’eroə delle/dei Criollo bianchɜ del sud, di San Paolo. I movimenti grassroots e la comunità Nera non glorificherebbero mai Anita, perché il processo di indipendenza che Garibaldi stava cercando di spingere non era il tipo di indipendenza che le persone stavano realmente combattendo.” Per Ortiz, l’Italia ha reificato Anita Garibaldi per ragioni molto particolari, che sono politiche e provinciali, e il fatto che ci siano molti suoi monumenti non deve significare nulla. “Ovviamente ci sono monumenti, ma è perché i/le bianchɜ hanno costruito quei monumenti, non perché è stato importante per qualcunə.”

DANIELA ORTIZ
I Figli Non Sono Della Lupa

29-30 settembre
h. 18
Reale Accademia di Spagna
Piazza di San Pietro In Montorio, 3 – Roma

‘I Figli non sono della Lupa’ è parte di Hidden Histories, programma pubblico di interventi site-specific a Roma, curato dalla piattaforma curatoriale LOCALES.

GRIOT è media partner di Hidden Histories.

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Eric Otieno Sumba
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Sono uno ricercatore e studioso di decolonialismo. Lavoro sull'intersezione tra giustizia sociale, politica, economia, arte e cultura. Amo leggere, ballare, andare in bicicletta e il capuccino senza zucchero.