L’Europa Nera Esiste? | Afropei. Viaggio Nel Cuore Dell’Europa Nera

Quando ho visto una copia solitaria di Afropei (Afropean) sugli scaffali di una di quelle buone librerie che ci viene detto che dovremmo sostenere, sono rimasto sorpreso che l’editore avesse autorizzato quello che ritenevo fosse un titolo coraggioso per un libro. Il sottotitolo, Viaggio nel cuore dell’Europa Nera (Notes from Black Europe) era abbastanza discreto da suscitare curiosità, ma c’era qualcosa nel proclama—Afropea/Afropeo—scritto in grassetto bianco e senza virgolette, che mi ha turbato a nome dell’ipotetica maggioranza dei lettori e delle lettrici bianchi/bianche europei/europee che o avrebbe deriso l’arrivo della “politica identitaria” su una delle ultime frontiere della bianchezza—l’editoria—o l’avrebbe superata senza batter ciglio.

Come titolo di un saggio, Afropei è coraggioso per diverse ragioni: principalmente perché l’Europa non ha mai veramente riconosciuto le identità con trattino, anche se alcune persone di origine africana da un po’ di tempo hanno associato il prefisso Afro- a qualsiasi identità europea rivendichino per se stesse. Ma scegliendo un termine che suggerisce la parità simbolica, unendo quindi Africa ed Europa in una sola parola, in contrapposizione a nomi impropri asimmetrici con il trattino—come afro-tedesco o afro-italiano—questo libro già comunicava una certa idea semplicemente esistendo.
Consapevole che il lettore/la lettrice potrebbe immediatamente domandarsi dove sia l’Europa Nera, i nomi dei capitoli forniscono una risposta immediata che, ancora una volta, risulterà inquietante per quelli che ignorano l’esistenza della vita Nera in Europa. Nella parte iniziale, il libro suggerisce che l’Europa Nera si trovi proprio nelle città che conosciamo e amiamo: Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Berlino, Stoccolma, Mosca, Marsiglia, Roma e Lisbona. Questi punti sulla mappa europea sono collegati dall’itinerario di un certo Johny Pitts, un backpacker Nero britannico, nato e cresciuto a Sheffield da un padre Nero di Brooklyn e da una madre bianca del Nord dell’Inghilterra, autore di un libro incredibilmente importante sull’Europa Nera.

Inizialmente Pitts era attratto dal termine afropea/afropeo (Afropean) perché gli permetteva di esistere in uno spazio in cui non era “misto-questo, metà-quello o Nero-altro”, ma si è ritrovato a chiedersi se il termine potesse essere riempito con una vita oltre i simboli. Potrebbe, Afropea/Afropeo, accogliere le storie di persone reali, che vivono vite reali, in contrapposizione a ciò che sarebbe necessario per riempire un “fotolibro con frammenti di testo buonista” e ritratti di “storie di successo dell’Europa Nera”?”, si chiedeva. Una sfida ardua, ma alla fine è partito, in pieno inverno, per scoprire (the) Afropea(ns).
Il suo viaggio comincia a Parigi, dove racconta delle sue esperienze in un tour nella Parigi Nera, guidato da un espatriato Nero americano che vive lì, e di quattro giorni buii trascorsi nella famigerata periferia a nord di Parigi: le Banlieue. A Bruxelles, trova un’aura di “vecchia morte” senza precedenti, all’interno della cantina dell’Africa Museum di Tervuren. A Berlino, si imbatte in quella che sembra essere una manifestazione nazista e si prepara a rassegnarsi al suo destino. Per fortuna era l’opposto, una protesta antifascista alla quale si unisce, ottenendo una visione non comune dell'”Antifa” tedesca.
Ad Amsterdam, visita i Black Archives (gi Archivi Neri), archivi che stanno meticolosamente portando alla luce la ricca storia transnazionale dei Neri dei Paesi Bassi. Il suo viaggio a Mosca, tuttavia, è pieno di prove e tribolazioni intricate, incluso un quasi rapimento. Tuttavia, apprendiamo che Alexander Pushkin, uno degli scrittori più famosi della Russia, era Nero, e che l’esperienza afropea è notevolmente diversa, diciamo, dell’essere un africano in Europa: molti dei Neri che incontra in Russia tengono la testa bassa e si fanno i fatti propri.

Stoccolma invece è un miscuglio, in cui lo “Splendore Svedese” che viene con un alto tenore di vita, sfuma in un gelido Natale trascorso da solo in un ostello nel “Cortile di Babbo Natale”. Alla fine apprendiamo che è a Marsiglia che l’autore trova “un’incarnazione fisica di Afropea”, una “Mecca afropea”.
In molte città europee la presenza Nera spesso viene vissuta con shock dai visitatori, che si aspettano—erroneamente—che l’Europa assomigli a un misto di vecchi dipinti rinascimentali e alle immagini patinate che propongono gli opuscoli turistici. Allo stesso modo, la storia dell’Europa Nera (e la vita dell’Europa Nera—delle persone Nere europee) spesso è nascosta alla luce del sole, ha bisogno del giusto spunto, di una mente curiosa e di un occhio vigile per essere scoperta. È questa fondamentalmente l’esperienza che Pitts ha vissuto in tutta Europa. I suoi viaggi in luoghi che molti/molte lettori e lettrici avranno visitato, o in cui potrebbero persino vivere, ci consegnano storie piacevolmente rare che, allo stesso tempo, contraddicono e completano la problematica immagine che l’Europa ha di sé.



Pitts scrive dagli spazi liminali in cui l’Europa ha relegato parti significative della sua popolazione Nera. È importante sottolineare che scrive anche dalla sua posizione di viaggiatore Nero del nord dell’Inghilterra, della classe operaia, proveniente da un Regno Unito pre Brexit che, in anticipo, nega modestamente i contributi significativi che ha apportato alla conoscenza dell’Europa Nera. In quanto tale, è molto suo il libro, e questa proprietà definisce tutti i piaceri del romanzo.
Il rovescio della medaglia, l’idea implicita di Afropeismo potrebbe sembrare esagerata per alcuni lettori/alcune lettrici, nonostante le premesse dell’autore. In Europa, la maggior parte dei Neri/delle Nere non si autoidentifica come tale (afropeo/afropea) e un romanzo, per sua natura, non avrebbe potuto rappresentare un caso concettuale per il termine. Detto questo, Pitts fa un lavoro eccezionale, utilizzando come generi il diario di viaggio e il documentario. Afropei sa di personale e di vicino a casa tutto il tempo, a un punto tale che i preziosi carichi di storia e contesto presenti nel libro non sono affatto dominanti. Afropei era un libro che aspettavamo venisse scritto. E sono contento che lo abbia scritto Pitts.
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Sono uno ricercatore e studioso di decolonialismo. Lavoro sull'intersezione tra giustizia sociale, politica, economia, arte e cultura. Amo leggere, ballare, andare in bicicletta e il capuccino senza zucchero.