Blu, Viola, Rosso | Donne, Nerezza, Ingiustizia E Rivoluzione Nell’arte Di Mary Sibande

di Johanne Affricot - Pubblicato il 13/11/2019

Il colore è la percezione visiva delle molteplici radiazioni elettromagnetiche comprese nello spettro visibile. Intangibile tavolozza della nostra realtà, i colori riempiono e danno un senso alla nostra esistenza, alimentano la nostra immaginazione, fortificano la nostra memoria, marcano le nostre battaglie, sono portatori di simboli e significati che bucano il sostrato sociale e creano storia, culture e tradizioni.

Mary Sibande, l’artista sudafricana a cui quest’anno è stato affidato il solo show di 1:54 Contemporary African Art Fair usa il colore per raccontare la storia e l’evoluzione pre e post coloniale della condizione femminile in Sud Africa e non solo. Nata e cresciuta a Johannesburg, l’artista trascende il vissuto delle donne della sua famiglia e racconta la sua storia attraverso il suo avatar, Sophie, che impersonando e facendosi portatrice delle molte delle narrazioni che Sibande vuole portare alla luce, parla di femminilità, di nerezza, di ingiustizia e rivoluzione in Sud Africa.

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Mary Sibande, Turn, turn, turn, turn, 2019

Molto interessate ed entusiaste dell’incontro, e abituate all’offerta della prestigiosa fiera, è un vero piacere lasciarsi guidare da Mary Sibande in persona attraverso le sculture e le fotografie di questo suo primo solo show in terra britannica intitolato I Came Apart At The Seams. Qui l’artista esibisce dei lavori selezionati facenti parte delle tre serie che hanno segnato la sua carriera dagli inizi, undici anni fa, fino ad oggi.

Facendo del colore un vero e proprio metasimbolo, Sibande ci illustra le idee e le riflessioni alla base della retrospettiva portandoci attraverso i lavori che si distinguono proprio dal cambio cromatico dei costumi di Sophie. Dall’uniforme royal blue da lavoratrice domestica, i cui sogni sono infranti da discriminazione e disuguaglianza, al viola che rappresenta la lotta contro l’apartheid e la promessa di uguaglianza, fino al rosso della rabbia e della frustrazione di una popolazione che ancora attende risposte e chiede giustizia.

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Mary Sibande, They Don’t Make Them Like They Used To, 2008

Sibande inizia il suo percorso artisticoe con esso il suo periodo blu intitolato Long Live The Dead Queennel 2008, quando, una volta laureata, comincia a indagare sulla storia della sua famiglia, in particolare su quella della sua progenie femminile, con l’obiettivo di scoprire il motivo per cui tutte erano lavoratrici domestiche.Ho dovuto attingere alla storia del Sud Africa, ed è così che è iniziato tutto. Naturalmente, queste donne non hanno scelto di fare le domestiche, ma era la legge che indicava cosa dovessero fare le donne di colore: o facevi l’infermiera o un altro lavoro manuale,” ci racconta. Da questa indagine nasce Sophie, come risposta dell’artista alla necessità di rappresentare le storie e il vissuto di sua nonna e delle sue antenate attraverso un personaggio che potesse impersonare e farsi portavoce della lotta sudafricana. È proprio qui che entra in gioco il colore, ci spiega l’artista:Il colore è molto importante in Sud Africa, perché quando parlo di colore parlo di razza, e volevo mettere in risalto quell’idea. Come faccio a parlare di razza, senza dire la parola razza? Attraverso l’uso del colore, ho pensato, perché ogni colore ha un significato. In Sudafrica i ragazzi che fanno lavori manuali, quelli che fanno i lavori per strada o gli operai della fabbrica, indossano il blu da capo a piedi. In realtà viene chiamato royal blue, quindi ho usato la stessa tonalità.”

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Mary Sibande, Living Memory, 2011

Una delle cose che si notano subito, osservando le sue opere, è che gli occhi di Sophie sono sempre chiusi. In questo modo Sophie può sognare, immaginare un mondo alternativo in cui è in pieno controllo della sua vita, e in cui può semplicemente esistere, negare la realtà e ignorare lo spettatore che invece la osserva incuriosito.

Mentre attraversiamo la prima stanza osserviamo A Reversed Retrogress: Scene 1 (2013), opera che in questa esibizione fa da anello di congiunzione tra due degli universi cromatici e simbolici di Sibande. Dopo quattro anni di lavoro ed esplorazione del royal blu, e dopo aver elaborato le osservazioni del pubblico sulle sue esposizioni, Sibande si è resa conto che “Sophie non è la donna che pulisce la tua casa se sei bianca, ma potrebbe essere tua zia, tua nonna, la tua vicina, tutti coloro che la vedevano pensavano di sapere chi fosse Sophie. Quindi ho sentito il bisogno di lasciarmi andare e provare a fare altre opere, altri oggetti.” È così che l’artista ha iniziato a creare le creature in tessuto che la porteranno all’esplorazione del periodo viola. “Ricordo che nel 2012 stavo andando in Brasile perché avevo una mostra. Stavo cercando informazioni sul paese e mi sono imbattuta nella Capoeira. Pensai che fosse incredibile, perciò attinsi a quell’idea, avevo bisogno di riportare indietro quella figura che stavo demolendo. E così [Sophie] è tornata, in viola. Ma prima di iniziare a fare altre opere pensai che sarebbe stato fantastico avere l’azzurro, il colore dei lavori precedenti, di fronte alla nuova Sophie: era lo stesso personaggio, ma era diventato un’altra persona.” Sibande parla di A Reversed Retrogress: Scene 1 (2013), un’opera in movimento in cui le due avataruna blu e l’altra violasi incontrano. E da questo loro incontro lo spettatore si muove intorno a loro, vedendole combattere, ballare o abbracciarsi, a seconda del punto di osservazione.

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Mary Sibande, A Reversed Retrogress: Scene 1 (2013)
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Mary Sibande, dettaglio di A Reversed Retrogress: Scene 1 (2013)

Superate le opere A Reversed Retrogress: Scene 1 (2013), They Don’t Make Them Like They Used to (2008), Put a Spell on Me (2009) e Living Memory (2011), arriviamo alla stanza viola. Se il blu di Long Live The Dead Queen (2008-2013) rappresentava l’inizio dell’apartheid, il viola della seconda serie, The Purple Shall Govern (2013-2017), simboleggia la sua caduta, afferma l’artista. “In Sudafrica furono fatte molte marce per smantellare l’apartheid. Nel 1989 durante una queste marce, la polizia dell’apartheid spruzzò del colorante viola sui manifestanti, una tinta che è molto difficile da togliere dalla pelle. L’obiettivo era marchiarli e arrestarli in un secondo momento, così andarono di casa in casa per arrestare tutte le persone che avevano del viola addosso. L’apartheid, come sistema, fa quest’operazione di confinare, segnare le persone da mezzo secolo: non puoi andare lì, non puoi essere lì in quel momento, hai bisogno di una lettera dal tuo padrone se sei lì, eccetera.”

Attraverso il colore viola, Sibande sposta il focus della sua ricerca dalle donne della sua famiglia a lei stessa, chiedendosi, “Tra queste donne, io dove sono?”, sentendo la necessità di iniziare un nuovo capitolo artistico e personale che parlasse di lei e di come lei vede se stessa e interagisce con il mondo. Non a caso, in The Purple Shall Govern assistiamo alla completa trasformazione di Sophie, che re-imaginandosi come “la figura viola,” impersona la sofferenza e l’eventuale transizione al potere del movimento Anti-Apartheid. Il titolo di questa serie trae infatti ispirazione dal Freedom Charter dell’African National Congress (ANC) del 1955, oltre che dalla marcia ricordata come The Purple Forest di cui sopra.

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Mary Sibande, A reversed Retrogress, Scene 2, 2013

Mentre osserviamo le creature dell’artista che come radici si estendono aggrovigliandosi per quasi tutto il perimetro della stanza nell’opera A Reversed Retrogress: Scene 2 (2013), ci rendiamo conto che stiamo per entrare nella stanza rossa e che i due nuovi universi cromaticiviola e rossosi fondono di nuovo. Avvicinandosi a Right Now! (2015), Sibande ci racconta che ha realizzato questo lavoro quando era incinta di sette mesi, e come tutti i futuri genitori seguiva con ossequio le notizie, cercando di adoperarsi per far venire alla luce suo figlio in un mondo migliore. Così ha pensato al sentimento della rabbia e ai segugi, perché come ci spiega, in Zuluma anche in molte altre linguequando una persona è molto arrabbiata viene chiamata “cane rosso”.

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Mary Sibande, Right Now, 2015

Volendo quindi dedicare questa nuova serie intitolata In The Midst of Chaos There Is Also Opportunity all’eredità dell’apartheid, l’artista ha deciso di spostare l’attenzione da Sophie—che nuovamente trasformata e con il volto coperto è ora “La figura Rossa”—alle emozioni, ai sentimenti, al sentore comune che non avrebbero trovato migliore rappresentazione se non attraverso il colore rosso. Sophie si fa adesso portatrice della sofferenza e della rabbia della popolazione nera in Sud Africa, e dell’attuale contesto socio-politico. “In Sudafrica la violenza è sempre dietro l’angolo, è sempre in agguato. Sento che i sudafricani sono arrabbiati, c’è qualcosa di cui non sono contenti. Molte persone hanno bisogno di risposte. Durante l’apartheid c’erano campi [di addestramento] al di fuori del Sud Africa, e in particolare l’MK addestrava i giovani a combattere e a riprendere il paese. Quando Mandela uscì di prigione, disse, ‘Niente violenza,’ ma la gente aveva passato anni a imparare a combattere. Ironia della sorte, la maggior parte di loro ormai è vecchia, ma sento che il corpo memorizza sempre questi traumi e credo che in qualche modo ci sarebbe dovuto essere uno sfogoe nessuno vorrebbe una guerra, perché le prime persone che ne pagherebbero le conseguenze sarebbero donne e bambiniperché questa rabbia è stata tenuta dentro, repressa, e ora sta esplodendo in alcune aree.”

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Mary Sibande, Come, you spirits of the land and the skies, 2019

I recenti fatti di cronaca nera avvenuti nel paese confermano quanto sostiene Sibande; e come nel resto del mondo, anche in Sudafrica si è assistito alla nascita e all’affermazione di movimenti di donne che si sono unite per combattere la violenza, il patriarcato e tutti i suoi effetti collaterali. Tuttavia, gli episodi di violenza contro le donne sembrano essere aumentati, e Sibande riconduce tutto alle ripercussioni che il sistema dell’apartheid ha avuto sui nuclei familiari sudafricani in un paese in cui intere generazioni di uomini—incluso suo padre— sono stati strappati via dalle loro famiglie. “Sono secoli che il corpo delle donne nere subisce violenza. Gli uomini neri dovrebbero proteggerle, ma sono assenti. Crescendo, ero molto arrabbiata con mio padre perché se ne andò quando avevo tre anni per arruolarsi nell’esercito (uno dei pochi lavori disponibili al tempo) e scomparve. All’università ho iniziato a studiare la storia del Sudafrica e così l’ho perdonato: tutti questi uomini furono portati via dalle loro famiglie per costruire la città o per lavorare nelle miniere d’oro, specialmente a Johannesburg. Questo fatto segnò l’ascesa del matriarcato, quindi molti uomini sono cresciuti senza avere alcuna figura paterna che li guidasse nell’età adulta, e ho capito il perché: faceva parte del sistema apartheid, non solo in Sudafrica, ma in tutto il mondo in cui esiste il corpo nero. Quindi, ho davvero perdonato mio padre, non era colpa sua, era il sistema, lui doveva far parte del sistema.”

Anche se Sibande pensa che il suo lavoro politico attraverso l’arte sia solo una goccia nell’oceano, come donna e artista, è fondamentale per lei capire come autodeterminarci, e attraverso la creazione del suo avatar Sophie, un chiaro esempio di empowerment e autodeterminazione, manda un messaggio che riecheggia con potenza da Johannesburg al resto del mondo.

I CAME APART AT THE SEAMS
Mary Sibande (n. 1982)
Somerset House
Dal 3 ottobre fino al 5 gennaio 2020
Lun., Mar., Sab., Dom., dalle 10 alle 18
Mer., Ven., dalle 11 alle 20
Ingresso Libero

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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente, fondatrice e direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.