I Sogni Senza Titolo Di Zineb Sedira
Al Padiglione francese, l'artista franco-algerina mescola filmati originali, rievocazioni e dietro le quinte, per dar vita a un complesso collage della sua biografia, infuso di ricerca e storia.

I mondi di Zineb Sedira si dispiegano come un viaggio nel tempo. Al padiglione francese, l’artista ha costruito un set cinematografico, dove ogni anfratto si aggiunge in maniera significativa a una trama fitta, ricca di riferimenti all’esperienza personale dell’artista e alla sua vasta ricerca negli archivi cinematografici. L’amore di Sedira per il cinema, evidenziato da questo progetto, non sorprende poiché il film documentaristico è tra i suoi strumenti artistici scelti. L’artista parte dai suoi ricordi d’infanzia: i giovedì (quando le scuole erano chiuse) trascorsi con il padre nel cinema locale nel sobborgo parigino di Gennevillies, o il padre che l’accompagnava ogni sabato a lezioni di ceramica. Solo in seguito lei si è resa conto come questi eventi siano stati pietre miliari per il suo lavoro futuro. L’artista ricorda vividamente l’atmosfera di essere circondata da persone che guardavano dei film alla fine degli anni ’60, in particolare quelli egiziani—che coinvolgevano molta musica e ballo—o gli Spaghetti Western italiani.
Gli anni ’60 e ’70 sono stati un punto di svolta: la maggior parte dei paesi africani si sono affrancati formalmente dal colonialismo. L’Algeria, ad esempio, ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1962, esattamente 60 anni fa quest’anno. Le industrie cinematografiche in Francia, Italia e Algeria hanno visto il fiorire di notevoli co-produzioni d’avanguardia, che hanno contribuito a inquadrare la storia da un punto di vista più innovativo, marcato da un forte senso di coscienza politica. Allo stesso tempo, le/glз attivistз, i movimenti di liberazione e per i diritti civili si stavano diffondendo in tutto il mondo. Sedira è consapevole dell’importanza del cinema come strumento militante contro la propaganda imperialistica e come difensore delle idee anticoloniali.
Nata a Parigi da genitori algerini, Sedira si è trasferita a Londra nel 1986 per studiare alla Central Saint Martins e da allora è rimasta a vivere lì. Algeria, Francia e Regno Unito hanno arricchito la sua vita con una pluralità di incontri che hanno permeato la sua pratica artistica, immergendola fin da subito all’interno della scena artistica londinese. Ad esempio Sedira e Sonia Boyce, a un certo punto si sono ritrovate a vivere sulla stessa strada a Brixton e da allora sono amiche. Boyce, che quest’anno ha vinto il Leone d’Oro con il suo progetto Feeling her way, occupa il Padiglione Britannico alla Biennale, proprio accanto al Padiglione Francese.

Sedira riferisce spesso che durante la sua adolescenza ha ascoltato musica funk e rhythm & blues suonata da musicistз afroamericanз. Come per il cinema, si è sentita trasportata da questo tipo di musica perché le permetteva di identificarsi meglio con la lotta e le richieste di giustizia sociale che persistono ancora oggi. Quando l’artista è stata selezionata per rappresentare la Francia alla Biennale di Venezia, è stata attratta dalla prospettiva di includere tre diversi paesi in un unico Padiglione. E, cosa ancora più importante, voleva anche esplorare il suo amore per il cinema e i suoi rapporti di amicizia.
Per l’artista era giunto il momento di fare un film sul cinema: l’omonimo Dreams Have No Titles che dà il nome all’intero progetto. La sua ricerca è iniziata nella primavera del 2020 proprio quando il mondo intero si è dovuto fermare. Con l’aiuto di consulenti locali, l’artista ha svolto per molti mesi le sue ricerche negli archivi cinematografici di Francia, Algeria e Italia: “In generale, mi sono ispirata, sia visivamente sia concettualmente, agli studi e ai set cinematografici, nonché agli infiniti corridoi di scaffalature piene fino all’orlo di bobine di film di ogni forma, materiale ed epoca. E alla fine ho trovato un vero gioiello! Alcuni testi facevano riferimento a un film misterioso, Les Mains Libres, chiamato anche Tronc de figuier (Tronco di fico), datato 1964-65,” ricorda.

L’artista si è, infatti, imbattuta nel primo documentario prodotto nell’Algeria post-indipendenza dalla casa di produzione Casbah Film, diretto dal regista italiano Ennio Lorenzini. Sedira ha compreso immediatamente l’importanza del breve documentario di 53 minuti: dopo la première in Algeria e una presentazione fuori concorso al Festival di Cannes, seguirono pochissime proiezioni in Italia prima che venisse dimenticato nell’AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico) a Roma. Grazie alla Cineteca di Bologna il film è stato restaurato, e Sedira ha inserito degli estratti nel suo Dreams have no titles.
Venezia ospita un’importante rassegna cinematografica e Sedira rende omaggio ad alcuni film d’avanguardia e militanti girati negli anni Sessanta e Settanta come La battaglia di Algeri diretto da Gillo Pontecorvo (Leone d’oro nel 1966); Le Bal (1983) il film muto di Ettore Scola interamente girato in una sala da ballo a Parigi; il dramma politico Z, di Costa Gavras (1969); il film spaghetti western di Enzo Peri, La pistola (1966); Lo straniero (1967) di Luchino Visconti, tratto dal libro L’étranger, di Albert Camus e F for Fake (1973) diretto da Orson Welles.
L’importanza de La battaglia di Algeri è chiara ed è sottolineata dall’introduzione alla sceneggiatura di Franco Solinas: ‘Il film vuole parlare dell’irresistibile spinta alla libertà dei paesi sottosviluppati, della lotta interna del colonialismo e delle sue conseguenze nel vita delle metropoli. Siamo italiani, ma siamo prima di tutto europei, e la guerra francese contro l’Algeria (con le sue conseguenze) riguarda anche noi […]. Certo, la minaccia è ovunque, ma la guerra d’Algeria e la corruzione che ha provocato in Francia ci sembrano esemplari’.
È così che il Padiglione francese è stato trasformato in un set cinematografico. Gran parte di Dreams have no titles è stato effettivamente girato all’interno dell’edificio stesso, con Sedira e i tre curatori, Yasmina Reggad, Sam Bardaouil e Till Fellrath che appaiono nel cast. Le parole di apertura: “Questo film parla di inganno” sono le stesse battute che aprono F for Fake. L’inganno viene poi annunciato: è la mise en abyme; un film sui film di un’artista che è anche regista, attrice e voce fuori campo. Sedira edita filmati originali, rimesse in scena e riprese dietro le quinte, per formare un collage di eventi autobiografici e ricerca artistica mescolati con la storia. Si parla del senso di appartenenza, integrazione e dislocamento, un’indagine sulla natura della verità e un grande omaggio al cinema e alle persone importanti nella vita di Sedira. Dreams have no titles tratta, in definitiva, di amicizia e del coraggio di sognare.

Zineb Sedira ricorda: “Collego anche la nozione di remake a quella di mise en abyme, che spesso riaffiora nei miei lavori. Io stessa sono un’artista-regista che fa un film sui film. La mia storia personale è il punto di partenza per una mise en abyme della storia del cinema attraverso diverse strategie volte a creare una finzione-realtà”. Per Sedira, la mise en abyme serve a rompere la quarta parete, e la separazione tra opera d’arte e realtà, è un modo per coinvolgere effettivamente il pubblico e approfondire il rapporto tra arte e vita, realtà e finzione, veglia e sogni.
Nella sala principale del Padiglione, Sedira ha ricreato la sala da ballo de Le bal, il film di Ettore Scola. Il visitatore può sedersi a un tavolo, diventando inconsapevolmente attore in una scena di ballo. Non appena gli attori iniziano a eseguire la loro danza, lo spazio prende vita. In una stanza adiacente, il visitatore viene proiettato nel soggiorno dell’artista a Brixton, preso in prestito dalla sua mostra personale al Jeu de Paume a Parigi nel 2019. La stanza è piena di mobili, libri, poster, collage, vestiti e vinili dell’artista. Anche in questo caso il visitatore può entrare a far parte della scena, sedersi sul divano e guardare la tv o prendere un libro dallo scaffale e fermarsi a leggerlo. Una conversazione tra Sonia Boyce e Gilane Tawadros, avvenuta nello stesso appartamento in cui ci si ritrova, riempie lo schermo della TV. Stanno discutendo dell’importanza delle cooperative edilizie e degli squat londinesi a Brixton—il vivace e stimolante quartiere londinese in cui vissero tutte negli anni ’70—e di come ciò abbia facilitato la vita e la produzione artistica.

In un’altra stanzetta, dietro il soggiorno, sedie vuote e una bara sono stati posizionati solennemente. Ispirandosi a Lo straniero di Luchino Visconti, Sedira condivide una dolorosa storia familiare: la perdita dell’amata sorella a soli 20 anni.
Accessibile dalla sala da ballo, si presenta un’ulteriore stanza piena di vecchie bobine di film che ricordano un archivio cinematografico: una scrivania con una lampada, la macchina da scrivere usata dall’artista nel film e una riproduzione in scala ridotta del soggiorno davanti a un green-screen – ancora una volta mise en abyme. Sedira gioca con la riproduzione del set, le dimensioni degli oggetti e la luce, questa volta più intima.
Nell’ultima stanza, Dreams have no titles viene proiettato in una sala cinematografica perfettamente ricostruita. Il pubblico può sedersi e godersi la magia. Nell’ultima scena gioiosa del suo film, vediamo Sedira ballare con la folla (green-screen) e poi da sola vestita di giallo con un abito anni ’60 su uno sfondo giallo. A questo punto, l’artista ha mescolato con successo sogno e realtà attraverso il potente strumento dell’arte.
‘Untitled Dreams’ di Zineb Sedira, alla 59° Biennale d’Arte di Venezia sarà aperto fino al 27 novembre 2022
Alessandra Migani
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