Donne Etiopi Che Fanno Film

La presenza di autrici, registe e produttrici etiopi di successo distingue l'industria filmica etiope da quella di Hollywood, Bollywood, e dal resto del cinema mondiale.

di GRIOT - Pubblicato il 10/05/2021
Still video da Difret (2014), di Zeresenay Berhane Mehari

Tra le tante storie del lungo e sfaccettato passato dell’Etiopia, così come del suo presente politicamente intricato, c’è una straordinaria trasformazione a cui parte dei media ha dato poco attenzione: l’impressionante salto in avanti nella sua industria cinematografica. Prima del 2004, di tanto in tanto l’Etiopia produceva qualche film. Ma dal 2015, i quasi 100 lungometraggi prodotti localmente ogni anno uscivano nei cinema della capitale, Addis Abeba. Anche la televisione locale è cresciuta e si è diversificata.

Dietro l’ascesa del cinema etiope c’è una storia ancora più straordinaria delle donne che—come autrici, registe, produttrici e studiose—sono state protagoniste di questa trasformazione.

Il ruolo di spicco delle donne nel settore potrebbe distinguere l’Etiopia dalla maggior parte degli altri paesi. In tutto il mondo, da Hollywood a Bollywood, le industrie cinematografiche e televisive sono state dominate dagli uomini. Negli Stati Uniti, il Center for the Study of Women in Television and Film della San Diego State University e il sito Women and Hollywood hanno dimostrato che solo il 12% dei registi, il 20% degli autori e il 26% dei produttori sono donne, sebbene il 51% del pubblico lo sia.

In Africa, i manifesti di fondazione delle istituzioni cinematografiche degli anni ’60 del secolo scorso, come il famoso Festival Panafricain du Cinéma et de la télévision de Ouagadougou (the Panafrican Film and Television Festival of Ouagadougou, or FESPACO), in Burkina Faso, dimostrano un chiaro impegno a favore della decolonizzazione, dell’uguaglianza razziale e dell’emancipazione delle donne—quindi, in linea di principio, sono più progressisti delle loro controparti negli Stati Uniti. Tuttavia, la storia del cinema africano generalmente viene raccontata come una successione di registi uomini, come i re che ereditano il trono di FESPACO: Ousmane Sembene, Souleymane Cissé, Idrissa Ouédraogo, Abderrahmane Sissako. Il modello è rimasto invariato, nonostante gli sforzi proattivi iniziati negli anni ’90 da parte degli organizzatori di festival e istituzioni come il Centre for the Study and Research of African Women in Cinema per incoraggiare le donne africane a fare film.

Cosa c’è di diverso allora in Etiopia?

Negli ultimi anni, durante le mie frequenti visite nel paese ho incontrato alcunə dei principalə registə etiopi e professorə di storia del cinema e del teatro all’Università di Addis Abeba. Sono ben consapevoli di come siano le industrie cinematografiche in altre parti del mondo e sottolineano che anche l’Etiopia non è un paradiso per le donne. Il sessismo e le disparità di genere nel finanziamento e nel prestito alle imprenditrici rimangono pervasivi, nonostante la Costituzione della nazione proibisca la discriminazione. E mentre nessuna agenzia in Etiopia ha analizzato la questione del genere nell’industria dei media, la mia indagine informale sugli elenchi di film concessi in licenza dall’Ufficio della Cultura e del Turismo di Addis Abeba indica che i rapporti di genere sono simili a quelli degli Stati Uniti.

Ciò che è diverso in Etiopia è l’influenza e il successo delle donne nel mondo del cinema. In un settore altamente competitivo in cui molte persone non realizzano mai più di un film, le donne hanno sempre goduto di un successo più duraturo come autrici, registe e produttrici. I film realizzati da donne hanno avuto la tendenza ad avere risultati migliori al botteghino, e hanno vinto molti premi agli annuali Premi Gumma del Cinema della nazione.

I primi successi delle donne nell’industria filmica

Molti dei “primi film” nella storia del cinema etiope sono stati realizzati da donne innovative. Dopo che la nazione si è allontanata dal regime del Derg, sotto il quale film e televisione erano finanziati e controllati dal governo, la prima persona a rischiare di finanziare privatamente un film indipendente è stata Rukiya Ahmed, realizzando nel 1993 il film Tsetzet (diretto da Tesfaye Senke su U-matic), che raccontava la storia di unə detective che risolve un caso di omicidio.

Successivamente, uno dei primi film a passare da pellicola a video è stato Yeberedo Zemen (tradotto Ice Age – L’Era Glaciale), di Helen Tadesse. Inizialmente voleva fare il film per la TV etiope in forma di sit-com, ma dopo una disputa sul contratto decise di trasformare gli episodi in un unico film. Nel 2002 è stato il primo film etiope girato in VHS ad essere proiettato in un teatro, e ha innescato una rivoluzione nell’industria cinematografica nazionale.

Con il passaggio dalla pellicola alla VHS, e poi al cinema digitale, la cultura cinematografica locale è esplosa, con i film che crescevano in numero e diversità di contenuto. Molte donne hanno colto le nuove opportunità per seguire l’esempio di Tadesse, e tante di loro sono diventate rapidamente leader del settore.

Una di queste leader è Arsema Worku, membro del consiglio di amministrazione della Film Producers Association d’Etiopia, che fa lobby per conto delle registe. Oltre ad essere un’attrice, Worku ha scritto, diretto e prodotto film per il cinema. Il suo film più recente è Emnet (2016), un film su una donna sposata che, sentendosi intrappolata a gestire la casa e prendersi tutto il giorno cura del suo bambino, sogna per se un’entusiasmante carriera.

Una delle registe più prolifiche e di successo dell’Etiopia è Kidist Yilma. Il suo famoso film Rebuni (2015) ha vinto il premio più prestigioso dell’Etiopia, il Gumma. Parla di una giovane donna, Adey, che combatte per proteggere la piccola fattoria di suo nonno dall’essere rilevata da una società. Nonostante tutto il successo di Rebuni, quando ho incontrato lei e suo marito, l’attore Amanuel Habtamu, mi ha detto che il film che per lei significa di più è Meba (2015), un film che porta il pubblico dentro la testa di uno schizofrenico paziente in un ospedale psichiatrico.

Questi film sono produzioni locali, con budget relativamente piccoli rispetto ai film internazionali che glə americanə e glə europeə spesso guardano nei cinema d’essai. Ma l’Etiopia ha anche alcune co-produzioni multinazionali, la più riuscita delle quali a livello  internazionale è stata Difret (2014), che ha visto Angelina Jolie produttrice esecutiva.

Basato su una storia vera, Difret drammatizza il rapimento di spose bambine nelle zone rurali, concentrandosi sul caso giudiziario di una giovane ragazza che ha sparato al suo aspirante marito per legittima difesa. Quattro anni dopo l’uscita del film, l’avvocata nella vita reale e attivista per i diritti delle donne Meaza Ashenafi, che ha ispirato l’eroina del film, è diventata la prima donna ad essere nominata presidente della Corte suprema federale dell’Etiopia.

La fama sia di Jolie e Ashenafi potrebbe aver messo in ombra il fatto che unə dei produttorə e visionarə del film fosse la dottoressa Mehret Mandefro, il cui primo film, il documentario All of Us (2008), racconta la sua esperienza come medico curante dell’HIV/AIDS, sia a New York che in Etiopia. In quel film, arriva all’importante conclusione che nella città di New York, come nell’Etiopia rurale, la povertà e la mancanza di potere delle donne hanno esacerbato l’epidemia di HIV/AIDS.

In un settore altamente competitivo in cui molte persone non realizzano mai più di un film, le donne hanno sempre goduto di un successo più duraturo come autrici, registe e produttrici. I film realizzati da donne hanno avuto la tendenza ad avere risultati migliori al botteghino, e hanno vinto molti premi agli annuali Premi Gumma del Cinema della nazione.

Uomini e donne dell’industria cinematografica e dei media, spesso hanno lavorato insieme per affrontare temi difficili e importanti quali malattie, abusi domestici, malattie mentali e conflitti tra ricchi e poveri. Ad esempio, un film che ha vinto premi ai festival internazionali è stato The Price of Love (2015), il terzo film scritto e diretto da Hermon Hailay. Questo ritratto brutalmente onesto della vita di una prostituta esplora il traffico di esseri umani e l’oscuro ventre della vita urbana. Prima di scrivere la sceneggiatura, Hermon ha studiato il suo soggetto, trascorrendo settimane a conoscere alcune di queste donne, che è forse il motivo per cui il film sembra così reale.

Un altro film importante sulla difficile condizione delle lavoratrici migranti dall’Etiopia è Sewnetwa (2019), scritto e prodotto da Eskedar Girmay con il sostegno finanziario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e del Ministero del Lavoro e Degli Affari Sociali Etiopi. Al suo debutto, la prima donna presidente dell’Etiopia, H.E. Sahle-Work Zewde, ha pronunciato il discorso di apertura.

Cinema e gruppi etnici

L’Etiopia è un paese con oltre 80 gruppi etnici diversi tra loro. La maggior parte dei/delle registi e registe, qualunque sia la loro lingua madre, gira i loro film in amarico, la lingua nazionale insegnata nelle scuole di tutto il paese. Tuttavia, alcunə scelgono anche di realizzare film nella propria lingua, come il tigrino, l’afan oromo o il somalo.

Gli Oromo, che sono uno dei più grandi gruppi etnici in Etiopia, hanno vissuto negli ultimi anni una rinascita culturale, rivitalizzando la loro forma di democrazia autoctona nota come “sistema Gada” che nel 2016 è stata riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità. I registi e le registe Oromo spesso attingono ai principi di Gada per la loro produzione, distribuzione e consumo di film. Un tema comune nelle sceneggiature Oromo, sia di autori uomini che di autrici donne, è come le tradizioni indigene che danno potere alle donne nelle loro comunità possono essere modernizzate e adattate alla vita del 21° secolo.

Tra le donne emergenti Oromo che oggi fanno film troviamo Seble Wada, produttrice di Wada; Seenaa Solomon, regista di Xiqii; e Hawi Hailu, regista di Lafaaf Lafee. La più nota è Keyirat Yusuf. Ha iniziato come attrice a Dire Dawa, prima di trasferirsi ad Addis Abeba per unirsi al primo programma in lingua oromo nella televisione etiope, Dhanga. Alla fine è emigrata a Chicago, dove ha girato il suo primo film, Asaantii (2015), sull’adattamento alla vita negli Stati Uniti. Il suo secondo film, Siifan (2017), riflette sull’esperienza delle donne rifugiate che hanno subito abusi sessuali e fisici. Come molte/molti registe/registi etiopi, Keyirat non è solo attrice e regista, ma anche autrice e produttorice. Nelle nostre conversazioni, mi ha detto che una delle abilità più importanti che ha imparato è stata il montaggio.

Le donne hanno plasmato l’industria anche in altri modi. Fino al 2014, le emittenti televisive etiopi tendevano a produrre i propri contenuti—principalmente notizie e alcuni drammi seriali—e c’era poco collegamento tra l’industria cinematografica e la televisione. Ma un’imprenditrice di nome Feven Tadesse si immaginava un modo diverso di fare le cose. Ha creato il primo programma sulla televisione etiope non solo per trasmettere nuovi film realizzati localmente, ma anche per discuterne. Le spettatrici e gli spettatori possono votare i loro film preferiti tramite sms. La società di Tadesse, la Maverick Films, ha anche prodotto due film, tra cui Lomi Shita (2011), pluri-premiato ai  Premi Gumma, che è una riflessione complessa e sfaccettata sulla storia e sull’identità dell’Etiopia.

Tutte queste registe hanno avuto esperienze diverse e offrono punti di vista diversi sulla posizione delle donne nel settore. Alcune si considerano femministe, altre no. Alcune hanno avuto esperienze per lo più positive nel settore, ma altre non si sentono supportate. E alcune provengono da ambienti unici e internazionali, come la regista messicana-etiope Jessica Beshir, basata a New York, i cui cortometraggi-documentari offrono ritratti poetici della vita. La realtà sul campo è complessa e sta cambiando.

Dialogo in atto

Le varie sedi civiche e accademiche dell’Etiopia contribuiscono positivamente ai cambiamenti, favorendo la discussione sulla rappresentanza di genere. Ad esempio, l’Alatinos Filmmakers Association ha fornito un forum in cui aspiranti registe possono incontrarsi, discutere e condividere il lavoro. Un’altra organizzazione chiamata Sandscribe ha ospitato lezioni di film gratuite per il pubblico. L’Università di Addis Abeba, che occupa notoriamente i terreni di uno degli ex palazzi dell’ultimo imperatore dell’Etiopia, Hailè Selassiè, nel 2014 ha avviato un nuovo programma di master in cinema nel 2014.

Unə dei massimə espertə dell’industria cinematografica etiope è Eyerusalem Kassahun, professora di Arti Teatrali all’Università di Addis Abeba. Oltre a insegnare Regia Teatrale e Storia del Cinema, ha anche scritto, prodotto e diretto il suo film che ha avuto un discreto successo nelle sale: Traffic Cop (2013), una commedia romantica su un ufficiale donna che si innamora di un tassista.

Kassahun ha anche scritto il primo articolo accademico sui contributi delle donne all’industria cinematografica etiope, per un libro intitolato Cine-Ethiopia: the History and Politics of Film in the Horn of Africa, pubblicato dalla Michigan State University Press nel 2018. In quel libro il suo capitolo era una breccia. Prima di arrivare al punto, ogni resoconto dell’industria cinematografica etiope—dalle riviste accademiche ai giornali locali di Addis Abeba—praticamente si era concentrato esclusivamente su una manciata di uomini di spicco come Haile Gerima, Michel Papatakis, Solomon Bekele Weya, Birhanu Shibiru, Theodros Teshome e Henok Ayele. Da questo suo lavoro rivoluzionario, la percezione ha iniziato a mettersi al passo con la realtà.

Quel libro mette le cose in chiaro anche in altri modi. Prima della sua pubblicazione, glə unicə registə etiopi di cui gli americani sapevano molto erano i/le due che vivevano in America: Gerima e Salem Mekuria. Il libro mostra anche che l’industria cinematografica etiope ha un rapporto complicato con le varie antiche tradizioni e pratiche religiose dei suoi numerosi gruppi etnici diversi. Il lavoro artistico delle donne etiopi, in altre parole, non rientra perfettamente in nessuna categoria singolare.

I riconoscimenti internazionali sul ruolo di leadership delle donne nel cinema e nella TV etiope rimangono rari. Questa è una perdita di tutte e tutti, perché il cinema etiope sfida gli stereotipi, comuni tra americanə ed europeə, secondo cui l’Etiopia è meno progressista di loro e che le donne etiopi troverebbero migliori opportunità se se ne andassero. In effetti, il successo delle donne in Etiopia capovolge lo stereotipo e suggerisce che è Hollywood che potrebbe aver bisogno di sforzarsi di più a tenere il passo.

Le donne della crescente industria cinematografica etiope sono fonte di ispirazione. Nelle mie conversazioni con loro, esprimono un amore per la realizzazione di film e un profondo apprezzamento per i loro colleghi del settore, sia uomini che donne. Rappresentano anche una diversità di prospettive. Alcune fanno film mettendo in primo piano il valore della tradizione, della famiglia e della comunità, mentre altre difendono l’aspirazione dell’individuo in un mondo che cambia. Alcune si sentono abbastanza legate ai centri di potere dell’industria cinematografica, mentre altre si sentono emarginate o addirittura vivono in uno stato di esilio dalla loro patria. Qualunque sia la loro posizione, il loro contributo multiculturale al nostro mondo è vitale.

di Steven W. Thomas

Steven W. Thomas è professore associato di Inglese al Wagner College di New York e Fulbright Scholar all’Università di Addis Abeba, 2016.

Questo articolo è apparso su Africa is a Country, con titolo Ethiopian women making movies

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