
È arrivato a metà settembre il nuovo singolo della produttrice e cantautrice LNDKF, anticipando di qualche mese l’album full-length che è attualmente in lavorazione.
Linda Feki–così all’anagrafe–è nata a Sousse (Tunisia) e cresciuta a Napoli con la madre, per poi spostarsi a Parigi e lavorare alla propria musica in un’atmosfera cosmopolita e multiculturale. Oggi è una delle artiste più interessanti del panorama musicale del nostro Paese, ma è già ampiamente apprezzata anche all’estero, come dimostrano i numerosi passaggi nelle radio internazionali, i numeri degli ascolti sulle piattaforme digitali e l’entusiasmo del pubblico alle sue apparizioni dal vivo con la band (è stata anche sul palco dell’ultima edizione del Primavera Sound di Barcellona nel 2019).
Come il precedente singolo, How Do We Know We’re Alive—prodotto come sempre insieme a Dario Bass—è pubblicato dall’etichetta indipendente di Brooklyn Bastard Jazz Recordings (disponibile in Italia attraverso La Tempesta Dischi), che si dedica alle possibili contaminazioni del jazz con altri generi apparentemente lontani, come dub, musica latina, hip hop, afro, elettronica downtempo, house e disco. La casa perfetta per l’elettronica avvolgente della producer, influenzata soprattutto da jazz, neo-soul e hip hop, così come da esperienze personali, incontri, viaggi, pensieri.
Fin dall’ep d’esordio Lust Blue (2016), e poi con Don’t Know I’m Dead Or Not, brano uscito lo scorso giugno con il contributo di Chester Watson, LNDKF ha dimostrato la capacità di sfuggire alle definizioni, svelando l’irresistibile fascinazione per la contaminazione stilistica e culturale e il desiderio innato di superare confini e categorizzazioni.
Così, How Do We Know We’re Alive prosegue lungo la direzione già segnata, mescolando sonorità jazz e future-soul, ritmiche incalzanti e percussioni glitch, eteree armonie vocali e un arpeggio di sintetizzatore. L’andamento ipnotico del brano è interrotto dall’ingresso del rapper losangelino Pink Siifu, che irrompe sul raffinato tappeto elettronico come un elemento di caos con un freestyle surreale, denso di giochi di parole e successioni fonetiche ricercate. L’abbinamento tra le due voci—una che si fa strumento, l’altra che veicola il messaggio—e le due modalità espressive è efficace, potente nella sua contraddizione.
Il titolo della canzone, la disarmante domanda How Do We Know We’re Alive, deriva da un paragrafo del libro The Body Keeps The Score (2014) dello psichiatra olandese Bessel van der Kolk, che indaga i segni lasciati dai traumi e dalle esperienze dolorose del passato sul corpo e la mente delle persone, anche a lunga distanza di tempo. Il tema, molto delicato e spesso affrontato mal volentieri come tutto lo spettro dei disturbi mentali, è speculare a quello di Don’t Know I’m Dead Or Not: da prospettive opposte, entrambi i pezzi affrontano in qualche modo i fenomeni dissociativi e di depersonalizzazione che possono capitare in situazioni così stressanti da distorcere la percezione di se stessɜ e del proprio corpo.
Quello che How Do We Know We’re Alive sembra volerci dire—come a metterci in guardia—è che non basta essere vivɜ da un punto di vista biologico, ma bisogna sentirsi vivɜ, coscienti di sé e delle proprie membra. Non basta il cuore che batte, se lo sguardo è vuoto; non basta la mente attiva, se il corpo è immobile: paradossi che generano confusione, riprodotti musicalmente da un charleston invadente che appare poco coerente con il tappeto elettronico, ma invece è un perfetto contrappeso. È tutto un gioco di equilibri, le nostre vite come la musica di LNDFK, che sfuma elegante tra sperimentazione e nuove tendenze, lasciandoci in attesa del disco completo.
Metà italiana, metà egiziana, nata e cresciuta nelle Marche, passata per Bologna, adottata da Milano, lavoro nel campo della comunicazione e dei media. Scrivo di musica, street art e controculture, sono affascinata dalla contaminazione culturale a tutti i livelli.