“Fotografia Africana” | Fare Il Punto Dopo Un Decennio Fortissimo
Il libro The Journey. New Positions in African Photography raccoglie lavori affascinanti di fotografie/fotografi africanз prodotti tra il 2008 e il 2018. Tuttavia, c'è la persistente questione su chi può e non può vederlo.

Akinbode Akinbiyi, Yagazie Emezi, Mohau Modisakeng e Yves Sambu sono solo quattro dellз fotografз il cui lavoro è in mostra fino al 12 settembre alla Triennale di Ray, a Francoforte, Germania. Questa selezione apparentemente casuale di fotografi/fotografe provenientз da Nigeria, Sud Africa e Repubblica Democratica del Congo è rivelatrice, se si rivisita la storia recente della “fotografia africana”. Ovviamente non esiste niente del genere, perché non è la fotografia ad essere africana, ma i/le fotografз.
E questo fatto è straordinariamente portato all’attenzione in The Journey: New Positions in African Photography. Tuttavia, gli editori del libro, il curatore Simon Njami e il critico d’arte Sean O’Toole, hanno continuato a seguire questa designazione fuorviante e diffusa.
L’illustre Maestro fotografo basato a Berlino Akinbode Akinbiyi (nato nel 1946), è stato per dieci anni un docente della Photographers Masterclass. Questa masterclass di una settimana, fino al 2018 è stata organizzata ogni anno su iniziativa di Simon Njami e dall’allora direttore del Goethe Institut di Johannesburg, Peter Anders.
Sebbene Sambu (nato nel 1980), Modisakeng (1986) ed Emezi (1989) si siano distintз senza aver partecipato alla “Masterclass”, tra il 2008 e il 2018 l’hanno fatta tutti. Questo decennio, semmai, è stato determinante per la fotografia contemporanea nel continente africano e la sua presenza sulla scena mondiale. Per la prima volta nella storia, al lavoro c’era un numero significativo di fotografe/fotografi africanз più legatз alla sfera concettuale. Questo sviluppo si è riflesso nelle biennali (per esempio a Bamako, Dakar, Lubumbashi e Lagos), che hanno dedicato a questa fotografia intere mostre. La sola Masterclass ha supportato 50 fotografi/fotografe emergenti. 17 di loro sono presentatз con portfolio nel libro The Journey.

Le possibilità sono infinite
Unə di questз è il fotografo sud africano Thabiso Sekgala (1981-2014), laureatosi nel 2013 a Lagos: “Sono ansioso di trovare nuovi modi per raccontare storie […],” disse Sekgala in un’intervista del 2014. “Viviamo in tempi interessanti in cui le possibilità sono infinite.” Nella stessa intervista, espresse anche la sua frustrazione per l’aspettativa che i/le fotografз sud africanз debbano fare riferimento all’apartheid. Sekgala usò la sua residenza all'”International Studio Programme” del Künstlerhaus Bethanien di Berlino per sperimentare cose nuove. Il suo interesse per la diaspora turca a Berlino ha portato alla serie “Paradise” (2014): scene urbane di Berlino e Istanbul in cui le attribuzioni “paradisiache” dell’Europa (come viene percepita dall’esterno) vengono sottilmente infrante. Poche settimane dopo la pubblicazione della serie, si è tolto la vita, all’età di 33 anni.
Al contrario, le classi più giovani della “Masterclass” mostrano un maggior interesse per la ritrattistica, formato a basso rischio per chi sperimenta da autodidatta. Ciascuno dei ritratti di Gosette Lubondo (nata nel 1993 a Kinshasa) della serie del 2017 Talangai (“Guardami”) è un trittico. I primi due scatti mostrano i soggetti di Lubondo, tutte donne di Kinshasa, ritratte davanti alle loro case con indosso due completi diversi. Nella prima immagine di ogni set, le donne sono vestite eleganti, mentre nella seconda posano nei loro abiti casual. La terza immagine mostra una natura morta dalle minuscole case delle donne fotografate, spesso un tavolo porta TV o immagini laminate appese al muro. Tra le immagini sta succedendo qualcosa. I soggetti si muovono, possibilmente ripulendo, ma questi movimenti rimangono nascosti tra le tre istantanee.


Nella serie Victims, (del 2014) di Macline Hien (nata nel 1970 ad Abidjan), sono gli sguardi, forse anche l’essenza dei soggetti che sono nascosti. I soggetti davanti alla macchina di Hien hanno subito violenze durante i disordini che hanno seguito le contestate elezioni presidenziali del 2010 in Costa d’Avorio. Sedute o in piedi, di fronte al telo nero che fa da sfondo al set-studio all’aperto, si voltano dall’altra parte. Il loro trauma è solo accennato. Nella serie di Hien diventa chiaro che anche i/le fotografз espertз utilizzano variazioni del ritratto per incanalare idee che sfidano lo sguardo fotogiornalistico su argomenti come la violenza politica (nel caso di Hien) o la vita urbana (nel caso di Lubondo).
Una parte del target di pubblico potrebbe non vedere mai pubblicato il libro
Ala Kheir (nato nel 1985 a Nyala), attraverso le sue fotografie cattura un senso fugace della storia della sua città. I suoi panorami rivelano una vista da sogno di Khartoum. Kheir lasciò Khartoum per alcuni anni per studiare ingegneria meccanica all’estero. Al suo ritorno, ha creato la serie Revisiting Khartoum (2015), attingendo ai suoi ricordi d’infanzia delle visite al centro della città quando suo padre aveva un ufficio lì negli anni ’90. Si immaginò un giorno a lavorare in una delle larghe e grandi strade, ma quando tornò trovò una città completamente diversa. Nel suo sguardo sognante traspare la speranza che deve avere nel suo paese da giovane padre.

The Journey vuole essere più di una documentazione della Photographers’Masterclass. Il libro vuole essere una risorsa importante, un’opera a sé stante, anche per i 13 saggi contenuti nel volume. Ma è qui che il libro piuttosto che brillare vacilla, perché la parte più importante del pubblico di destinazione potrebbe non riuscire mai ad averlo tra le mani. I/le fotografi/fotografe africaniз, a meno che non conoscano già il programma, avranno difficoltà ad accedere a questo libro. La rete di distribuzione dell’editore in Africa è debole (sono serviti solo 7 paesi su 54). Nelle ultime pagine, le/i lettorз apprendono che “le pubblicazioni Kerber sono distribuite in tutto il mondo: in Europa, Asia, Sud e Nord America”. L’Africa semplicemente non viene menzionata.
Questo riassume un perenne paradosso strutturale nel modo in cui viene consumata la cultura contemporanea del continente africano. Come per le catene del valore agricole (ad esempio, cacao o caffè), si ha l’impressione che le/gli africaniз siano previsti solo nella fase di produzione e non siano prese/presi sul serio come consumatorз.
Si vorrebbe che fosse diversamente, perché The Journey ha un enorme potenziale sia per le/i fotograf3 africaniз che per le scene creative locali del continente. Questi ultimi spazi sono un ambiente ricco ma sottovalutato per il lavoro rinfrescante e promettente che riempie le pagine di The Journey. New Positions in African Photography.
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Sono uno ricercatore e studioso di decolonialismo. Lavoro sull'intersezione tra giustizia sociale, politica, economia, arte e cultura. Amo leggere, ballare, andare in bicicletta e il capuccino senza zucchero.