Giornata Internazionale Di Nelson Mandela | Forse è Ora Di Un Ripasso

“Mio padre è stato assassinato da un killer dell’apartheid di nome Eugene de Kock. Mentre si dirigevano verso il ponte di Nelspruit, de Knock e il resto del gruppo erano lì ad aspettarli. Hanno iniziato a sparare contro la macchina che ha iniziato a perdere il controllo. Mano a mano che avanzava in direzione del ponte, de Knock, capendo che il veicolo non si sarebbe fermato, decise di correre lungo il ponte e di svuotare il caricatore contro mio padre. Dopodiché ha cosparso la macchina di benzina e le ha dato fuoco. Poi hanno rincarato la dose di carburante, appiccando nuovamente le fiamme, allontanandosi come se nulla fosse. Le notizie diffuse su mio padre e il resto del gruppo parlavano di oppositori del governo e che, proprio per questo, erano stati uccisi. Già…” Candice Mama, 24 anni, Johannesburg.
“Mio padre è stato fatto esplodere da de Kock e Nieuwoudt e, aggiungo io, dal resto del gruppo, perché nessuno di loro è pulito. Mio padre era un poliziotto. La sua uccisione sollevò un polverone. C’era chi diceva stessero facendo luce su alcune morti…o omicidi. Da quello che so, erano stati chiamati a partecipare a una riunione e avrebbero dovuto prendere un’auto a Motherwell. Ma una volta saliti a bordo, questa era carica di esplosivo. Di fatto si trattava di una trappola. È così che è stato ucciso mio padre.” Siyah Mgoduka, di Port Elizabeth.
Candice e Siyah sono due giovani sudafricani figli dell’apartheid, protagonisti di una video installazione realizzata su doppio canale (It’s a pleasure to meet you, di Sue Williamson, visitabile al museo Maxxi di Roma, in occasione della mostra Road To Justice, fino al 4 novembre 2018), in cui, intervistandosi a vicenda, raccontano le loro storie. Entrambi condividono ricordi simili: dal silenzio famigliare che avvolse le morti dei loro padri, a come scoprirono lentamente i dettagli di quelle morti crudeli e assurde. Ma nel caso di Candice, lei e la sua famiglia hanno voluto incontrare de Kock, in una discussione meditata, e alla fine lo hanno perdonato. Siyah invece si porta dietro gli strascichi dell’essere cresciuto orfano di padre e non ha mai avuto nessun interesse nel perdonare gli assassini che lo hanno ucciso.

Due storie che Nelson Mandela conosceva bene. Nel Sud Africa in cui è nato (18 luglio 1918), cresciuto, ha combattuto, era impossibile avere un amico, un parente, un conoscente che non fosse stato razzialmente discriminato, ucciso, picchiato, minacciato, avvelenato, torturato, imprigionato. Madiba stesso passò ventisette anni della sua vita in prigione, diciotto dei quali confinato in una minuscola cella senza letto e sanitari. Fu liberato solo nel 1990. Ed è grazie anche alla sua incessante ricerca e lotta per i diritti umani e civili che il suo paese fu liberato dall’apartheid.
Nel centenario della sua nascita, con celebrazioni sparse in tutto il mondo, presidenti che lo omaggiano–ieri Barack Obama ha tenuto un discorso in occassione della Nelson Annual Lecture e ha citato anche la neo campione del mondo nazionale di calcio francese–e dive planetarie che lo onorano, come Beyoncé, che ha annunciato che a dicembre sarà in Sud Africa per suonare al Global Citizen Festival in suo onore, ci piace ripercorrere la storia di un eroe-simbolo–che simbolo non voleva essere considerato–diventato fonte di ispirazione per milioni di persone nel mondo. Giusto per ricordarci da dove viene, per cosa è passato, dove è arrivato e cosa ci ha lasciato.
INFANZIA ED EDUCAZIONE
Mandela nacque in una famiglia reale della tribù Thembu di lingua Xhosa, nel villaggio sudafricano di Mvezo, dove suo padre, Gadla Henry Mphakanyiswa (1880-1928 circa) era capo. La madre, Nosekeni Fanny, era la terza delle quattro mogli di Mphakanyiswa, che in totale gli diedero nove figlie e quattro figli. Dopo la morte del padre nel 1927, Mandela, che all’epoca aveva 9 anni ed era conosciuto con il nome di nascita Rolihlahla, fu adottato da Jongintaba Dalindyebo, un reggente Thembu di alto rango che iniziò a crescerlo affinché assumesse un ruolo all’interno della leadership tribale.
Primo della sua famiglia a ricevere un’istruzione formale, Mandela completò i suoi studi primari in una scuola missionaria locale. Lì, un insegnante lo soprannominò Nelson, usanza dei bianchi nel dare agli studenti africani nomi inglesi. Continuò a frequentare il Clarkebury Boarding Institute and Healdtown, scuola secondaria metodista, dove eccelse sia nel pugilato che nella corsa, oltre che negli sudi. Nel 1939 entrò nella prestigiosa Università di Fort Hare, all’epoca l’unico istituto superiore di livello, stile occidentale, destinato ai neri sud africani. L’anno seguente, lui e molti altri studenti, incluso il suo amico e futuro socio Oliver Tambo (1917-1993), furono mandati a casa per aver partecipato a un boicottaggio contro le politiche universitarie.

Dopo aver scoperto che il suo tutore aveva organizzato un matrimonio per lui, Mandela scappò a Johannesburg e lavorò prima come guardiano notturno e poi come assistente legale, mentre completava la sua laurea per corrispondenza. Studiò giurisprudenza presso l’Università di Witwatersrand, dove prese parte al movimento contro la discriminazione razziale e riuscì a forgiare importanti relazioni chiave con attivisti neri e bianchi. Nel 1944 si unì all’African National Congress (ANC) e collaborò con altri membri del partito, incluso Oliver Tambo, per fondare la sua lega giovanile, l’ANCYL. In quello stesso anno, incontrò e sposò la sua prima moglie, Evelyn Ntoko Mase (1922-2004), con la quale ebbe quattro figli, prima del loro divorzio nel 1957.
NELSON MANDELA E L’AFRICAN NATIONAL CONGRESS (ANC)
L’impegno di Nelson Mandela nella politica e nell’ANC si rafforzò ulteriormente dopo la vittoria elettorale del 1948 del Partito Nazionale, guidato e dominato dagli Afrikaner, la popolazione bianca di religione calvanisita e di origine europea (olandesi, francesi, belgi o tedeschi), che introdusse un sistema formale di classificazione razziale e segregazione: l’Apartheid. Attraverso questo srumento riuscirono a limitare i diritti basilari dei non bianchi, escludendoli dal governo e mantenendo allo stesso tempo il loro sistema, nonostante fossero una minoranza. L’anno seguente l’ANC adottò il piano di ANCYL per ottenere la piena cittadinanza per tutti i sudafricani, attraverso boicottaggi, scioperi, disobbedienza civile e altri metodi non violenti. Mandela contribuì a guidare la Campaign for the Defiance of Unjust Laws del 1952, viaggiando in tutto il paese per organizzare proteste contro le politiche discriminatorie, e promosse il manifesto noto come Carta della libertà, ratificato dal Congresso del Popolo nel 1955. Sempre nel 1952, Mandela e Tambo aprirono il primo studio legale nero sudafricano che offriva consulenza legale gratuita, o a basso costo, a tutti quelli che venivano colpiti dalle leggi dell’apartheid.
Il 5 dicembre 1956, lui e altri 155 attivisti furono arrestati e processati per tradimento.

Tutti gli imputati furono assolti nel 1961, ma nel frattempo le tensioni all’interno dell’ANC si intensificarono, con una fazione militante che si separò nel 1959 per formare il Pan Africanist Congress (PAC). L’anno successivo, la polizia aprì il fuoco contro manifestanti neri pacifici nella cittadina di Sharpeville, uccidendo 69 persone; mentre il panico, la rabbia e le rivolte travolsero il paese a causa del massacro, il governo dell’apartheid bandì sia l’ANC che il PAC. Costretto a nascondersi e a travestirsi per sfuggire alla caccia, Mandela decise che era giunto il momento di usare un approccio più radicale rispetto alla resistenza passiva.
NELSON MANDELA E IL MOVIMENTO DI RESISTENZA ARMATA
Nel 1961 Nelson Mandela co-fondò e divenne il primo leader dell’Umkhonto we Sizwe (“Spear of the Nation”), noto anche come MK, la nuova ala armata dell’ANC. Diversi anni dopo, durante il processo che lo mise dietro le sbarre per ventisette anni, descrisse il ragionamento che era alla base di quel radicale allontanamento dai principi originali del suo partito: “Sarebbe sbagliato e irrealistico per i leader africani continuare a predicare la pace e la non violenza in un momento in cui il governo ha risposto alle nostre pacifiche richieste con la forza. Fu solo quando tutti gli altri avevano fallito, quando tutte le forme di protesta pacifica furono vietate, che prendemmo la decisione di intraprendere forme violente di lotta politica.”
Sotto la guida di Mandela, l’MK lanciò una campagna di sabotaggio contro il governo, che aveva da poco dichiarato il Sud Africa una Repubblica e si era separata dal Commonwealth britannico. Nel gennaio del 1962, Mandela si recò illegalmente in Etiopia per partecipare a una conferenza dei leader nazionalisti africani, a Londra per visitare il suo amico in esilio Oliver Tambo, e partecipò a un training di guerriglia in Algeria.

Il 5 agosto dello stesso anno, poco dopo il suo rientro, fu arrestato e successivamente condannato a cinque anni di prigione per aver lasciato il paese e per aver incitato nel 1961 i lavoratori a uno sciopero. Il luglio successivo, la polizia fece irruzione in un nascondiglio dell’ANC, a Rivonia, un sobborgo alla periferia di Johannesburg, e arrestò un gruppo razzialmente diverso di leader dell’MK che si era riunito per parlare dei meriti di una guerriglia insurrezionale. Furono trovate prove che implicavano Mandela e altri attivisti, portati poi in tribunale per sabotaggio, tradimento e cospirazione violenta.
Lui e altri sette imputati riuscirono a scampare alla forca, mentre gli altri vennero condannati all’ergastolo nel famoso processo di Rivonia, processo che durò otto mesi e catturò una notevole attenzione a livello internazionale. In una toccante dichiarazione di apertura che gli fece gudagnare lo status di icona in tutto il mondo, Mandela ammise alcune delle accuse mosse contro di lui mentre difendeva le azioni dell’ANC e denunciava le ingiustizie dell’apartheid.“Ho amato l’ideale di una società libera e democratica in cui tutte le persone vivono insieme in armonia e con pari opportunità. È un ideale che spero di vivere e di realizzare. Ma, se necessario, è un ideale per il quale sono disposto a morire.”
GLI ANNI DI MANDELA IN PRIGIONE
Nelson Mandela trascorse i primi diciotto dei suoi 27 anni di galera, nella brutale prigione di Robben Island, ex colonia di lebbrosi al largo della costa di Città del Capo. Qui venne confinato in una piccola cella senza un letto e sanitari, e fu costretto ai lavori forzati in una cava di calce. Come prigioniero politico e nero, ricevette razioni di cibo più basse e meno privilegi rispetto agli altri detenuti. Gli fu permesso di vedere una volta ogni sei mesi solo sua moglie, Winnie Madikizela-Mandela, che aveva sposato nel 1958 e che era la madre delle sue due figlie.

Mandela e i suoi compagni di prigionia venivano abitualmente sottoposti a punizioni inumane per il minimo dei reati; tra le altre atrocità, fu segnalato che le guardie seppellivano i detenuti nella terra, fino al collo, e poi ci urinavano sopra.
Nonostante queste restrizioni e condizioni, Mandela si laureò in giurisprudenza presso l’Università di Londra e fece da mentore per i suoi compagni di prigionia, incoraggiandoli a cercare un trattamento migliore attraverso la resistenza non violenta. Riuscì a far uscire di nascosto dichiarazioni politiche e una bozza della sua autobiografia, “Long Walk to Freedom“, pubblicata cinque anni dopo il suo rilascio.
Nonostante la sua ritirata forzata dai riflettori, Mandela rimase il leader simbolico del movimento antiapartheid. Nel 1980 Oliver Tambo lanciò la campagna “Free Nelson Mandela”. Ciò contribuì a rendere più conosciuto il nome del leader in prigione e alimentò la crescente protesta internazionale contro il regime razzista del Sud Africa. Mano a mano che la pressione aumentava, il governo offrì a Mandela la sua libertà in cambio di vari compromessi politici, inclusa la rinuncia alla violenza e il riconoscimento del Transkei Bantustan “indipendente”, ma rifiutò categoricamente emtrambi gli accordi.
Nel 1982 fu trasferito nella prigione di Pollsmoor, sulla terraferma, e nel 1988 fu messo agli arresti domiciliari in un carcere correttivo di minima sicurezza. L’anno seguente, il neoeletto presidente F. W. de Klerk revocò il divieto all’ANC e invocò un Sud Africa non razzista, rompendo con i conservatori del suo partito. L’11 febbraio 1990 ordinò la liberazione di Mandela.
NELSON MANDELA PRESIDENTE DEL SUD AFRICA
Dopo essere ritornato un uomo libero, Nelson Mandela guidò l’ANC nelle sue negoziazioni con il Partito Nazionale al governo e varie altre organizzazioni politiche sud africane per porre fine all’apartheid e istiuire un governo multirazziale. Pur essendo carichi di tensione, e condotti all’interno di uno scenario di instabilità politica, nel 1993 i discorsi fecero guadagnare a Mandela e a de Klerk il premio Nobel per la pace. Tra il 26 e il 29 aprile del 1994, oltre 22 milioni di sudafricani votarono per le prime elezioni democratiche multirazziali nella storia del paese. La stragrande maggioranza scelse l’ANC come guida del paese e il 10 maggio Mandela prestò giuramento come primo presidente nero del Sud Africa, e de Klerk come suo primo vice.

In qualità di presidente, Mandela istituì la Commissione per la Verità e la Riconciliazione per indagare sui diritti umani e le violazioni politiche commesse dai sostenitori e dagli oppositori dell’apartheid tra il 1960 e il 1994. Una commissione che lasciò l’amaro in bocca a molti dei famigliari delle vittime uccise, spesso considerata uno strumento che permise a molti bianchi di farla franca, come raccontato magistralmente nell’opera teatrale-video, con pupazzi e attori, Ubu and the Truth Commission, dell’artista sud africano William Kentridge (suo padre, ancora in vita, fu l’avvocato di Mandela).
Migliorare i rapporti razziali, scoraggiare i neri dalla rappresaglia contro la minoranza bianca e costruire una nuova immagine internazionale di un Sud Africa unito erano le politiche centrali nell’agenda del presidente Mandela. A tal fine formò un “governo di unità nazionale” multirazziale e proclamò il paese una “nazione arcobaleno in pace con se stessa e con il mondo”. In un gesto visto come un importante passo verso la riconciliazione, nel 1996, quando in Sud Africa si tenne la Coppa del Mondo di Rugby, incoraggiò neri e bianchi a raccogliersi intorno alla squadra nazionale di rugby, composta prevalentemente da bianchi.
Nel 1998, in occasione del suo ottantesimo compleanno, Mandela sposò Graça Machel, vedova dell’ex presidente del Mozambico (divorziò da Winnie nel 1992.) L’anno seguente, si ritirò dalla politica alla fine del suo primo mandato come presidente e gli succedette il suo vice, Thabo Mbeki, dell’ANC.
GLI ULTIMI ANNI DI MANDELA E LA SUA EREDITÁ
Dopo aver lasciato la presidenza, Nelson Mandela è rimasto un devoto sostenitore della pace e della giustizia sociale, sia nel suo paese che in tutto il mondo. Ha fondato varie organizzazioni, tra cui la Nelson Mandela Foundation e The Elders, un gruppo indipendente di personalità pubbliche impegnate ad affrontare i problemi globali e ad alleviare la sofferenza umana.
Nel 2000 è diventato un sostenitore delle campagne di sensibilizzazione della lotta all’AIDS e dei programmi di cura all’interno di una società e cultura in cui l’epidemia era stata stigmatizzata e sulla quale poco si sapeva. La malattia in seguito si prese la vita di suo figlio Makgatho (1950-2005) .
Curato per un cancro alla prostata nel 2001, e indebolito da altri problemi di salute, Mandela divenne sempre più fragile nei suoi ultimi anni e ridimensionò il suo programma di apparizioni pubbliche. Nel 2009, le Nazioni Unite hanno dichiarato il 18 luglio “Nelson Mandela International Day” come segno di riconoscimento ai contributi che il leader sud africano ha dato alla democrazia, alla libertà, alla pace e ai diritti umani in tutto il mondo. Nelson Mandela è morto il 5 dicembre 2013 a causa di un’infezione polmonare ricorrente.
Il Museo Maxxi di Roma oggi proietterà il documentario Mandela (1996), diretto da Angus Gibson e Jo Menell e candidato agli Oscar come miglior documentario.
Fonti | History / GRIOT
Immagine in evidenza | Opera di Marco Cianfanelli, via Afritecure
Vuoi segnalare un tuo progetto o news che vorresti leggere su GRIOT? Scrivi a info@griotmag.com
Condividere. Ispirare. Diffondere cultura. GRIOT è uno spazio nomadico, un botique media e un collettivo che produce, raccoglie e amplifica Arti, Cultura, Musica, Stile dell’Africa, della diaspora e di altre identità, culture e contaminazioni.