Game Changers | La Co-fondatrice Harley Dubois Ci Racconta Il Suo Burning Man

Burning Man, Burning Man. Chi non lo conosce? Negli ultimi due anni sembra che i giornali di tutto il mondo abbiano sincronizzato i loro calendari editoriali per parlare di questo evento.
C’è chi fornisce una panoramica generale, offrendo delle gallery con immagini post-apocalittiche che ricordano i paesaggi di Mad Max o Star Wars.

C’è chi lo descrive come un festival in cui regna la dissolutezza più sfrenata. C’è chi afferma che rispetto al passato abbia perso la sua vera natura, a causa della presenza dei super big della Silicon Valley, tipo Larry Page e Sergey Brin, Jeff Bezos, Marck Zuckeberg e altri personaggi che lavorano nelle più importanti industrie tech [ci sono anche le celebrity, meno snob e più pop]. E chi sottolinea il fatto che ci sia troppa poca diversità: pochi nativi americani, neri, latini e asiatici. Quando sono andata io, “I’m black and I’m on the Playa“, è stato uno dei vari eventi a cui ho partecipato. Una specie di tavola rotonda in cui i burners afroamericani [ma anche white], raccontavano le loro esperienze al Burning Man [qui c’è un punto di vista di una burner].

Per chi non lo conoscesse, il Burning Man è un evento che si tiene ogni fine agosto in Nevada, nel Black Rock Desert.
Ciò che lo caratterizza rispetto agli altri festival è il fatto che migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, per una settimana si radunano in questo deserto, dando vita ad una vera e propria comunità che vive in questa città temporanea a forma semi-circolare: Black Rock City.

Una comunità che promuove la cooperazione, l’espressione individuale, la fiducia in sé stessi. Una città dove si respira arte e creatività a 360° [ma anche tanta sabbia, per via delle tempeste di sabbia, e tanta afa, con temperature che di giorno arrivano a toccare i 45°]. Una città dove vigono alcune regole semplici ma imprescindibili: baratto, autosufficienza [vendono solo ghiaccio e caffè], e il non lasciare tracce del proprio passaggio quando si va via. Leave no trace.
Questi sono alcuni granelli dell’universo Burning Man e guardando le foto o leggendo gli articoli si può avere solo un’idea di un’esperienza che alla fine è qualcosa di molto personale.
Per quanto mi riguarda, essendoci stata due anni fa, mi sono posta un po’ di domande di ritorno in Italia. Domande che avrei voluto rivolgere a quelli che stanno dietro l’organizzione di quest’evento. E visto che il prossimo 9 aprile tra gli speaker della terza edizione di TEDxROMA: GAME CHANGERS ci sarà uno dei co-fondatori, Harley Dubois, ne ho approfittato per farmi dare qualche risposta.

GRIOT: Leave No Trace è uno dei dieci principi su cui è incentrata la cultura del Burning Man. Negli ultimi due anni, circa 70.000 persone hanno preso parte all’evento. Si può dire che nonostante l’impegno di ogni partecipante a non lasciare dietro di sé tracce del proprio passaggio, l’impatto ambientale è qualcosa di reale. Quanto c’è del vostro, come organizzazione, nel riportare il deserto al suo stato naturale?
Harley Dubois: Non è così in realtà. Ogni anno miglioriamo sempre di più nel ripulire la playa [il deserto] e vale lo stesso per chi prende parte al nostro evento. Dicono che molte mani rendono il lavoro più leggero. Se dai un’occhiata alla nostra Clean up Map, la M.O.O.P. map – Matter Out Of Place, vedrai che la comunità è sempre più green, più attenta all’ambiente, piuttosto che rossa.
Devi sapere che c’è uno staff apposito che si occupa di seguire il nostro impegno ambientale e un esercito di volontari in continuo aumento che monitora i nostri progressi e successi. Per non menzionare il governo federale che alla fine di tutto viene a fare la sua consueta ispezione. Inoltre la playa ha il suo naturale ciclo di pulizia. Con le piogge invernali si disfa del suo strato superficiale, rimuovendo le tracce lasciate dagli pneumatici e le interruzioni di superficie e in primavera facciamo un altro check. E ti posso assicurare che la situazione non è per niente peggiorata perché da dieci anni abbiamo sviluppato le nostre tecniche di pulizia.
Sono molte le ragioni per cui abbiamo scelto di organizzare il Burning Man sulla superficie di un letto di un lago antico prosciugato. Tra queste c’è la questione pulizia. Su lago infatti non può crescere né decomporsi nulla. Ecco perché è semplice pulire.
A livello turistico l’evento ha un impatto molto importante sullo sviluppo di questo settore e molti Stati e piccole località ne traggono sicuramente beneficio [non solo in termini economici]. Nel mio caso, per esempio, ho percorso circa 6.000 km tra California, Arizona, Utah, Nevada, alcune volte dormendo in tenda all’interno di parchi e aree protette incredibilmente vergini e scoprendo nuovi incredibili paesaggi e scenari. Questo vostro contributo vi viene riconosciuto in un qualche modo?
Ad essere sincera devo confessarti che né il governo federale né le agenzie locali ci danno abbastanza credito. Abbiamo ispirato veramente migliaia di persone ad apprezzare la natura e ad avere rispetto per la sua incontaminata bellezza, ma è raro che ci venga riconosciuto pubblicamente o in maniera ufficiale.

(c) Johanne Affricot

(c) Johanne Affricot
Detto ciò, per quanto riguarda la tua esperienza, posso dirti che non siamo alla ricerca di un riconoscimento. Siamo semplicemente contenti di poter influire positivamente sulle persone e del fatto che apprezzino il nostro bellissimo pianeta.

(c) Johanne Affricot

(c) Johanne Affricot
È impossibile far capire a qualcuno l’esperienza del Burning Man se non si va di persona. E non si può parlare di Burning Man senza parlare di arte. Che rapporto hai con la visual e la performing art?
Vengo da una famiglia di artisti e insegnanti. Ho sempre pensato di essere molto più simile a mia madre, un’artista. Ho frequentato un liceo di arti performative e sono laureata in Belle Arti. Ho dipinto per 15 anni, molto prima che Burning Man piombasse nella mia vita, e sono saldamente improntata a vivere una vita fatta di arte. Però Burning Man mi ha aiutata molto a capire di più questa cosa, proprio come fece mio padre. Come responsabile della città, ho sempre visto Black Rock city come fosse una mia tela.


Courtesy of Burning Man

Courtesy of Burning Man
Poi sono anche esperta in amministrazione e insegnamento. E il mio lavoro oggi unisce entrambi gli aspetti di queste capacità.
E visto che ci stiamo espandendo sempre di più, abbiamo una visione più globale sul tipo di arte interattiva che sta avendo una certa influenza in posti remoti come la Cina, la Repubblica Ceca, Israele. Ho lanciato il nostro programma globale di sovvenzione alle arti [Global Art Grants Program]- 12 anni fa e il nostro impatto a livello internazionale dura più o meno da allora.
Qual è la tua installazione preferita?
Guarda, ci sono troppe opere belle per dirti che ne ho una preferita. Ogni anno ci sono installazioni meravigliose e col tempo cambiano anche i miei gusti. Poi ho tanti artisti amici quindi non vorrei seccare nessuno.
Le mie foto d’arte preferite comunque inevitabilmente contengono mia figlia. Ora ha 12 anni ed è stata a ben tredici Burning Man. Era presente nel mio utero prima ancora che nascesse, quindi la conto da allora!

Ogni anno c’è un tema differente. Caravansary è stato il tema artistico dell’edizione 2014. Carnival Mirrors quella del 2015. Da Vinci Workshop è il tema di quest’anno. A cosa vi ispirate per la scelta dei temi?
È il mio amico e collega Larry Harvey [nel 1986 lui e l’amico Jerry James insieme ad altri amici diedero vita al BM, sulla spiaggia di Baker Beach, San Francisco] che ogni anno sceglie il tema. È la nostra mente filosofica, l’ideatore. Si ispira a ciò che osserva, legge, a quello che succede nel mondo. Ha una capacità unica di saper catturare lo spirito di una determinata epoca e legarlo al tema del Burning Man.

(c) Courtesy of Burning Man
Senti e invece per quanto riguarda gli eventi? Non appena uno sbriga tutte le pratiche [un “po’” di fila, ritiro biglietti, se non te li sei fatti spedire a casa] inizia la vera esperienza. Vieni subito accolto dai Greeters, che ti danno il benvenuto, e la guida “What, Where, When”. Una guida dove sono elencate le infinite attività in calendario per quella settimana. Attività ideate e realizzate dai partecipanti per la comunità. In base a quale criterio le selezionate?
La guida What, When, Where è una risorsa della comunità. Elenca tutte le attività alle quali i cittadini di Black Rock City possono partecipare, cioè se presenti in tempo la tua proposta di evento. Il calendario si riempie abbastanza velocemente e alcuni eventi vengono lasciati fuori semplicemente perché non c’è più spazio o perché sono stati presentati tardi! Questo è l’unico criterio di selezione.
Il gruppo di persone che monta l’infrastruttura per il Burning Man non ne controlla il contenuto. Lo controllano le persone che partecipano al Burning Man. Burning Man è una Do It Yourself Experience.

A proposito di infrastrutture, ci vogliono circa 2.000 volontari per costruire, gestire e pulire la città. Ma non si tratta solo di Black Rock City. Molte persone entrano a far parte di Burner without Borders, un programma del Burning Man Project che sostiene economicamente progetti innovati legati al recupero delle comunità e portati avanti dai vostri volontari sparsi nel mondo. Secondo te quali sono gli ingredienti che vi hanno aiutato a far crescere questa comunità di volontari e a far sì che le persone volessero farne parte?
Burning Man porta a dare, a donare anche agli altri, a non pensare solo a sé stessi. Parte tutto dal nostro chiedere alle persone di portarsi all’evento ciò di cui hanno bisogno per vivere una settimana in un deserto duro e inospitale.
Una volta arrivato a Black Rock City, capisci subito che lavorare insieme agl’altri rende la vita più semplice e piacevole. E questo ti porta a capire che c’è un enorme beneficio personale nell’aiutare gli altri, e prima ancora che tu stesso te ne accorga, probabilmente ti ritrovi ad aiutare qualcuno a costruire la sua installazione artistica o il suo theme camp. E alla fine ti chiedi: “Perché devo aspettare una settimana all’anno per aiutare gl’altri?”.

Il lavoro di Burner without Borders è molto accessibile alle persone. Con una donazione di 25 $ si aiutano direttamente le vittime di un disastro perché non ci sono intermediari. In generale ciò che fa un Burner without Borders è aiutare gli altri ad acquisire delle capacità che possono servirgli. Competenze o strumenti che le persone del Primo Mondo danno per scontate. È bello poter donare il proprio vecchio telefono a un rifugiato siriano.
Tutto questo impegno è il risultato di un evento che si svolge nel deserto ed oggi è il vero lavoro di Burning Man. L’evento nel deserto è meraviglioso e stimolante ma è là fuori la vera attività del Burning Man, cercare di produrre un cambiamento positivo nel mondo. Burner without Borders è un esempio molto importante di ciò che stiamo facendo.
Prima ti ho menzionato il nostro Global Art Grants Program. Ecco. Questo è un altro esempio delle ripercussioni che ha il Burning Man, che è appunto un’esperienza che va ben oltre l’evento nel deserto. Sappiamo che l’arte interattiva crea un senso di comunità e la comunità, a sua volta, ispirerà un senso civico. E il senso civico darà luogo a cambiamenti positivi, prima a livello locale e poi a livello globale.
Burner without Burnes diciamo che salta questo passaggio e passa direttamente al senso civico, ma scommetto che ogni luogo in cui ci sono burners impegnati ad aiutare altre persone in progetti di recupero della comunità, in qualche modo si respirerà anche arte. Succede sempre.

In passato sei stata direttrice di un centro sportivo e una vigilessa del fuoco a San Francisco. Come donna e City Manager del Burning Man, quanto ti sono state utili queste esperienze?
Credo che come per ogni altra persona, tutte le esperienze che ho vissuto mi hanno aiutato a prepararmi al Burning Man. Sicuramente lavorare nei vigili del fuoco è stato un qualcosa di molto intenso ed efficace, che mi ha fatto acquisire quelle conoscenze che poi ho usato in situazioni [al Burning Man] nelle quali c’erano di mezzo questioni legate alla sicurezza delle persone. In sostanza in quest’ultimi 10 anni ho impiegato molte delle mie energie al Burning Man.
Prima di allora mettevo in piedi i team di volontari che aiutano i cittadini di Black Rock City. Sai, in questa fase della mia vita – sono entrata nei cinquanta – sono abbastanza convinta che le mie inclinazioni legate al mio essere donna mi siano state di grande aiuto. Sia nel costruire con successo questi team sia nel riuscire a dare il giusto equilibrio, tra creatività – con un po’ di caos – e al tempo stesso sicurezza.
C’è una cosa che avresti voluto fare in passato ma che non sei riuscita a fare?
Eh… “Non sono MAI stata al Burning Man”! Ho lavorato all’evento sin dal mio primo anno. Servivo la colazione al team ma non sono mai stata una vera partecipante e non sono neanche sicura che avrei saputo cosa fare in questi panni.

Courtesy of Burning Man
La mia intera esperienza al Burning Man è riconducibile al facilitare l’esperienza altrui. Avevo il duro compito di essere sempre reperibile e per i problemi più delicati, come una morte o un grave incidente, un incendio o condizioni meteo rigide tipo la pioggia – diventa un fenomeno molto problematico sul letto di un lago antico.
Non riesco a immaginarmi di svegliarmi ogni mattina, uscire fuori e cominciare a divertirmi. È veramente da troppo tempo che mi alzo alle 6:00 e ho le riunioni che cominciano alle 6:30.
Cosa vorresti fare nel futuro del Burning Man?
Vorrei fare due cose:
1. Liberare il Burning Man di tutti quegli stupidi stereotipi che ancora oggi intaccano la sua nomea. Noi non siamo un festival di musica. In realtà non siamo neanche un festival! Non vendiamo nulla. Non c’è un palco centrale né promuoviamo artisti famosi. Non vendiamo né cibo né bevande. E al Burning Man non ci sono più droghe che in una qualsiasi altra città. E poi non è vero che ci sono tutte queste persone nude. E, per finire, siamo molto family-friendly.
2. Non devi venire in Nevada per viverti quest’esperienza. Sempre più persone partecipano ai nostri eventi [regionali] in giro per il mondo. Eventi che seguono i nostri 10 princìpi. Non fraintendermi. La maggior parte di questi eventi è già grande quanto la comunità che li supporta ma c’è ancora questo luogo comune che il Burning Man si svolga solo nel deserto del Nevada, il Black Rock Desert. Non è così. Non è vero. Burning Man è una filosofia e si tiene in tutto il mondo.
Che messaggio vorresti mandare a chi parteciperà per la prima volta e ai veterani?
Ai first-goers voglio dire che quest’esperienza va ben oltre la loro immaginazione. Sbarazzatevi delle vostre aspettative e portate con voi la vostra autenticità.


(c) Johanne Affricot
Ai veterani chiedo: “Cosa state facendo a casa vostra, nella vostra comunità? Condividetelo con noi. Vogliamo saperlo e vogliamo essere i vostri più grandi sostenitori”.
Cosa significa per te essere un Game Changer al giorno d’oggi? Ti senti una Game Changer?
Credo che le persone abbiano bisogno di essere svegliate per riuscire a capire quali siano le possibilità che hanno nella loro vita. Essere un Game Changer significa dare alle persone questa opportunità. Può presentarsi in forme diverse e variare da individuo a individuo, quindi la varietà è una necessità.
Sono 30 anni che cambiamo la vita delle persone. Non era nelle nostre iniziali intenzioni ma in qualche modo alla fine è successo. Molte persone oggi ci considerano un’istituzione e noi stessi guidiamo altre realtà ad avere lo stesso impatto che ha il Burning Man. Io sono semplicemente un’umile facilitatrice di questo processo. Il mio ego e la mia identità non sono avvolti in tutto questo. La mia mia passione e amore per l’arte, la voglia di imparare e la felicità, sì. Lo sono.
* Info Evento *
Harley Dubois sarà presente sabato 9 aprile all’Auditorium Parco della Musica di Roma per la terza edizione di TEDxROMA: GAME CHANGERS.
Dalle 9:30 alle 18:00
Puoi acquistare i tuoi biglietti qui.
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.