Fine Del Blackface In Rai?

di GRIOT - Pubblicato il 28/04/2021
Foto di Max Sparber - via flickr

È di ieri la notizia che i direttori di RAI1, Stefano Coletta, e di RAISOCIALE, Giovanni Parapinidi, hanno deciso di impegnarsi contro l’uso del blackface nella televisione pubblica. “Nel merito della vicenda per la quale ci avete scritto, diciamo subito che assumiamo l’impegno—per quanto è in nostro potere—ad evitare che essa possa ripetersi sugli schermi Rai. Ci faremo anzi portavoce delle vostre istanze presso il vertice aziendale e presso le direzioni che svolgono un ruolo nodale di coordinamento perché le vostre osservazioni sulla pratica del Blackface diventino consapevolezza diffusa.”

La risposta è alla lettera inviata da un gruppo di associazioni a inizio anno, dopo l’ennesima ricomparsa dell’utilizzo del blackface nel programma Tale&Quale Show. Nel corso della puntata del 20 novembre 2020, Sergio Muniz interpretava Ghali con i tratti del viso modificati e il volto visibilmente scurito. “Le diverse prese di posizione di persone afro-discendenti e non, in Italia e in altri paesi, e di organizzazioni di vari orientamenti culturali contro l’utilizzo del blackface da parte del mondo dello spettacolo costituiscono, a nostro modo di vedere, una motivazione valida e sufficiente per cessare di riproporla ancora ai giorni nostri,” scrivevano.

Se da una parte il confronto tra la RAI e le associazioni promotrici della lettera di inizio anno è un segnale importante, altrettanto importante e decisiva per la sortita di questa risposta a nostro avviso è stata la recente campagna #CambieRai, lanciata su Instagram a inizio aprile in risposta alle parole di Franca Marini durante il programma di RAI 1 Da noi… a ruota libera—e ad altri numerosi episodi che interessano tutta la televisione e i media italiani.

Nella campagna, la rete di associazioni, formata prevalentemente da persone razzializzate, invitava l’opinione pubblica ad esprimere il proprio dissenso alla TV di Stato e a raccogliersi in sit-in davanti alle sedi RAI di Torino, Milano e Roma. “Siamo cittadin* razzializzat* di ogni estrazione sociale e crediamo che normalizzare un linguaggio razzista attraverso i media, ridurre le persone non bianche in oggetti di scherno, mere statistiche o quote di cui fare mostra all’occorrenza, significhi perpetuare forme di violenza. Non vogliamo essere vittime silenziose né silenziate, strumentalizzate o sbandierate come trofeo di una fantomatica ‘inclusività’. Diciamo no al razzismo, al sessismo, all’omobilesbotransfobia.” E poi: “Perché il linguaggio razzista, sessista e omobilesbotransfobico che utilizzano non è accettabile. Perché il blackface non è accettabile. Perché vogliamo una rappresentazione che includa tuttǝ. Perché se non siamo parte attiva della narrazione, rischierà sempre di essere offensiva.”

In questo scenario di timida apertura del servizio pubblico non andrebbe sottovalutato anche il “ruolo” giocato dal pubblico internazionale contro la puntata di Striscia La Notizia in cui Michelle Hunziker e Jerry Scotti, parlando dell’inaugurazione di una nuova sede RAI a Pechino, fanno una caricatura stereotipata dei cinesi tirandosi gli occhi e utilizzando la “l” al posto della “r” per dire RAI. Grazie alla denuncia social del giornalista, critico di moda e commentatore statunitense di base a Milano Louis Pisano, la notizia è stata rilanciata e amplificata da Diet Prada, tra gli account instagram più influenti al mondo nel settore moda, portando la Hunziker—moglie di Trussardi—a registrare un video di scuse (come fecero Dolce & Gabbana).

Il passo della RAI c’è, anche se zoppicante. Il “Per quanto in nostro potere” stona infatti con la dimensione reale del problema, che è grande e non riguarda solo l’uso del blackface. Il nostro paese ha bisogno di più strumenti culturali per comprendere le nostre istanze, che di riflesso interessano tutta la società italiana. Strumenti che—attenzione—non si traducono in una “caccia alle streghe”—basta scorrere la sezione dei commenti del post di Wired per capire cosa intendiamo—o nella  ascesa della fantomatica political correctness o del pensiero unico; piuttosto, nel creare una maggiore consapevolezza su delle pratiche razziste che minano quotidianamente la salute mentale e la vita di una larga fetta di persone di questo paese.

Se si vuole migliorare, curare l’andatura, è necessario aprire un tavolo di confronto, e soprattutto di ascolto, con tutti gli attori interessati, specialmente con quelle soggettività fortemente razzializzate che aspettano una risposta da Mamma Rai.

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