‘Human Archipelago’ | Teju Cole E Fazal Sheikh Esplorano Il Concetto Di Ospitalità Nel Loro Nuovo Fotolibro

di Johanne Affricot - Pubblicato il 02/12/2019

La parola ‘ospitalità’ suona sempre un po’ antica. Nel mondo globalizzato dove ogni viaggiatore “low cost” con il giusto passaporto, il giusto look e il vocabolario adatto, può essere un ‘local’ in ogni parte del mondo, il ruolo dell’ospitalità—al di fuori del settore alberghiero—sta tramontando. Di questi tempi si può essere tolleranti o cosmopoliti, ma di rado ospitali. Dunque è molto interessante che il premiato autore Teju Cole e l’acclamato fotografo Fazal Sheikh abbiano deciso di trattare di questa antica virtù nel loro nuovo libro, Human Arcipelago.

Secondo la prospettiva degli autori, il libro è un tentativo di trovare un nuovo modo per parlare di problematiche ben note che tendono a ripresentarsi. In questo senso, i due fotografi (Cole è anche un fotografo) hanno fatto una ricerca nell’archivio di Sheikh, che per vent’anni ha catturato i foto ritratti di persone sfollate in tutto il mondo. Sheikh ha anche catturato i paesaggi che alcune delle persone che ha incontrato chiamavano casa. In questo processo, è stata sollevata la questione dell’odierna importanza dell’ospitalità e dell’accoglienza come espressione umana di responsabilità e solidarietà reciproca, una sfida che Teju ha accettato con uno straordinario entusiasmo letterario.
griot mag human archipelago-williamgai_portNon sorprende che Human Arcipelago combini con successo la fotografia documentaristica di Sheikh e la faits divers di Cole, una forma letteraria nata in Francia conosciuta per la sua brevità, e sicuramente un precursore del moderno tweet. Il gioco di micro-belletristic —la fusione fluida di saggistica e poesia—da una parte e le potentissime immagine dall’altra, che Teju Cole ha già avuto modo di testare nel suo precedente libro Blind Spot (2017), eleva tutti i generi racchiusi in questo libro. Immaginando ogni combinazione di testo e immagini come un’isola, il libro nella sua interezza è un arcipelago metaforico. Infatti, ci si può soffermare su alcune di queste isole più che su altre, e se a volte si è come catturati dagli espressivi ritratti spesso in bianco e nero dei protagonisti fotografati da Sheikh, qualche pagina dopo si rimane colpiti ed emozionati dalla geniale prosa di Cole o dalle sue lettere indirizzate alle persone che hanno perso la vita mentre cercavano disperatamente di trovare rifugio. Di nuovo, ci si trova a pensare come certe frasi sarebbero perfette per l’economia dei like di Twitter o Instagram, in quanto con ogni immagine e citazione, gli autori colpiscono nel segno.

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Per fortuna, è facile resistere alla tentazione, preferendo invece capire e assorbire le storie profondamente umane di questo libro. L’interazione tra i testi di Cole e le immagini di Sheikh rivelano molti filoni di indagine con cui potremmo già essere familiari, ma che sembrano essere dimenticati nel tran tran quotidiano, come: “Non esistono stranieri, solo versioni di noi stessi, molte delle quali non abbiamo accettato e dalla maggior parte delle quali vogliamo difendere noi stessi. Poiché il diverso non è straniero, è inaspettato; non alieno, ma qualcosa che rimane nella memoria; ed è la casualità di questo incontro con la parte che conosciamo ma di cui non siamo consapevoli di noi stessi che manda un segnale d’allarme”.
griot mag human archipelago-sheikh_archipelago_new_02In Human Arcipelago, il trasferimento, il dislocamento—o la vera e propria mancanza di un luogo (placelessness)—diventano la metafora paradossale dei nostri tempi, che può essere evocata sia dalla figura dei viaggiatori pseudo-nomadi low cost con più passaporti, sia dai migranti apolidi o dagli sfollati. Tuttavia, è solo l’ultimo di questi gruppi che può utilizzare politicamente la mancanza di un luogo (placelessness) a servizio dell’umanità tutta e nello spirito di ospitalità come principio condiviso. Sheikh e Cole hanno fatto un ottimo lavoro da tutti i punti di vista, ri-focalizzando la nostra attenzione su temi fondamentali che sono al centro di quel progetto collettivo chiamato umanità.

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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.